Mar Cinese Meridionale: sale la tensione ma Pechino ha le sue ragioni

(ASI) Da oltre due anni sta andando avanti una disputa particolarmente accesa nelle acque del Mar Cinese Meridionale che vede contrapporsi la Cina e le Filippine.

In realtà si tratta di un contenzioso nel contenzioso, perché la situazione marittima nell'Arcipelago delle Isole Nansha (Spratly) costituisce da decenni una delle più intricate matasse per il diritto internazionale. L'ultimo caso prende corpo il 22 gennaio 2013, quando il Ministero degli Affari Esteri filippino notifica all'Ambasciata cinese di Manila un reclamo ufficiale e l'annuncio dell'avvio di un arbitrato internazionale in base a quanto stabiliscono in materia l'Art. 287 e la VII Appendice della Convezione ONU sul Diritto Marittimo del 1982. La reazione cinese non si fa attendere a lungo, e meno di un mese più tardi il governo rigetta e respinge al mittente la notifica, affermando a più riprese nei mesi successivi che, per ragioni giuridiche e storiche, non accetterà mai di partecipare all'arbitrato nei termini proposti dalle Filippine.

Le ragioni cinesi tra diritto e storia
In primo luogo, Pechino considera improprio che la disputa con Manila ricada sotto la giurisdizione internazionale attraverso lo strumento dell'arbitrato, per di più richiesto unilateralmente, ricordando al governo filippino quanto stabilito dalla Dichiarazione sulla Condotta delle Parti nel Mar Cinese Meridionale, siglata il 4 novembre del 2002 in Cambogia nel quadro del vertice ASEAN tra i Paesi membri, Filippine incluse, e la Cina. Quel documento multilaterale andava a rafforzare quanto concordato sulla questione in seno a precedenti accordi bilaterali sino-filippini nel 1995 (Consultazioni sul Mar Cinese Meridionale e Altre Aree di Cooperazione), nel 1999 (Vertice del Gruppo di Esperti Cina-Filippine sulle Misure di Confidence-Building), nel 2000 (Accordo sulla Struttura della Cooperazione Bilaterale nel XXI secolo) e nel 2001 (III Vertice del Gruppo di Esperti Cina-Filippine sulle Misure di Confidence-Building). All'interno del protocollo ASEAN del 2002, inoltre, la Convenzione ONU, sebbene menzionata tra le 'muse' ispiratrici, veniva subordinata alle "consultazioni amichevoli" e ai "negoziati tra gli Stati sovrani direttamente coinvolti" (Art. 4).
In secondo luogo, ma non per importanza, la Cina rivendica "diritti storici" sull'intero Arcipelago e su tutte le altre isole contese. Secondo quanto affermato dal governo della Repubblica Popolare nel Libro Bianco sulla Questione della Giurisdizione nel Mar Cinese Meridionale, pubblicato il 7 dicembre 2014, "le attività cinesi" in queste acque "risalgono a più di 2000 anni fa". "La Cina - prosegue il documento - fu il primo Paese a scoprire, nominare, esplorare le isole del Mar Cinese Meridionale e a sfruttarne le risorse, ed il primo Stato ad esercitare una costante sovranità su di esse". In effetti i nomi anglosassoni e spagnoli, che ancor oggi indicano alcuni di questi arcipelaghi derivano principalmente dal passato coloniale, ma le Isole Pratas sono state per secoli note in Asia come Isole Dongsha, le Paracel come Xisha, le Spratly come Nansha, mentre l'Arcipelago delle Zhongsha ha sempre mantenuto il proprio nome originale cinese sebbene alcuni dei suoi territori conservino tutt'ora, almeno a livello internazionale, la denominazione anglofona (Macclesfield Bank e Scarborough Shoal).

Le ferite ancora aperte
I centodieci anni che vanno dal 1839 al 1949 sono conosciuti in Cina con l'emblematico nome di 'secolo delle umiliazioni'. Sia l'ex presidente Hu Jintao che l'attuale presidente Xi Jinping hanno sottolineato pubblicamente l'importanza che i giovani cinesi studino la storia della Cina contemporanea per comprendere il sacrificio compiuto dai loro antenati nei numerosi conflitti che sconvolsero l'impero più antico del mondo, dalla prima Guerra dell'Oppio sino alla Guerra di Liberazione Nazionale contro l'invasione giapponese. Le ferite inferte alla Cina dal colonialismo europeo e dall'imperialismo nipponico provocarono milioni di morti, tragedie inenarrabili e consistenti perdite territoriali. Nel corso della sua ultima offensiva contro la Cina (1937-1945), il Giappone strappò allo storico rivale alcuni di questi territori marittimi, ma tra il 1946 e il 1948 l'allora governo del Kuomintang poté recuperare le isole perdute. L'atteggiamento cinese non cambiò con la vittoria rivoluzionaria del Partito Comunista di Mao Zedong e Liu Shaoqi. Anche la nuova Cina socialista avrebbe attivamente e costantemente riaffermato la sua sovranità sul Mar Cinese Meridionale, come stabilito formalmente dalla Dichiarazione sui Territori Marittimi del 1958.
In relazione alla condotta delle Filippine prima degli anni Settanta, il rapporto cinese ricorda come "l'Art. 1 della Costituzione della Repubblica delle Filippine del 1935, intitolato 'Il Territorio Nazionale', stabilisce che 'Le Filippine comprendono tutti i territori ceduti agli Stati Uniti attraverso il Trattato di Parigi concluso tra gli Stati Uniti e la Spagna il 10 dicembre 1898 [...] assieme a tutte le isole incluse nel trattato concluso a Washington tra gli Stati Uniti e la Spagna il 7 novembre 1900 e nel trattato concluso tra gli Stati Uniti e la Gran Bretagna il 2 gennaio 1930, e tutti i territori sui quali l'attuale governo delle Isole Filippine esercita la giurisdizione'". Tra questi non erano coinvolte le isole oggi contese. Invece, "a partire dagli anni Settanta, le Filippine - prosegue il documento - hanno illegalmente occupato una serie di porzioni marittime delle Isole Nansha cinesi [Spratly, ndt], tra cui Mahuan Dao, Feixin Dao, Zhongye Dao, Nanyao Dao, Beizi Dao, Xiyue Dao, Shuanghuang Shazhou e Siling Jiao".
Della richiesta di arbitrato, il governo cinese contesta a Manila anche il carattere provocatorio, messo in evidenza dal fatto che "le Filippine hanno deliberatamente escluso dalla categoria dei territori marittimi 'occupati e controllati dalla Cina' la più estesa isola dell'Arcipelago delle Nansha, Taiping Dao, che è attualmente controllata dalle autorità di Taiwan". Per Pechino, questo costituisce "una grave violazione del Principio di 'Una Sola Cina' e un insulto alla sovranità e all'integrità territoriale della Cina". La pressione militare statunitense su Taiwan, infatti, impedisce ancora oggi che i "compatrioti oltre lo Stretto" - come è solita definirli Pechino - possano ricongiungersi alla Terraferma anche de facto, oltre che de iure come già sancito dall'ONU nel 1971 e dal Taiwan Relations Act adottato dal Congresso USA nel 1979, ma tutt'ora disatteso e più volte violato attraverso reiterate legittimazioni politiche dell'isola secondo la dicitura illegale 'Repubblica di Cina' e la compravendita di materiale militare tra Washington e Taipei.

La difesa attiva e le due 'catene insulari'
Il nuovo Libro Bianco della Difesa pubblicato dal governo cinese lo scorso mese di maggio, ha introdotto il concetto di "difesa attiva", un parametro che irrobustisce il raggio d'azione delle Forze Armate sia sul piano strategico che su quello tattico-operativo. Secondo il documento, per rafforzare la difesa attiva, fra le altre cose, è necessario "trovare un equilibrio tra la protezione dei diritti e il mantenimento della stabilità, e delineare una pianificazione generale per entrambi, salvaguardare la sovranità territoriale nazionale e i diritti e gli interessi marittimi, e mantenere la sicurezza e la stabilità lungo la periferia della Cina". Nello specifico della strategia navale, il Cap. IV precisa: "In linea con i requisiti strategici della difesa delle acque lontane [offshore] e della protezione dei mari aperti, la Marina dell'Esercito Popolare di Liberazione (PLAN) sposterà gradualmente la sua attenzione dalla 'difesa delle acque lontane' alla combinazione tra la 'difesa delle acque lontane' e la 'protezione dei mari aperti', e costruirà una macchina navale combattente interattiva, multifunzionale ed efficiente".
La strategia navale di lungo termine cinese, rivoluzionata negli anni Ottanta dall'Ammiraglio Liu Huaqing, memore della lezione storico-teorica del celebre collega statunitense Alfred T. Mahan, è imperniata sull'idea delle due catene di isole. La prima fu tracciata lungo la linea immaginaria transitante per le Isole Ryūkyū settentrionali, Okinawa, Taiwan, le Filippine settentrionali, il Brunei e le coste del Vietnam meridionale; la seconda lungo una linea immaginaria più distante dalle coste nazionali, in transito per il Golfo di Tokyo, l'Isola di Guam, le Isole Palau e la provincia indonesiana della Papua Occidentale. Secondo gli obiettivi fissati in passato dal governo, entro i prossimi cinque anni il percorso di potenziamento della capacità di controllo all'interno delle aree marittime delimitate da queste due catene, dovrà giungere a compimento.
Per questo, la Cina considera fondamentale il controllo dell'Arcipelago delle Nansha (Spratly), così come quello delle Xisha (Paracel), quale inevitabile passaggio alle fasi successive. Il tempo stringe e Pechino sembra intenzionata ad accelerare i ritmi prima che il prossimo presidente degli Stati Uniti possa riprendere in mano il Pivot to Asia temporaneamente accantonato da Obama, impegnato sulle crisi al momento più pressanti: Ucraina e Medio Oriente.
Le Filippine, infatti, non solo sole. Sebbene Xi Jinping abbia placato le tensioni con il Vietnam, attorno alla richiesta di arbitrato potrebbe formarsi un'alleanza molto pericolosa per la Cina: quella col Giappone di Shinzo Abe. Il testo della Strategia per la Sicurezza Nazionale, presentato dal governo di Tokyo nel dicembre 2013, sostiene apertamente che la Cina starebbe non solo aumentando il suo budget militare "senza sufficiente trasparenza", ma anche tentando di "modificare lo status-quo" nei teatri marittimi e aerei della regione "attraverso la forza fondata su tesi arbitrarie" che, sempre secondo il governo giapponese, sarebbero "incompatibili con il diritto internazionale vigente". Scontato è il riferimento alle Isole Diaoyu, nel Mar Cinese Orientale, rivendicate dalla Cina, occupate durante la guerra del 1894-'95 dal governo giapponese, che ne cambiò il nome in 'Senkaku', successivamente conquistate dagli Stati Uniti dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale ed infine nuovamente riassegnate al Giappone nel 1972 a coronamento di un trattato con il governo nordamericano.


Andrea Fais  - Agenzia Stampa Italia

 

 

 
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