(ASI) Nella giornata di ieri, il presidente cinese Xi Jinping e sua moglie Peng Liyuan, famosa cantante soprano e presidentessa dell'Accademia Artistica dell'Esercito Popolare di Liberazione, sono atterrati a Seattle, sulla costa occidentale degli Stati Uniti.
Per Xi si tratta del secondo viaggio nel Paese nordamericano da quando occupa la poltrona più importante della Repubblica Popolare. Quella del giugno 2013, però, fu una tappa di un tour più esteso che prima di raggiungere Obama in California coinvolse Trinidad e Tobago, Costa Rica e Messico, tre partner che Pechino considera importantissimi per la sua trama di cooperazione e investimenti nella regione centramericano-caraibica.
Questa è invece la prima visita di Stato ufficiale di Xi Jinping negli Stati Uniti, che si protrarrà per sei giorni e si concluderà al Palazzo di Vetro di New York dove, tra il 26 e il 28 settembre, il presidente cinese prenderà parte alle celebrazioni per il settantesimo anniversario della fondazione dell'ONU. In agenda inclusi anche il terzo Forum Sino-Statunitense dei Governatori, il Banchetto di Benvenuto, entrambi svoltisi poco dopo l'arrivo di Xi Jinping, ed una cena di Stato alla Casa Bianca (25 settembre).
E' indubbio che qualsiasi summit tra Cina e Stati Uniti sia ormai da considerare al livello di un vero e proprio G2 che vede confrontarsi le prime due potenze economiche mondiali. Questa visita di Stato assume così un significato di importanza globale, tanto più dopo le recenti tensioni che hanno toccato i rapporti tra i due giganti a vari livelli.
Economia, finanza e 'China-Bashing' elettorale
Sul piano economico-finanziario, non si sono ancora del tutto spenti i fuochi delle polemiche per la decisione presa lo scorso agosto dalla Banca del Popolo Cinese [banca centrale, nda] di svalutare lo yuan del 4,65% in appena tre giorni, criticata dai mercati occidentali per aver provocato un'improvvisa ondata di panico - poi rientrata quasi subito - ma ritenuta necessaria da Pechino per stabilizzare la sua economia dopo la pubblicazione di dati poco confortanti sulla manifattura e sull'export, rivelatisi inferiori alle aspettative generali della 'Nuova Normalità' fissata da Xi Jinping nel 2014. Tutto ciò nella più estesa contingenza di una preoccupante serie di ribassi sulle piazze di Shanghai e Shenzhen, registrata tra giugno e agosto, fino al picco critico del 24 agosto scorso quando Shanghai chiuse la seduta cedendo l'8,49%.
Xi Jinping è volato negli Stati Uniti anche per rilanciare il commercio bilaterale. Secondo quanto scrive il direttore esecutivo dell'Istituto Chongyang per gli Studi Finanziari dell'Università Renmin, Wan Weng, sul Global Times, "a New York gli investitori che fanno affari con la Cina hanno una visione completamente diversa delle relazioni sino-americane" rispetto a Washington, tanto che "si stanno chiedendo perché gli Stati Uniti si siano rifiutati di aderire all'Asian Infrastructure Investment Bank (AIIB) e perché alla Cina sia stato impedito di aderire alla Trans-Pacific Partnership [TPP, ndt]", oltre a riservare critiche verso un mercato statunitense ritenuto "meno aperto" agli investimenti esteri di quello cinese. Problemi che mettono in evidenza quella stretta connessione tra politica ed economia che in Occidente molti analisti tendono a rifiutare in base ai crismi - più teorici che pratici - del pensiero liberale.
Il ritorno ad un forte protezionismo anti-asiatico da parte nordamericana non è ancora del tutto definito ma chi dovesse fare zapping sui principali canali televisivi impegnati a seguire la corsa alle presidenziali, non potrebbe fare a meno di notare l'immancabile clima, più o meno velato, da 'China-Bashing', un'offensiva di tipo politico, commerciale e talvolta culturale, già praticata negli anni Ottanta contro il Giappone, il 'Japan-Bashing' appunto, accusato principalmente per aver messo in discussione il primato dei marchi statunitensi sul mercato dei prodotti elettronici.
Fermi restando gli altissimi dazi applicati negli ultimi tredici anni dal Congresso nordamericano su pannelli solari e laminati in acciaio cinesi, per ora si tratta di un'aggressività prevalentemente verbale che non coinvolge soltanto alcuni candidati repubblicani come Donald Trump, Scott Walker o Marco Rubio. Proprio in vista della sessione plenaria delle Nazioni Uniti del fine settimana, lo stesso Barack Obama si è rifiutato di alloggiare nel piano tradizionalmente riservato per l'occasione del Walford Astoria Hotel di New York, recentemente rilevato dal gruppo assicurativo cinese Anbang, preferendo il New York Palace Hotel. La Casa Bianca ha ufficialmente motivato la scelta riferendosi "alle circostanze mutate, che includono possibili preoccupazioni per la sicurezza, ma anche i posti disponibili e il prezzo", cosa che di certo non aiuta a rafforzare il clima di fiducia e cooperazione preannunciato dalle parti.
La crisi siriana e le vane speranze di Kissinger
Malgrado gli auspici del decano Henry Kissinger, 'regista' dello storico incontro tra Richard Nixon e Mao Zedong a Pechino nel 1972, molti analisti concordano che i due leader non affronteranno direttamente le questioni bilaterali più dirimenti. Kissinger, che all'epoca cercava di sfruttare la tensione ideologica e militare tra Mosca e Pechino per isolare l'URSS, ha recentemente parlato di una "cooperazione obbligata" tra le due potenze, di fronte all'oggettiva ascesa del Paese asiatico. Tuttavia, da allora, le condizioni geopolitiche sono cambiate radicalmente e proprio l'assenza di quel "nemico comune" richiamato dall'ex consigliere di Stato americano, lascia spazi ben più ampi ai vettori della politica estera cinese. Su tutti, quello che porta Pechino a consolidare i suoi rapporti privilegiati con la Russia di Putin.
All'ONU, invece, probabilmente Xi Jinping - oltre ad un bilancio generale sull'impegno cinese negli ambiti del peacekeeping, della sicurezza alimentare e della lotta ai cambiamenti climatici - non tralascerà la crisi siriana, che solo apparentemente coinvolge in via esclusiva i rapporti russo-americani. Sebbene da una posizione più distante, Pechino ha infatti sempre sostenuto la necessità di garantire un processo pacifico a Damasco, condannando qualsiasi tentativo di risolvere i problemi attraverso il ricorso alla forza o alla destabilizzazione violenta - un orientamento che si è rafforzato da quando l'opposizione armata al presidente siriano Assad è stata di fatto egemonizzata dall'integralismo dell'ISIS e del Fronte al-Nusra (al-Qaeda).
In particolare, è la connessione tra l'estremismo islamista/separatista attivo nella regione autonoma cinese dello Xinjiang e la jihad mediorientale ad aver allarmato il governo asiatico, dopo aver scoperto nel corso degli ultimi due anni che lo Stato Islamico ha reclutato centinaia di miliziani uiguri con la probabile complicità di alcuni ambienti politico-terroristici della Turchia, dove la causa indipendentista uigura gode di appoggi su base sia etno-nazionalistica che religiosa.
I temi della sicurezza collettiva hanno occupato molto spazio nel recente vertice congiunto del BRICS e dell'Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (SCO), svoltosi nel luglio scorso ad Ufa, in Russia. Il ruolo assertivo recentemente assunto dal Cremlino, intervenuto direttamente in Siria con propri addestratori e mezzi militari, potrebbe essere affiancato da un inedito impegno anti-terrorismo cinese fuori dai propri confini, come lascia trapelare proprio oggi il quotidiano arabo al-Masdar.
Dopo aver sostenuto le ragioni dei ribelli ed essere stato sul punto di intervenire militarmente contro la Siria per destituire il presidente Assad alla fine del 2013, l'amministrazione Obama è oggi sotto l'occhio del ciclone, accusata da molti analisti, anche occidentali, di aver contribuito a creare condizioni favorevoli all'ascesa dell'ISIS col supporto della Turchia, del Qatar e dell'Arabia Saudita, interessate - per varie ragioni - al regime-change in Siria. Oltre alla pericolosa proliferazione del terrorismo nell'area mediterranea, con le drammatiche conseguenze registrate in Francia, pesano sulla bilancia delle responsabilità le stragi di cristiani e le violazioni di numerosi luoghi sacri in Siria e in Iraq. La contemporanea visita di Papa Francesco negli Stati Uniti e il consenso di Netanyahu recentemente incassato da Putin aumentano le pressioni sulla Casa Bianca, che potrebbe infine cedere ed acconsentire ad un intervento diretto della Russia contro l'ISIS, magari proprio con l'appoggio logistico della Cina.
Isole contese, riarmo del Giappone e schermaglie aeronavali
Sul piano militare, saranno la situazione nel Mar Cinese Meridionale e lo stato dei rapporti sino-giapponesi a tenere banco nel confronto diretto tra Xi e Obama. Negli ultimi mesi, la tensione per gli arcipelaghi contesi è cresciuta, soprattutto con le Filippine per quanto riguarda l'Arcipelago delle Isole Nansha (Spratly). Oltre alla storica questione taiwanese, dove Washington continua a sostenere una repubblica illegale che formalmente non riconosce, restano sul tavolo le tensioni con altri Paesi, tutti più o meno direttamente appoggiati dagli Stati Uniti, per i quattro arcipelaghi delle Nansha (Spratly), delle Xisha (Paracel), delle Dongsha (Pratas) e delle Zhongsha. Nel Libro Bianco sulla situazione nel Mar Cinese Meridionale, pubblicato non molto tempo fa, Pechino non fa segreto di rivendicare la sovranità sulla totalità degli arcipelaghi adducendo ragioni storiche e politiche. Washington denuncia regolarmente la costruzione di isolette artificiali, che sorgerebbero drenando sabbia dal fondale e che sarebbero utilizzate da Pechino al fine di ampliare la sua sfera di sicurezza. Motivi analoghi avevano spinto già tre anni fa la Commissione Militare Centrale ad approvare l'edificazione di una base militare nel piccolo centro di Sansha, elevato per l'occasione allo status amministrativo di città, sull'Isola Yongxing, nell'Arcipelago delle Xisha (Paracel), rivendicato da Vietnam e Taiwan.
Xi chiederà invece spiegazioni ad Obama sul sostegno di Washington alla nuova strategia militare giapponese. A margine della visita ufficiale del primo ministro Shinzo Abe negli Stati Uniti dello scorso 28 aprile, i due Paesi avevano definito le nuove linee-guida nella cooperazione difensiva nel quadro del Commissione Consultiva per la Sicurezza Nippo-Statunitense. Il ministro della Difesa Gen Nakatani e il segretario alla Difesa Ashton Carter, sotto la supervisione del ministro degli Esteri Fumio Kishida e del segretario di Stato John Kerry, avevano concluso un importante protocollo che, riconoscendo l'alleanza nippo-statunitense "come un fondamento di pace e di sicurezza nella regione Asia-Pacifico ed una piattaforma per promuovere un ordine di sicurezza internazionale più pacifico e stabile", riaffermava l'impegno di Washington al fianco di Tokyo e il suo sostanziale appoggio alla revisione costituzionale di Abe in tema di difesa e ai conseguenti piani di riarmo delle Forze di Auto-Difesa giapponesi, velati dietro la formula del "contributo proattivo alla pace".
Proprio nell'incipit della visita di Xi Jinping, il Pentagono pare non voler fare sconti e scavalca Obama annunciando che otto giorni fa, il 15 settembre, un cacciabombardiere cinese Xian JH-7 ha intercettato un Boeing RC-135, un 'aereo spia' dell'esercito statunitense, volandogli a poche decine di metri di distanza, sopra il Mar Giallo, a 144 chilometri dalle coste cinesi dello Shandong ma ancora in acque internazionali. Secondo quanto riferisce Repubblica.it, Peter Cook, portavoce del Pentagono, ha riportato la versione del pilota che sostiene di aver visto passare il velivolo militare cinese davanti al muso del suo aereo "in modo pericoloso".
Nel mese scorso, durante la visita ufficiale di Obama in Alaska, cinque navi da guerra cinesi erano entrate nel Mare di Bering a conclusione di un'esercitazione congiunta con le Forze Armate Russe. Anche in quel caso, negli Stati Uniti si sostiene che si sia trattato di una violazione territoriale e di una provocazione, proprio alla vigilia del 3 settembre, il giorno della grande parata militare per i settanta anni dalla vittoria nella Seconda Guerra Mondiale.
Da Pechino nessun commento specifico alle vicende, ma è chiaro che gli Stati Uniti oggi non possono più porsi di fronte alla Cina come venti o quaranta anni fa. Gli equilibri sono cambiati ma Obama ancora lo ha capito solo in parte. Il presidente degli Stati Uniti ha favorito ed ampliato il dialogo con il mondo islamico, perfino oltrepassando certi limiti di opportunità, come nel caso delle 'primavere arabe' e della Siria in particolare, e conserva il buon senso di non sfidare apertamente la Cina. Di fatto ha così ripudiato Samuel Huntington e buona parte dei propositi del PNAC, che invece aveva solleticato le fantasie del suo predecessore democratico Bill Clinton nel 1998. Tuttavia ha portato a livelli di tensione globali lo scontro con Mosca esacerbando una questione regionale come quella relativa all'appartenenza della Crimea e all'indipendentismo filo-russo in Ucraina sud-orientale.
Da questo confronto capiremo qualcosa in più, almeno sino al termine del prossimo anno, quando un nuovo inquilino prenderà possesso della Casa Bianca.
Andrea Fais - Agenzia Stampa Italia