(ASI) Appena tre giorni dopo il discorso alle Nazioni Unite, il presidente Xi Jinping è di nuovo sul palco d'onore. Oggi, infatti, in tutto il Paese si celebra la tradizionale ricorrenza della fondazione della Repubblica Popolare Cinese.
Il primo Ottobre di sessantasei anni fa, Mao Zedong annunciò da Piazza Tienanmen la nascita del nuovo Stato nazionale a conclusione di una guerra civile durissima tra nazionalisti e comunisti, intervallata da momenti di tregua e riconciliazione durante l'invasione giapponese (1931-1945), ma ripresa immediatamente pochi mesi dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale.
1945-1949: nasce la Cina socialista
Guidando la resistenza anti-giapponese nelle campagne interne e nelle aree montuose del Paese, Mao Zedong e Zhu De avevano conquistato il favore delle masse contadine, principale forza lavoro di una giovanissima repubblica sorta dalle macerie del colonialismo, delle spoliazioni territoriali e dalla decadenza degli ultimi regnanti della Dinastia Qing.
Durante e dopo la rivoluzione nazionalista del 1911-'12, la figura carismatica di Sun Yat-sen aveva unito le diverse anime del fronte repubblicano, anche quelle più 'a sinistra' che pochi anni dopo avrebbero fondato il Partito Comunista Cinese. Tuttavia, la sua scomparsa nel 1925 e l'ascesa ai vertici del Kuomintang di Chiang Kai-shek, ossessionato da Mao, fecero precipitare la situazione già nel 1927, tra offensive anticomuniste e persecuzioni politiche di massa. Nel 1934, la quinta campagna di annientamento consecutiva ordinata da Chiang costrinse le milizie rosse ad affrontare una delle più impressionanti manovre di ripiegamento della storia militare moderna, che consentì a soli 130.000 uomini di sfondare in due mesi l'accerchiamento di circa 400.000 soldati del Kuomintang e percorrere poi 12.000 chilometri in appena un anno dalla regione sud-orientale del Jiangxi a quella centro-settentrionale dello Shaanxi, attraversando i più ostili territori della Cina occidentale.
Con questa grande manovra di elusione e con l'avvio delle operazioni giapponesi nell'Hebei e nello Hunan, il governo di Nanchino comprese che l'invasione dell'intero Paese era ormai alle porte. Nel 1937 nacque un nuovo Fronte Unito tra nazionalisti e comunisti che, tra alti e bassi, proseguì sostanzialmente sino alla conclusione della Seconda Guerra Mondiale, quando i nuovi equilibri sanciti dalla Conferenza di Potsdam determinarono anche nuovi attriti e contrapposizioni.
L'ultima fase della guerra civile cinese costituisce, infatti, anche il primo vero scontro della Guerra Fredda. Con la vittoria alleata sull'Asse, Stati Uniti e Unione Sovietica mettono definitivamente in pratica gli accordi di Yalta in Europa ma continuano a dividersi sulla riconfigurazione postbellica dell'Asia, a partire dallo spaventoso bombardamento atomico americano del Giappone, condannato dal Cremlino che, dopo lunghi tentennamenti, aveva già pianificato un'offensiva di terra contro Tokyo.
La presenza di un forte partito comunista, fondato nel 1921 e dotato di una sua forza armata autonoma sin dal 1927, aveva col tempo spinto Stalin a ritenere che, a differenza dell'Europa occidentale, le condizioni politiche, sociali e strategiche presenti in Cina fossero favorevoli ad una vittoria comunista. L'intuizione non era sbagliata, ma l'avevano avuta anche gli americani, che corsero ai ripari rifornendo di armi e soldi il Kuomintang e ripagandone così lo sforzo nella lotta comune durante la guerra sul Pacifico contro il Giappone.
Lo scontro ideologico si mescolò con quello politico e strategico tanto che, dopo duri conflitti tra le fazioni in lotta, nel 1946 il Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese lanciò la parola d'ordine dell'auto-difesa e richiese al governo centrale il riconoscimento politico e costituzionale delle aree liberate durante la guerra contro il Giappone, in particolare nelle campagne del Nord-Est. Chiang Kai-shek si oppose e scagliò una nuova offensiva per annientare la presenza comunista e riprendere il controllo sulle regioni contese.
Nell'ottobre del 1947 l'Esercito Popolare di Liberazione, che l'anno prima aveva assorbito ed ingrandito le file dell'Armata Rossa Cinese, lancia la sua dichiarazione per la "liberazione nazionale dall'oppressione imperialista", in questo casto rappresentata dagli Stati Uniti, "e dai traditori della patria", chiaramente individuati nel governo del Kuomintang.
Da qui in avanti, la controffensiva comunista non conoscerà ostacoli. L'attacco invernale del dicembre 1947 in Manciuria rafforza nettamente l'Esercito Popolare di Liberazione nella regione, dove in poco più di sette mesi arriva a contare su 54 divisioni per un totale di circa 700.000 uomini, e a controllare il 97% del territorio e l'86% della popolazione. Il 12 settembre del 1948 scatta la Campagna di Liaosen, che in meno di due mesi consolida ed espande il potere comunista in tutta la Manciuria. Il 6 novembre successivo l'Esercito Popolare, con la Campagna dello Huaihai, parte alla conquista delle aree a nord del Fiume Azzurro. Il 29 novembre, sotto il comando di Lin Biao, Luo Ronghuan e Nie Rongzhen, un milione di soldati dà il via alla Campagna di Pingjin, sfonda le linee nemiche ed il 31 gennaio 1949 entra trionfalmente a Pechino.
Nell'aprile successivo anche Nanchino, allora capitale politica del Paese, cade in mano all'EPL costringendo Chiang Kai-shek e i suoi sodali alla fuga verso l'isola di Taiwan, dove, col supporto degli Stati Uniti, poté fondare una piccola repubblica nazionalista, ancor oggi in vita nonostante la sua illegalità sia internazionalmente riconosciuta dal 1971.
Il Primo Ottobre del 1949, Mao Zedong proclama da Piazza Tienanmen la nascita della Repubblica Popolare Cinese.
Il Primo Ottobre oggi
Oggi la ricorrenza del Primo Ottobre mantiene un significato ancora molto importante in Cina. Il Paese è profondamente cambiato da allora, avendo compiuto passi da gigante che l'hanno riportato ad una dimensione di potenza economica, commerciale e militare di fatto scomparsa dopo la metà del XIX secolo.
I primi anni del potere comunista hanno ripristinato dunque la sovranità territoriale e l'indipendenza nazionale, fattori indispensabili per la costruzione di un sistema sociale effettivamente fondato sulla democrazia popolare. Tuttavia, i problemi intrinseci ad un Paese complesso e sterminato come la Cina ed i limiti del marxismo ideologico europeo nella capacità di fornire analisi e soluzioni adeguate ai contesti extra-occidentali hanno fatto emergere una serie di contraddizioni, esplose definitivamente nel 1966 quando la Rivoluzione Culturale spaccò in due il Partito Comunista Cinese. Il duro confronto tra le due anime del potere si concluse con la cocente sconfitta della 'sinistra', incarnata dalla Banda dei Quattro, e la netta vittoria della 'destra', figlia del pensiero di Liu Shaoqi, poi ereditato e sviluppato da Deng Xiaoping.
Con l'avvio della politica di riforma e apertura, il volto della Cina è cambiato notevolmente. La nuova formula del 'socialismo con caratteristiche cinesi' ha aperto il Paese agli investimenti esteri e lanciato le quattro modernizzazioni, recuperando al contempo l'eredità confuciana, disprezzata dall'ultra-sinistra, ed incorporando numerosi concetti del filosofo cinese nella dottrina politica del Partito. Tra i più noti ci sono senz'altro xiǎokāng, il "moderato benessere" diffuso in tutta la società, che è l'obiettivo fissato da Pechino per lo storico traguardo del centenario della Repubblica Popolare nel 2049, e héxié shèhuì, la "società armoniosa" dove certe "contraddizioni in seno al popolo" - per dirla con Mao - possano definitivamente scomparire, determinando un contesto caratterizzato da stabilità sociale, responsabilità morale e ricchezza culturale.
Quest'anno la tradizionale celebrazione per ricordare la fondazione della Repubblica Popolare ha avuto un profilo più basso. E' stata preceduta dalla Giornata dei Martiri per la Patria, una commemorazione introdotta lo scorso anno per ricordare "coloro che - secondo la definizione del governo - hanno sacrificato le proprie vite per l'indipendenza e la prosperità della nazione, così come per il benessere del popolo nei tempi moderni, o dopo la Prima Guerra dell'Oppio".
Anche in questo Primo Ottobre, i motivi dell'unità nazionale e dello sviluppo pacifico sono stati ribaditi dal presidente Xi Jinping, che ha incontrato come di consueto alcune rappresentanze delle minoranze etniche autoctone, pari a circa l'8% della popolazione nazionale. Eppure, quest'anno la grande parata militare è stata anticipata al 3 settembre, quando la Cina ha celebrato, per la prima volta in modo così plateale, la vittoria sul Giappone del 1945.
In questa due-giorni celebrativa, Pechino ha scelto toni più sommessi, quasi riservati, probabilmente anche in segno di cordoglio per le vittime di un nuovo attentato nel Paese, che stavolta ha colpito il centro di Liucheng, nella Regione Autonoma del Guangxi, con 17 pacchi bomba fatti deflagrare nella giornata di ieri ed una nuova esplosione nella mattinata di oggi, provocando morti e feriti.
Era una fabbrica, ora è una potenza
Se le indagini dovessero portare gli inquirenti nuovamente sulla pista del terrorismo uiguro, si tratterebbe dell'ennesimo episodio di sangue in un turbine di violenza islamista che cerca evidentemente lo scontro aperto con Pechino nel tentativo di secedere la regione dello Xinjiang e di dissuadere il governo da qualsiasi tipo di intervento in Siria contro l'ISIS e le altre formazioni estremiste.
Secondo alcune indiscrezioni pubblicate dal quotidiano arabo al-Masdar, la Cina avrebbe già deciso di intervenire in Siria nelle prossime settimane al fianco delle forze aree della Federazione Russa, operative da più di 24 ore. Rimbalza, senza conferme ufficiali, anche l'ipotesi in base alla quale la portaerei cinese Liaoning si troverebbe al largo delle coste siriane per fornire sostegno logistico ai mezzi aerei russi e - se e quando arriveranno - a decine di caccia multiruolo cinesi J-15. Di certo c'è che lunedì scorso il Ministero degli Esteri cinese ha dichiarato in una nota che "la Cina è pronta ad unirsi alla lotta contro il terrorismo al fianco della comunità internazionale". Che la voce sulla presenza militare cinese al largo di Latakia sia vera o meno, resta il fatto che Pechino vuole recitare un ruolo sempre più attivo nei grandi processi decisionali mondiali.
L'intervento di Xi Jinping all'Assemblea Generale dell'ONU, dove il mondo ha celebrato i 70 anni dalla nascita del consesso, ha consegnato agli osservatori internazionali una leadership matura, aperta al dialogo ma anche capace di individuare quei fattori critici che stanno destabilizzando l'economia mondiale e la politica di alcune aree-chiave del pianeta. La soluzione cinese è quella di ricorrere "alla mano invisibile e a quella visibile", di integrare cioè la dinamicità delle forze sane del mercato con l'intervento dei governi e la forza decisionale di una dimensione politica che oggi in Europa appare sempre più svuotata dallo sbilanciamento tra economia reale e finanza e da costanti e ripetute cessioni di sovranità.
La Cina non mostra i segni di profondi problemi strutturali di tenuta per la serie di ribassi registrata nelle piazze di Shanghai e Shenzhen negli ultimi tre mesi perché il volume complessivo del suo mercato azionario è pari a meno della metà del PIL annuo e gli andamenti dei titoli non incidono in modo significativo sul risparmio privato e, dunque, sui consumi.
La Cina ormai non produce più milioni di semilavorati o beni di consumo per rivenderli al resto del mondo a prezzi convenienti. Ha compiuto passi da gigante nei settori dell'alta-tecnologia, della ricerca e dell'innovazione. Smartphone, tablet, portatili, computer, supercomputer, infrastrutture futuristiche, 'treni-proiettile' ad alta velocità e un know-how in costante acquisizione, che nel 2014 ha confermato la nazione asiatica prima potenza mondiale per numero di brevetti depositati.
Per questi ed altri motivi, certi luoghi comuni sul plagio, sull'arretratezza, sulla scarsa qualità dei prodotti e sulla fantomatica tendenza alla truffa, attribuiti ai cinesi, sono ormai polverizzati da cifre e dati che ne riducono la portata alla dimensione di una chiacchiera da bar, sulla quale - pur tuttavia - molte testate occidentali a volte non esitano a costruire un articolo per poter vendere qualche copia in più o guadagnare accessi.
Andrea Fais - Agenzia Stampa Italia