(ASI) La storia è piena di svolte decisive che alterano drasticamente il corso degli eventi. Una di esse è avvenuta la scorsa domenica in Argentina.
Nel paese più meridionale dell'America Latina, un vero e proprio terremoto politico ha posto fine a quella che sembrava essere una dinastia e a un ideologia politiche destinate a governare l'Argentina nei prossimi decenni. Il candidato della presidente Cristina Kirchner, Daniel Scioli, non è infatti riuscito a trionfare al primo turno delle elezioni, riportando una clamorosa ed inaspettata batosta che ora rischia di portare alla vittoria il candidato della coalizione "Cambiemos", Aires Mauricio Macri, già sindaco di Buenos Aires.
Per chiarezza va sottolineato che con il 36,8% , il candidato della presidente uscente, non ha di fatto perso le elezioni, in quanto si è comunque confermato primo tra i tre in lizza per la presidenza. Ciò che ha lasciato di stucco e smentito tutti i sondaggi è stato il distacco risicato dal 34,9% ottenuto da Macri, nettamente inferiore a quei 10 punti che avrebbero permesso a Scioli di confermarsi presidente al primo turno in un paese, l'Argentina, che di solito premia i candidati delle ideologie "forti". La storia dell'Argentina dal secondo dopo guerra ad oggi è stata sempre caratterizzata da scontri sulle figure di pochi uomini che con carisma e fermezza hanno plasmato la storia del paese. Eppure adesso questa continuità di intenti sembra essere stata spezzata. Basti pensare che la crisi del movimento ideologico della presidente Kirchner ha rischiato di travolgere perfino il suo stesso figlio, Maximo Kirchner, che a stento è riuscito, grazie ai voti delle remote provincie della Patagonia, ad aggiudicarsi un seggio nel parlamento.
Come è stato possibile? Come è potuto accadere che la presidente di "tutti", erede di quel Peron, amato e indimenticato leader politico dell'Argentina, Cristina Kirchner, la donna che risollevò il paese dopo il crack di inizio millennio e che tanto si è battuta contro le multinazionali e l'Fmi per l'autonomia del paese; sia stata di fatto sconfitta? Semplicemente perché politicamente la dottrina Kirchner non è più la stessa di 15 anni fa. L'evoluzione, o meglio, la crisi dell'ideologia sultanista che prevedeva un vero e proprio culto della personalità della presidente, si avvertiva ormai da diversi anni a causa del rapido peggioramento delle condizioni economiche del paese da una parte, e dei mutamenti politici interni all'America Latina, dall'altra. Parlando di fattori economici, il paese è ormai da anni alle prese con una forte stagnazione economica, mentre il progetto di indipendenza economica portato avanti dalla presidente Kirchner, non si è dimostrato all'altezza delle ambizioni della presidente. Al contrario, non solo il paese non è riuscito a sottrarsi all'Fmi e alla forte penetrazione delle multinazionali, ma questi ultimi hanno anche beneficiato di numerosi trattamenti di favore pretesi in seguito alle fallite tentate "ribellioni" economiche del governo Kirchner. In sostanza si è trattato di un copione recentemente già visto e sperimentato recentemente in Europa con la fallita ribellione economica della Grecia culminata nella punizione fiscale per il paese ellenico che nei prossimi anni sconterà le colpe di cui si è "macchiato" dinnanzi ai "partners" e agli investitori.
Ma la situazione emersa in Argentina è parte di un più complesso "tramonto" economico e politico dell'America Latina. Il continente, che negli anni '10 del nuovo millennio era passato da "cenerentola" degli Stati Uniti d'America, a "quasi" nazione continentale, sulla falsa di riga di quanto sembrava stesse avvenendo anche in Europa con l'ampliamento dell'Unione Europea, sta ora conoscendo una fase di profonda crisi. Da una parte la fine della crescita del gigante brasiliano, la cui economia, locomotiva del continente, si è trovata ora in una fase di stagnazione e a nulla sono falsi gli sforzi portati avanti per evitare la stagnazione e l'inizio della deflazione. D'altra parte tutti i regimi populisti e i governi progressisti del continente hanno conosciuto, o stanno conoscendo, una forte crisi. Basti pensare al lento ma inesorabile tramonto politico degli eredi di Lula in Brasile, e di Chavez in Venezuela. In questo senso non stupisce la crisi di consensi cui anche la "dinastia" Kirchner è andata incontro poiché in tutti i casi citati gli obbiettivi politici ed economici posti dai rispettivi governi in nome del progetto di un America Latina forte ed indipendente, sono stati largamente disattesi da una realtà che ha visto il continente beneficiare di una bolla economica andata poi incontro a un rapido declino. A complicare le cose in Argentina per la Kirchner, ci si è messo il fatto che in virtù delle considerazioni sopra citate, la presidente aveva deciso di fare un passo indietro, offrendo la candidatura ad un moderato, Daniel Scioli, che potesse intercettare più ampi consensi elettorali. Tale mossa si è rivelata invece un vero e proprio boomerang, poiché la nuova dottrina moderata scelta dalla presidente Kirchner non è piaciuta ai seguaci più intransigenti della presidente, che pertanto si sono raccolti sotto la bandiera di Sergio Massa. Quest'ultimo, che ha portato a casa ben il 21% dei voti, si è proposto come interprete della dottrina più radicale della Kirchner dei primi anni di mandato. Secondo massa l'attuale crisi economica del paese sarebbe dovuta proprio alla svolta moderata della presidente, la quale si è di fatto trovata nella posizione di avere a che fare una vera e propria concorrenza interna al suo stesso movimento politico.
In dette condizioni era quanto mai ovvio che il candidato di "Cambiemos", la coalizione avversaria, avrebbe riportato un buon risultato al primo turno. Ciò che però ora temono nelle stanze del potere di Buenos Aires, è che gli elettori dissidenti che al primo turno hanno votato per Massa, possano dare il loro voto a Macri e decretare così la fine non solo dell'ideologia politica legata alla presidente Kirchner, a sua volta evoluzione diretta del peronismo, ma anche di una tradizione politica nazionale che da sempre aveva fin ora premiato i leader populisti a scapito delle coalizioni.
Cenusa Alexandru Rares – Agenzia Stampa Italia