(ASI) Condividiamo e ringraziamo gli onorevoli Gagnarli e L¹ Abbate (M5S) per aver posto al centro di una interrogazione parlamentare la questione dei costi del mangime, che stà soffocando ingiustamente gli allevatori italiani, nel silenzio delle istituzioni e degli organi di controllo.
Lo dichiara Saverio De Bonis, presidente dell¹ Anlac, associazione nazionale liberi allevatori di conigli dopo l¹ ultima interrogazione parlamentare. L'inflazione da costo dei mangimi - prosegue l¹ associazione - rappresenta la voce principale delle uscite di un allevatore e manifesta un andamento anomalo che erode a tenaglia la redditività dell¹ allevamento, al pari della caduta anomala dei prezzi di vendita del coniglio vivo.
Nonostante l¹ accresciuta produttività degli allevamenti - sottolinea il presidente - molti allevatori denunciano l'impossibilità di assorbire questa sospetta crescita dei costi di produzione, che in dieci anni, dal 2004 al 2014, ha prodotto un incremento spropositato del 50% pari ad oltre 10 euro a quintale di mangime a favore esclusivo dei mangimisti; così mentre l'industria di macellazione, l'industria mangimistica, i grossisti e la distribuzione continuano a determinare la maggior parte della struttura del valore aggiunto e ad accumulare profitti, agli allevatori è preclusa la possibilità d¹ incrementare i prezzi all'origine dei loro prodotti e di sopravvivere dignitosamente.
In particolare - aggiunge - durante l' anno 2013 i mangimifici avrebbero applicato agli allevatori tre aumenti complessivi pari ad euro 3/qle e a novembre avrebbero abbassato di circa euro 1/qle, a fronte di un calo delle materie prime di circa il 20%!
In uno scenario di raffreddamento delle quotazioni delle materie - fa notare l¹ anlac - che parte dal 2012 e manifesta un trend decrescente durante tutto il 2013, non solo risultano ingiustificati gli aumenti del mangime del 2013, ma appaiono immotivati gli annunci di nuovi aumenti a partire da metà aprile 2014.
Il Governo - conclude De Bonis - deve intervenire urgentemente e recuperare il ritardo derivante dalla mancata attuazione del piano di settore per contrastare questa strategia della tenaglia, in atto da tempo, che vuole annientare un comparto che da lavoro a migliaia di persone e che produce carne di qualità, sempre più apprezzata dai consumatori.