(ASI) Quando l'economia non è ispirata dall'etica e dal senso comune di appartenenza (una gens sumus), essa si riduce al bestiale affermarsi del più spregiudicato individualismo. Allora l'insaziabile ricerca del massimo profitto personale viene prima di tutto e prima di tutti. I primi nemici diventano lo Stato e il buon governo.
Parole significative come: morale, saggezza, comunità, socialità e solidarietà vengono cancellate dal proprio vocabolario. Ma - ciò che più conta - si perde ogni briciolo di umanità. Quanto affermato si riscontra nei metodi adottati per risolvere a livello internazionale le emergenze di natura economico-sociale. Ne è un plastico esempio la crisi greca, dove un'Europa dei popoli, e non della finanza, avrebbe risolto sin dal suo nascere il problema del debito pubblico, che in origine era sostenibile. Invece, questa Europa, sempre più lontana dal comune sentire degli europei, ha lasciato che, più del debito, gli interessi usurari praticati da spregiudicati investitori-creditori (FMI compreso) si divorassero la nazione, impoverendo la popolazione, e venissero dettate distruttive ricette economiche fatte di privatizzazioni, di tagli pesanti alla Stato sociale (scuola, sanità e pensioni), col risultato di trasformare il deficit in una voragine senza fondo (prestiti + tassi d'interesse). Ma gli esempi non finiscono con la Grecia. Infatti è di oggi la notizia che il Fondo Monetario Internazionale ha rifiutato la riduzione del debito al Nepal. Ricordiamo che nell'aprile scorso il Paese asiatico è stato pesantemente colpito da un terribile sisma, che ha provocato oltre 2.000 morti, la distruzione di abitazioni e infrastrutture, con ripercussioni devastanti anche sul tessuto socio-economico del Paese, reso ancora più povero. Il Nepal, che già prima del terremoto era una delle nazioni più arretrate al mondo (PIL nominale pari a 18.958 milioni di dollari, PIL pro-capite a 690 dollari, stando ai dati del 2012). Si stimano perdite economiche attribuibili al terremoto per un valore compreso tra 1 e 10 miliardi di dollari.
Di fronte a questa immane tragedia umanitaria, i "cuori di pietra" del Fondo Monetario Internazionale hanno rifiutato la riduzione del debito al Nepal. A nulla sono valsi gli appelli internazionali, a nulla sono bastate le iniziative, le pressioni internazionali e la campagna "Jubilee Network", portata avanti da 75 organizzazioni e 400 comunità religiose che chiedevano all'FMI di prendere atto della realtà e di tagliare il debito del Nepal.
Il Fondo Monetario Internazionale, semplicemente, ha risposto negativamente a tutte le richieste di rendere meno pesante il debito contratto dal Nepal con l'organismo finanziario. Motivo del gran rifiuto? A giudizio del Fondo, il sisma non è stato abbastanza distruttivo. Non erano, cioè, stati soddisfatti alcuni criteri per avvalersi del sostegno dopo un disastro naturale: non è stato colpito direttamente più di 1/3 della popolazione e non c'è stato un grave danno all'economia.
Alla luce di questi esempi si capisce perché sta salendo il numero di Paesi che non vogliono avere più rapporti con il FMI, come l'Ungheria di Viktor Orban, che ha estinto il suo debito di 20 miliardi contratto dal Paese magiaro col Fondo Monetario Internazionale negli anni scorsi. Oltre al coraggio politico, Orban ha dimostrato che le alternative esistono e sono rappresentate dalle potenze emergenti, a cominciare dai BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) che grazie alla loro unità d'intenti stanno riscuotendo credibilità e crescente successo e peso politico. Soprattutto la Russia e la Repubblica Popolare Cinese (seconda economia mondiale, di poco distante dagli Stati Uniti), che sulla strutturazione dei debiti fra gli Stati, con i loro apparati bancari, hanno approcci diversi e soluzioni più convenienti. In un mondo multipolare, queste potenze stanno adottando una politica estera volta ad affermare il loro ruolo primario su scala globale. Un'espansione mirata alla ricerca di realizzare nuovi equilibri geopolitici e strategici.
Non è un caso che i progetti internazionali di Pechino e Mosca siano osteggiati da certi potentati economici internazionali (FMI compreso), che vedono ridursi notevolmente le loro influenze politiche e i loro profitti. Una cosa è certa: la Cina è ormai da un anno la prima potenza mondiale per commercio estero e la Russia di Putin non ha più nulla a che vedere con quella impoverita e pavida governata da Eltsin negli anni Novanta.
Ettore Bertolini - Agenzia Stampa Italia