(ASI) Nel giro di pochi giorni il Brasile è tornato al clima di tensione politica del marzo scorso.
Centinaia di migliaia di persone hanno manifestato il proprio dissenso nei confronti di Dilma Rousseff, per chiederne l'impeachment, in varie città del Paese, salvo poi essere sostanzialmente "annullate" da manifestazioni altrettanto numerose in favore della presidentessa brasiliana appena tre giorni dopo.
Lo scorso 17 agosto, le strade principali della ricca San Paolo e della turistica Rio de Janeiro avevano fatto da teatro per gli imponenti e colorati cortei delle sigle di opposizione, riconducibili in gran parte al Partito Social-Democratico Brasiliano (centrista e liberal-conservatore) di Aecio Neves, sconfitto proprio lo scorso ottobre dalla Rousseff in una delle tornate elettorali più combattute nella storia democratica brasiliana. In quella sfida, il divario tra i due avversari si assottigliò notevolmente rispetto alle presidenziali di quattro anni prima, registrando una prima importante flessione per la candidata del Partido dos Trabalhadores (socialista e riformista), affermatasi al secondo turno con "soli" 2 milioni di voti in più.
Il caso Petrobras
Durante quella campagna elettorale, per la Rousseff fu decisivo, tra gli altri, il sostegno diretto in quasi tutte le piazze del Paese da parte dell'ex presidente Lula, figura che gode ancora di un grande carisma, soprattutto fra gli strati meno abbienti della popolazione. La campagna mediatica scatenata dalle opposizioni durante la scorsa estate ha invece mirato a strumentalizzare i Mondiali di calcio per usarli come cassa di risonanza internazionale, con bordate di fischi negli stadi innescate quasi ad orologeria non appena fosse inquadrata la Rousseff nei maxischermi dell'impianto, e l'incessante lavorio del Grupo Globo, il potente gruppo editoriale brasiliano vicino al centro-destra e alle fondazioni sostenute da Washington.
L'opposizione le tentò tutte, creando un ampio fronte che andava dall'eco-socialista Marina Silva, giunta terza al primo turno, alla destra conservatrice del Partido Trabalhista Cristão e del Partido Trabalhista Brasileiro. Eppure, le regioni più arretrate del Nord-Est, dove Lula e Dilma ottengono alti o altissimi consensi, hanno retto l'onda d'urto del giustizialismo che continua a serpeggiare nel Paese specie dopo la divulgazione dei nomi di oltre 50 politici indagati dalla magistratura brasiliana per il loro presunto coinvolgimento nella rete di corruzione interna al gigante petrolifero Petrobras.
Risultano indagati anche il presidente della Camera Eduardo Cunha ed il presidente del Senato Renan Calheiros, oltre all'ex ministro dell'Energia Edison Lobao, all'ex ministro delle Finanze Antonio Palocci e a diversi altri esponenti della maggioranza. L'accusa ipotizza il versamento di diverse tangenti - si parla di una cifra complessiva pari a 3 miliardi di euro - che alcuni dirigenti di Petrobras avrebbero versato ad esponenti istituzionali e governativi per finanziare la campagna elettorale dei rispettivi partiti in cambio di favori e facilitazioni.
Tentativo di golpe?
Così, mentre la destra brasiliana chiede l'impeachment per Dilma Rousseff, lo zoccolo duro dell'elettorato socialista grida al tentativo di golpe in un Paese dove un clima del genere non può non essere preso sul serio. La storia del Brasile nel Novecento è una tra le più travagliate dell'intero continente latino-americano. Scosso da scontri violentissimi, guerre civili, criminalità, degrado, povertà e diseguaglianza sociale spinta, il Brasile ha cominciato a conoscere i primi elementi di democrazia parlamentare soltanto nel 1985, con la fine di una fra le dittature militari più dure e repressive mai viste all'opera, forse (e si sottolinei il forse) seconda soltanto a quelle di Pinochet in Cile e di Videla in Argentina.
Su quella drammatica esperienza, durata un intero ventennio, pesa come un macigno la responsabilità diretta degli Stati Uniti che, con l'Operazione Brother Sam, fornirono il sostegno militare e politico ai generali golpisti per impedire che João Goulart, erede politico dell'indimenticato presidente Getúlio Vargas, potesse riconquistare il suo ruolo.
Da allora l'interferenza di Washington nella politica brasiliana è mal tollerata dagli ambienti politici e dagli strati sociali più penalizzati dalla dittatura militare, fino al recente scandalo Datagate, che, tra i tanti casi, ha coinvolto anche la stessa Rousseff, spiata, secondo Wikileaks, dalla National Security Agency americana nel 2011. Quel caso portò alla rottura delle relazioni diplomatiche tra Brasilia e Washington, poi ricucite alla meno peggio qualche mese fa. Un coinvolgimento, anche indiretto, della Casa Bianca nelle attività di protesta scatenate nel Paese dalle opposizioni liberali non sarà tollerato né dal Brasile né dalla Russia, che durante il mandato ministeriale di Celso Amorim è diventata uno dei principali partner di Brasilia nel settore della difesa e degli armamenti.
Ripensare il mercato interno
Le difficoltà evidenti che da circa due anni stanno bloccando la ripresa economica del Paese, inchiodandolo su tassi di crescita bassissimi, giocano un ruolo importante. Negli anni d'oro della presidenza Lula, gli investimenti nello stato sociale, per l'assistenza, i servizi pubblici, la sanità, l'istruzione e l'aumento del salario minimo (Bolsa Familia, Minha Casa Minha Vida, Luz para Todos ecc. ...) avevano dato forte impulso ai consumi, contribuendo a formare una prima vera classe media in un Paese sempre contraddistinto da grandi squilibri di classe. Negli ultimi dodici anni, ben 35 milioni di brasiliani sono stati strappati alla povertà estrema, centinaia di migliaia di senzatetto hanno ricevuto per la prima volta le chiavi di una casa di proprietà completa dei servizi essenziali; il 50% dei posti negli atenei è stato riservato a studenti provenienti dalle scuole pubbliche, quando fino a dieci o vent'anni fa le università erano appannaggio quasi esclusivo degli studenti provenienti da famiglie benestanti; tra il 2003 e il 2009 hanno beneficiato del piano di elettrificazione nelle aree sprovviste (soprattutto rurali) 10 milioni di cittadini, aumentati a circa 15,5 milioni tra il 2010 e il 2015.
La crisi internazionale del 2008 ha ridimensionato le aspettative di crescita, ma la direttrice di politica estera del governo brasiliano, che ha integrato il Paese nel gruppo BRICS, ha fatto sì che l'economia schivasse i colpi più duri. Almeno per qualche anno. Tra il 2012 e il 2013, la critica congiuntura internazionale ha messo in forte difficoltà anche l'economia brasiliana, che ora deve trovare nuove soluzioni per rilanciarsi e procedere lungo la via dello sviluppo.
Uno dei cardini della politica di Dilma Rousseff è il settore infrastrutturale, dove grandi opere ferroviarie, stradali e idroelettriche stanno trasformando il volto del Paese, connettendo Stati (va ricordato che il Brasile è una repubblica federale territorialmente immensa) molto distanti tra loro, non solo geograficamente ma anche socialmente e culturalmente. Sia Lula che la Rousseff credono fermamente nel rilancio del Nord, per decenni tagliato fuori dallo sviluppo generale del Paese e discriminato da forme di classismo e razzismo, che creano a quelle latitudini un'ovvia ostilità verso le classi ricche di San Paolo o di Rio de Janeiro.
La fase delicata che sta attraversando la Cina, partner economico fondamentale per il Brasile, deve preoccupare, ma non gettare nel panico. Era logico che, dopo quasi otto anni di crisi nel mondo occidentale, anche le economie emergenti - subentrate in breve tempo a quelle pienamente avanzate nel ruolo di traino dell'economia mondiale - avrebbero fatto ingresso in una fase di contrazione o rallentamento dalla durata ancora incerta.
Anche dando un'occhiata alle relazioni dell'ONU degli ultimi anni, Cina, India e Brasile hanno guidato la ripresa globale dal 2009 in poi. Ma i mercati europei e nordamericani, in questi sei anni, non sono stati in grado di rimettersi pienamente in carreggiata. Anche negli Stati Uniti, i recenti dati positivi, senz'altro "drogati" e ben lontani dal fantomatico +5% del 2014, sono notevolmente al di sotto dei ritmi di dieci o quindici anni fa. Dal canto loro, le economie emergenti non hanno certo la bacchetta magica che garantisca una crescita abbondante ed infinita. Anzi, sembra giunto il momento che i BRICS (e non solo) mettano mano a matita e righello per ridisegnare e ristrutturare i propri mercati interni, alla luce di un evidente calo della domanda estera e del crollo del prezzo del petrolio. E la recente svalutazione dello yuan operata dalla Banca centrale cinese sembra andare proprio in questa direzione.
Un mandato da concludere e un "gioiello" da difendere
Nell'incertezza e tra le grida giustizialiste, restano saldi alcuni dati oggettivi. La Rousseff, fin'ora del tutto estranea ai fatti relativi al caso Petrobras, finisce ancora una volta sulla graticola delle opposizioni di destra e dei movimenti della sinistra radicale extra-parlamentare per il principio del "non poteva non sapere", una vulgata - ahi noi - tristemente nota in Italia, utilizzata ad intermittenza principalmente per colpire avversari politici scomodi o delegittimare interi partiti sulla base di responsabilità esclusivamente soggettive.
Tuttavia, la Presidenta - come la chiamano in Brasile - non solo non risulta al momento indagata, ma è anche il leader legittimo del Paese, scelto dalla maggioranza (51,46%) del popolo brasiliano sulla base dei risultati politici raggiunti nel corso degli anni, che evidentemente hanno pesato più degli errori o delle questioni irrisolte. Dilma Rousseff ha dunque tutto il diritto di poter governare sino al termine del mandato che gli elettori le hanno assegnato per arginare politiche di regressione sociale, finanziarizzazione e decrescita.
Allo stesso modo, la Petrobras è l'asset strategico per eccellenza del Brasile, non solo nel settore petrolifero ma anche in quelli correlati dell'innovazione e dell'ambiente (bio-diesel), un patrimonio industriale che non può subire modifiche strutturali nella natura della sua proprietà, essenzialmente statale, tanto meno sulla base di accuse tutte da dimostrare ed eventualmente riconducibili a singoli dirigenti.
Il Condor è dietro l'angolo e va fermato.
Andrea Fais – Agenzia Stampa Italia