Essendo una zona ricca di petrolio appare infatti difficile immagina che le grandi lobbycrazie occidentali non abbiano avuto un ruolo attivo in questo processo ed analizzando alcuni documenti ufficiali del Pentagono si scopre che questo sospetto non appare del tutto infondato.
Si dice infatti che tre indizi spesso valgano una prova e noi proprio altrettanti ve ne offriremo.
In tempi non sospetti, il 30 agosto scorso, Washington ha approvato e ratificato il Base structure report 2010, ovvero la finanziaria militare della Casa bianca che nel dettaglio elenca tutte le spese sostenute dallo Zio Sam per le proprie infrastrutture militari sia quelle interne sia quelle dislocate nei quattro angoli del globo.
Tre in particolare sono gli Stati arabi che volgiamo passare al settaccio tra quelli dove le truppe statunitensi hanno basi a disposizione.
Iniziamo dall’Egitto, uno dei primi paesi ad essere attraversati da venti riformisti. Qui gli Usa hanno a disposizioni appena due installazioni militari, nel 2010 per mantenerle spendevano 63,5 milioni di dollari sebbene nessun militare vi fosse dislocato. Quest’anno a causa della crisi economica lo stanziamento è sceso di un paio di milioni eppure, nonostante ciò, sono arrivati nel Paese 17 soldati ed altre 115 figure non meglio specificate, probabile che si tratti da agenti Cia o simili.
Interessante anche il caso degli Emirati Arabi Uniti, paese posto al confine con l’Arabia Saudita, e a due passi del grande nemico iraniano.
Nonostante la crisi economica lo scorso agosto il Pentagono ha deciso di aumentare gli stanziamenti per le due basi portandoli a circa 32 milioni ad oltre 37 e aumentando i libertiferi soldati a stelle e strisce da 190 a 250, nulla di eclatante ma pur sempre un dato su cui riflettere.
I numeri più interessanti vengono però dal Bahrein. In questa piccola isola del Golfo Persico che ha una estensione di 665 chilometri quadrati ed una popolazione di poco superiore al milione e duecentomila abitanti; il Paese è a maggioranza sciita ma è retto da una dinastia sunnita rappresentata dal sovrano Hamad Al Khalifa.
Qui la popolazione si è da tempo sollevata contro il sovrano che sta portando avanti una repressione ben peggiore di quella libica, eppure la comunità internazionale non vuole intervenire anche perché il sovrano accusa gli insorti di essere manovrati da Teheran, tanto che nei giorni scorsi sono giunti nel Paese 1500 soldati provenienti dagli Emirati Arabi ed altre forze mandate dal Kuwait a bordo di mezzi blindati.
Qualcuno si starà chiedendo cosa abbia a che fare la grande democrazia americana con ciò che sta accadendo in questo microscopico Paese, è presto detto.
Il base structure report del 2009 aveva deciso di stanziare nelle 9 basi statunitensi presenti appena 18 militari, pur spendendo per questo fine qualcosa come 862 milioni di dollari. Un anno dopo lo stanziamento finanziario è diminuito di 30 milioni ma i soldati americani ormeggiati al largo del golfo sono diventate ben 2510, ricordiamoci che la popolazione di questo stato è composta da un milione e duecentomila abitanti, e da 212 figure non meglio precisate.
Qualcuno penserà che non possono certo bastare questi freddi numeri a vedere una regia occulta degli Usa dietro queste sollevazioni popolari.
Ovviamente non lo crediamo neanche noi, anche perché il democratico Barak Obama è un premio Nobel per la pace, ed un personaggio del genere non andrebbe certo a fare il gioco delle grandi lobby economiche, finanziarie, petrlifere e militari che governano la vita degli Usa condizionando anche le elezioni presidenziali.
Oppure lo farebbe visti i sondaggi che lo danno in calo e l’orami imminente avvio della campagna elettorale per il 2012?