(ASI) Il tema della libertà religiosa rimane delicato in una Cina candidata ad essere la superpotenza dominante di domani. Ma i vertici del Partito Comunista Cinese non aiutano nel trovare una soluzione.

Il 20 maggio il presidente Xi Jinping ha dichiarato che le religioni in Cina devono essere indipendenti dalle influenze straniere, adattarsi alla società cinese e impegnarsi a essere leali allo Stato e al Partito. Xi Jinping ha denunciato la Chiesa romana come una «potenza straniera», in grado di infiltrare agenti stranieri nel tessuto sociale cinese. Ancora una volta ha attaccato il mandato papale sulle nomine dei vescovi, visto come «un'ingerenza negli affari interni della Cina». Che si voglia trovare una "via socialista alle religioni"?
La Santa Sede ha risposto molto presto a Pechino sulla questione. Il 23 maggio il segretario di Stato vaticano Pietro Parolin ha cercato di minimizzare: «Penso e spero che le dichiarazioni» del presidente cinese Xi Jinping su religione e Stato «non vogliano precludere il dialogo con una chiusura nei confronti della Santa Sede», aggiungendo che «siamo d'accordo che essere un buon cattolico in comunione col Papa non va a scapito della lealtà di cittadino». Le parole del Presidente cinese dunque sarebbero da interpretare.
Resta da scoprire quanto le affermazioni di Xi Jinping modifichino i rapporti tra la Repubblica Popolare Cinese e la Santa Sede. Secondo Parolin, «Queste sono posizioni che da parte cinese sono state spesso ribadite. Questo non ha impedito anche negli anni precedenti di fare dei passi, dei tentativi», il quale conclude sulla continuità di un confronto che si rivela da molti anni inevitabile.

Guglielmo Cassiani Ingoni – Agenzia Stampa Italia

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