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Cirulli: la questione basca sta vivendo un periodo di transizione e cambiamenti

(ASI) Abbiamo incontrato il dottor Adriano Cirulli, direttore del Dipartimento di Lingua e Cultura Basca presso l’Upter di Roma, che per i tipi di Datanews ha appena pubblicato il saggio L’ascia e il serpente – L’Eta ed il nazionalismo basco dopo la lotta armata.

Grazie alla preparazione di un esperto in materia abbiamo quindi approfondito la conoscenza dello stato attuale della questione basca, le sue ripercussioni in Spagna ed in Europa, considerando anche la recente decisione di Londra di indire un referendum per l’indipendenza scozzese. 

 

Per chi non la conoscesse bene, può spiegarci brevemente, se possibile, cos’è la questione basca?

Sintetizzare brevemente il conflitto ormai secolare che contrappone le rivendicazioni nazionaliste basche allo Stato spagnolo e, seppur in misura minore, a quello francese, è un’impresa ardua.

Parlando della questione basca è necessaria una premessa sulla complessa dimensione territoriale. I Paesi baschi, vale a dire Euskal Herria (paese/popolo della lingua basca) è composto da sette province: 4 in territorio spagnolo, a loro volta suddivise in due entità regionali autonome diverse (la CAB, Comunità Autonoma Basca, e la Navarra) e le restanti tre in Francia, che invece non godono di nessun tipo di autonomia. I sette territori si differenziano notevolmente per le rispettive specificità locali delle forme culturali collegate all’identità basca e, soprattutto, per intensità del nazionalismo politico. Molto forte nelle 4 province “spagnole” e minoritario in quelle francesi, dove invece è rilevante soprattutto l’attivismo in ambito culturale e a difesa della lingua.

La rivendicazione nazionalista basca ha origine nei processi di costruzione e centralizzazione degli stati spagnolo e francese. In particolare la rivoluzione francese prima, e le guerre carliste avvenute in Spagna nell’Ottocento poi, hanno rappresentato una minaccia al mantenimento delle forme tradizionali basche simboleggiate dall’euskera, la lingua basca, e dai fueros, vale a dire il complesso di norme, codici e consuetudini di origine medievale, e che regolavano sia la vita sociale e politica all’interno dei territori baschi, sia i rapporti tra questi e le corone spagnola e francese. Il diritto forale è alla base delle attuali competenze in materia fiscale e di diritto civile della CAB e della Navarra.  Ai fattori politico-istituzionali, nelle province di Bizkaia e di Gipuzkoa si è aggiunta la massiccia industrializzazione iniziata a fine Ottocento, che ha profondamente cambiato la struttura sociale di questi territori, con un ulteriore attacco all’euskera e ai fueros. È in questo contesto che prende forma il moderno nazionalismo politico ad opera di Sabino Arana, ex carlista, considerato il padre del nazionalismo basco e fondatore del PNV, il Partido Nacionalista Vasco. Si trattava di un nazionalismo tradizionalista, confessionale, razzista, antisocialista, anticapitalista e indipendentista.

Dopo la prematura morte di Arana nel 1903, il nazionalismo basco ha intrapreso un processo di trasformazione e differenziazione interna, collegato agli importanti avvenimenti sociali e politici che hanno interessato la Spagna nei primi decenni del Novecento, e in particolare la guerra civile del 1936-39 e la conseguente vittoria franchista. Il regime franchista, fin dall’inizio, si è caratterizzato per una forte repressione dei movimenti operai, ma anche delle culture e lingue nazionali periferiche presenti nello stato spagnolo (basca, ma anche catalana e galiziana). È in questo quadro che prende forma una riarticolazione del nazionalismo basco, con l’emergere di Eta (Euskadi ta Askatasuna/Paese basco e Libertà), alla fine degli anni ’50, che, soprattutto a partire dal decennio successivo, si è caratterizzata per un nuovo discorso nazionalista sintesi tra liberazione nazionale e trasformazione sociale in senso socialista rivoluzionario, e per la scelta della strategia armata (messa in opera di fatto solo a partire dalla fine degli anni ’60). Negli anni del franchismo, pertanto, prende forma la divisione interna al campo nazionalista basco tra la componente moderata e cristiano-democratica del PNV, e la componente di sinistra rivoluzionaria rappresentata dall’Eta e dai settori e movimenti sociali ad essa collegati più o meno direttamente.

La morte di Franco nel 1975 ha accelerato la crisi del regime, dando il via alla denominata “transizione democratica”, risultato del patto tra le élite moderate del regime e alcuni esponenti dei principali partiti di opposizione. Uno dei temi caldi riguardava proprio la gestione delle rivendicazioni nazionaliste periferiche. La soluzione emersa è stata quella dello Stato delle Autonomie, con la concessione di importanti autonomie a Catalogna, Galizia e Paesi baschi all’interno di un assetto territoriale dello stato molto decentralizzato e potenzialmente federale composto di altre 17 Comunidades Autónomas.

La crisi multilivello che sta attraversando la Spagna in questi ultimi mesi ha fatto emergere le importanti criticità del modello politico-istituzionale postfranchista, e non solo in relazione alla questione nazionale. Tutta l’impalcatura costruita nella transizione sembra a rischio di cedimento da un momento all’altro. La recente impennata del sentimento indipendentista soprattutto in Catalogna, ma anche nelle province basche, ne è un chiaro indicatore.

 

 

Quali sono le condizioni attuali della regione basca?

 

Tenendo a mente la premessa territoriale che ho fatto all’inizio, è indubbio che il quadro politico basco è in profonda trasformazione, seppur con importanti differenze tra i due versanti dei Pirenei. Il punto simbolico di inizio della nuova fase è sicuramente rappresentato dalla decisione di Eta di cessare unilateralmente la sua attività armata, resa pubblica il 20 ottobre 2011, sebbene già da diversi mesi era evidente che qualcosa stava accadendo nella sinistra indipendentista basca. Una decisione storica, risultato di un lungo e complicato dibattito interno alla militanza indipendentista avvenuto nel biennio 2009-2010, nel contesto di dura repressione e il legalizzazione delle organizzazioni politiche e sociali indipendentiste, accompagnato dall’intervento cruciale di alcuni facilitatori internazionali. È stata la militanza indipendentista che, partendo dalla riflessione sul fallimento del precedente processo di pace del 2005-2007, ha profondamente ripensato la linea strategica del movimento, chiedendo esplicitamente ad Eta di accantonare la strategia politico-militare in favore di una scelta chiara per una strategia esclusivamente pacifica e politica.

Questa decisione ha ovviamente stravolto lo scenario politico e sociale basco. Diverse organizzazioni politiche e sociali di area nazionalista che fino a quel momento erano profondamente divise dalla questione lotta armata sì/lotta armata no si sono riavvicinate, dando così espressione politica al crescente indipendentismo sociologico. Una riarticolazione sociale e politica che ha avuto un immediato riscontro nelle urne: prima il successo della coalizione indipendentista Bildu nelle elezioni amministrative del maggio 2011 (quindi già prima dell’annuncio di Eta), che ha prodotto governi indipendentisti in importanti città, come San Sebastián o addirittura nella provincia di Gipuzkoa; successivamente il successo della coalizione indipendentista Amaiur nelle elezioni generali spagnole del 20 novembre 2011, giusto un mese dopo la storica dichiarazione di Eta; infine le recenti elezioni regionali della CAB del 21 ottobre scorso, in cui le formazioni nazionaliste nel loro complesso hanno raccolto circa il 60% del voto, corrispondenti a due terzi dei seggi del parlamento regionale. Le forze “spagnoliste” (popolari e socialisti) risultano di fatto minoritarie nello scenario sociopolitico della CAB. I risultati elettorali fotografano perfettamente la maggioranza nazionalista (più o meno indipendentista) all’interno della società basca, almeno per quanto riguarda la CAB).

La questione dell’indipendenza non è all’ordine del giorno nel breve e medio periodo, a meno di un ulteriore aggravarsi della crisi spagnola. Il PNV, che guiderà il prossimo governo basco, pur rivendicando una estensione dell’autonomia non rivendica esplicitamente l’indipendenza. La sinistra indipendentista, invece, ha l’obiettivo esplicito dell’indipendenza, ma nel breve e medio periodo i suoi obiettivi principali sono il rafforzamento del processo di pace e la normalizzazione politica, da un lato, e dall’altro il rafforzamento della costruzione nazionale, vale a dire la progressiva riduzione delle distanze politiche, sociali e culturali con le province meno nazionaliste, cioè la Navarra e i territori basco-francesi. In Navarra la tradizionale prevalenza del “navarrismo spagnolista” sta entrando in crisi, facendo prevedere un possibile incremento del nazionalismo basco anche in questo territorio. Nei territori francesi, invece, si registra in questi anni la progressiva crescita della rivendicazione di un dipartimento basco (attualmente le province basche fanno parte con altre zone non basche del Dipartimento dei Pirenei Atlantici, senza alcuna autonomia in materia linguistica, economica o politica). Lo scenario è in rapida e profonda trasformazione, e le incognite che possono influire sugli sviluppi della situazione sono diverse.

 

Quali rapporti intercorrono attualmente tra l’Eta e Madrid?

 

Al momento non risultano esserci rapporti tra Eta e il governo di Madrid. Dalla storica dichiarazione del 20 ottobre 2011 in realtà Madrid non ha fatto praticamente nessun passo nella direzione del superamento completo e definitivo del conflitto armato. Anzi, in alcuni casi sembra addirittura comportarsi come se nulla fosse successo, cercando di utilizzare il pericolo “terrorista” come risorsa per ottenere consensi in una fase di profonda crisi politica e sociale, anche se ormai tutti sono consapevoli del fatto che l’addio alle armi di Eta è vero e definitivo.

In realtà, in seguito al mutamento strategico del movimento indipendentista, l’ambito delle relazioni Eta-Stato non è quello politicamente più rilevante. La nuova strategia infatti segue lo schema definito “dei due binari”: un binario è quello della smilitarizzazione del conflitto, e coinvolge l’Eta e i due Stati, con l’ausilio dei facilitatori e osservatori internazionali, con un negoziato limitato esclusivamente a gestire la fine del conflitto armato (quindi smilitarizzazione di Eta, fine delle legislazione di emergenza antiterrorista, questione dei detenuti, e risarcimento delle vittime); l’altro binario, quello politico, riguarda tutte le forze politiche e sociali attive nella società basca, nazionaliste e non, ed è orientato a sviluppare un dialogo senza esclusioni e su basi democratiche, senza ingerenze e pressioni di alcun tipo, sul futuro dell’autogoverno basco e delle relazioni tra i diversi territori baschi. Al momento, anche sulla spinta del nuovo scenario politico-elettorale, la situazione sta avanzando quasi esclusivamente sul binario politico, mentre sul binario smilitarizzazione, nonostante le reiterate dichiarazioni di disponibilità a proseguire speditamente da parte di Eta, confermate dagli osservatori internazionali, i governi spagnolo e francese risultano ancora fermi.

 

Un paragone tra la questione basca e quella scozzese. Differenze ed analogie

 

Il recente accordo raggiunto tra governo scozzese e governo britannico sulla celebrazione di un referendum sull’indipendenza in Scozia nel 2014 rappresenta un evento importante, che avrà sicuramente conseguenze più generali sui diversi conflitti etnonazionali in Europa. Infatti, indipendentemente dal risultato del referendum scozzese, per la prima volta uno Stato dell’Europa occidentale (e non uno dei meno importanti), ha deciso di risolvere democraticamente, con una consultazione della cittadinanza, la rivendicazione di maggiore autogoverno proveniente da una delle sue nazioni periferiche. È un precedente politico e giuridico importantissimo, che non a caso è visto con estremo interesse nelle diverse nazioni senza stato europee. Il referendum scozzese potrà dare il via a una profonda ridefinizione della cartina politica dell’Europa nei prossimi anni. Nel contesto iberico, i nazionalisti catalani e baschi sono particolarmente interessanti al processo di autodeterminazione scozzese.

Nello specifico del caso basco ci sono comunque alcune importanti differenze di contesto rispetto alla Scozia. La prima grande ed evidente differenza riguarda l’esistenza della dimensione militare (o meglio della smilitarizzazione) nel caso basco, che non si registra invece nel caso scozzese. La dimensione della definitiva chiusura del conflitto armato è centrale nel caso basco, influendo notevolmente anche sugli sviluppi della dimensione prettamente politica. Un’altra grande differenza tra caso basco e Scozia riguarda l’articolazione interna dei rispettivi movimenti nazionalisti. Mentre nel caso basco, infatti, ci troviamo di fronte a un campo nazionalista differenziato al suo interno tra una destra e una sinistra, che nel nuovo scenario competono per l’egemonia, nel caso scozzese, almeno per quanto riguarda la dimensione politica, il nazionalismo è rappresentato da un’unica formazione, lo Scottish National Party, attualmente alla guida del governo di Edimburgo dopo aver ottenuto la maggioranza assoluta nelle ultime elezioni regionali scozzesi.

 

Lei è stato spesso nella regione Basca. Come vengono viste ed interpretate le istanze della Lega nord?

 

In generale la Lega Nord viene giudicata piuttosto negativamente nei Paesi baschi. E le ragioni di questo giudizio sono soprattutto di due tipi: in primo luogo c’è una critica delle motivazioni stesse della rivendicazione leghista, considerata dai nazionalisti baschi carente di ragioni storiche e culturali ben definite, e collegata invece soprattutto a ragioni economiche. La seconda motivazione è di natura politica e ideologica: il PNV è un movimento democristiano con posizioni di centro-destra rispetto alle politiche economiche e sociali, che a livello internazionale ha sviluppato relazioni con i diversi movimenti cristiano-democratici europei, e per quanto riguarda l’Italia ha sviluppato rapporti costanti con i settori dell’attuale Partito Democratico provenienti dalla ex Margherita. La sinistra indipendentista, nelle diverse sigle e organizzazioni che si sono create nel corso degli anni, si pone invece, anche a livello internazionale, come movimento di sinistra radicale, e pertanto ha sviluppato relazioni quasi esclusivamente con movimenti di sinistra, nazionalista e non. Nel corso degli anni ad esempio la dirigenza di Herri Batasuna si è più volte espressa pubblicamente per distanziarsi dalla Lega Nord. La sinistra indipendentista basca ha invece buoni e costanti rapporti con l’indipendentismo sardo.

 

Della questione basca in Italia si parla poco . Come è nata l’idea di questo libro ed è stato difficile trovare un editore disposto ad investire in questo progetto?

 

Purtroppo in Italia non solo si parla poco di questione basca, ma di movimenti nazionalisti/regionalisti in generale. L’esistenza della Lega Nord ha un’influenza negativa. Spesso i progetti editoriali, accademici o pubblicistici, su questi temi vengono considerati filo-leghisti. Ed è una cosa assurda. La questione del revival dei nazionalismi in Europa è un tema centrale della riflessione scientifica e giornalista. In diversi paesi, anche quelli coinvolti direttamente da questi tipi di conflitti e rivendicazioni (Regno Unito, Belgio e la stessa Spagna), l’evidente politicizzazione del tema non ha ostacolato la possibilità di pubblicare testi di approfondimento.

Per quanto riguarda il mio libro, è nato su stimolo del Prof. Paolo De Nardis, curatore scientifico della collana in cui il testo si inserisce. L’idea di fondo era quella di fare un testo sintetico e divulgativo orientato a un pubblico ampio, per inquadrare la questione basca, soprattutto nelle sue evoluzioni più recenti, nel quadro più generale delle importanti trasformazioni sociali e politiche che stanno interessando la Spagna e l’Europa in questi anni.

Spero che il mondo editoriale italiano riesca a sprovincializzarsi un po’, aprendo maggiori spazi per pubblicazioni anche sui temi delle mobilitazioni indipendentiste e autonomiste attualmente in auge in Europa.

 

Ultima curiosità: come nasce la sua passione verso la questione basca?

 

L’interesse per il caso basco ha avuto origine casualmente in un altro contesto di conflitto etnonazionale, quello irlandese: durante un viaggio nel 1999, passeggiando un pomeriggio per Belfast. Ero uno studente di scienze politiche, e in quella occasione ho iniziato a sviluppare la curiosità sulle diverse forme ed espressioni ideologiche delle rivendicazioni nazionaliste. Venendo dall’Italia mi incuriosiva molto l’esistenza di movimenti nazionalisti “di sinistra”. Alcuni mesi dopo ho ottenuto una borsa di studio Erasmus per studiare presso l’università di San Sebastián. Lí è iniziata la mia frequentazione con i Paesi baschi, e nel corso del tempo, parallelamente all’interesse di ricerca per la dimensione prettamente politica, ho sviluppato anche un grande interesse per la lingua e la cultura.

 

Fabrizio Di Ernesto-Agenzia Stampa Italia

 
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