(ASI) Dopo la riunione del G20 a San Pietroburgo dello scorso 5 settembre, sembra tramontare, come purtroppo era nelle aspettative più reali e concrete, la speranza di scongiurare un intervento bellico in Siria da parte di estranei al conflitto in corso;
e ciò nonostante l’ incontro a sorpresa di circa 20 minuti tra Vladimir Putin e Barack Obama a margine dello stesso consesso, durante il quale i due avrebbero convenuto di continuare a mantenere i contatti attraverso i rispettivi ministeri degli Esteri. Il Presidente russo ha comunque mantenuto ferma la sua posizione sul no all'attacco, in caso del quale ha dichiarato di voler aiutare la Siria di Al Assad (la grande nave da sbarco "Nikolai Filchenkov" è già diretta nel Mediterraneo), sostenuto dalle parole di Papa Francesco che si è espresso chiaramente sull'inammissibilità dell'azione militare, incitando a pregare per la pace con la veglia promossa in Piazza San Pietro sabato 7 settembre, durante la quale il Pontefice ha ricordato anche la parabola di Caino e Abele. Mosca paventa, inoltre, i rischi di fughe di materiale radioattivo e contaminazioni, nel caso durante l’attacco militare fosse colpito un reattore nucleare nei pressi di Damasco o altri siti del genere. (ASI) C’è però da stabilire chi, nel frangente attuale, sia Caino e chi Abele: il presidente Usa affermando che “il regime di Assad con il suo utilizzo delle armi chimiche è una minaccia per la pace e la sicurezza mondiale e minaccia i paesi vicini” (n.d.r.: Israele…) e che non rispondendo "gli stati canaglia penseranno di poter impiegare le medesime armi senza conseguenze". Obama dimentica forse l’utilizzo che delle “armi di distruzione di massa” gli USA hanno ampiamente fatto da 70 anni, partendo dall’eccidio di Dresda con il fosforo bianco, passando per i bombardamenti certamente non “chirurgici”di Roma, Milano, Firenze Venezia, Berlino, Colonia Monaco e tante altre città, per l’olocausto atomico di Hiroshima e Nagasaki, per la Corea e il Vietnam, per le numerose interferenze nelle faccende sudamericane, per le scorie nucleari smaltite come “uranio impoverito” su Serbia e Kosovo, per l’Afghanistan e l’Iraq, finendo, per ora, con il recente intervento in Libia. Non basta fare “un sondaggio” (nel G20) per esser sicuri che “la maggioranza dice che è molto probabile che sia stato il regime di Assad ad usare di quelle armi chimiche”: in una dichiarazione diffusa al termine del G20, 11 Paesi (Australia, Canada, Francia, Italia, Regno Unito, Giappone, Corea del Sud, Arabia Saudita, Spagna, Turchia e Stati Uniti), cui poi si è aggiunta anche la Germania, “condannano l'attacco con armi chimiche avvenuto a Damasco il 21 agosto scorso e di cui il regime di Assad viene ritenuto responsabile”, però manca ancora, fra l’altro, il responso degli ispettori in materia, come ha rimarcato il segretariato generale ONU, Ban Ki Moon. Il premier Enrico Letta, dal canto suo, nella conferenza stampa di chiusura a San Pietroburgo ha ribadito che "la soluzione che prediligiamo è quella politica", ma anche che il rapporto con gli Stati Uniti rimane "forte e fondamentale", tanto per non indispettire il “padrone del vapore”. Si avverte ancora una volta, insomma, l’assenza dell’Europa, pur gigante economico, con una sua politica indipendente e decisiva sullo scacchiere internazionale, specialmente nell’area del
mare nostrum Mediterraneo e del vicino Oriente. E se anche il leader cinese, Xi Jinping, ha affermato che “una soluzione politica è l'unica via da seguire”, preoccupa e insospettisce la determinazione di Stati Uniti e Francia nell’avviare l'attacco contro Al Assad anche senza il via libera dell'ONU. La posizione geopolitica della Siria, porta d’Oriente sul Mediterraneo e autostrada per il Golfo Persico e l’Oceano Indiano, è troppo strategica perché rimanga nelle mano di un regime “non allineato” fatto passare per “stato canaglia”, ma anche una buona occasione per dare ossigeno e tanti dollari alle multinazionali degli armamenti. Poco importa se il regime che dovesse poi instaurarsi potrebbe essere, probabilmente, con molte meno libertà (specialmente religiose), più autoritario, oppressivo e instabile di quello attuale: finora una miriade di differenti etnie e religioni (arabi, aramei, curdi, armeni e circassi; musulmani, cattolici e ortodossi, solo per citarne le più significative) è convissuta in Siria su delicati equilibri, che non si sa fino a che punto Fratelli Musulmani e Salafiti (pur con i dovuti distinguo) potrebbero continuare a garantire e tutelare.