(ASI)
Lettere in Redazione - Il giudice del Tar del Lazio, Franco Angelo Maria De Bernardi, arrestato ieri dai carabinieri del Noe per corruzione in atti giudiziari.
E' lo stesso giudice che tolse il programma di protezione e non riconobbe i diritti da testimone di giustizia a Pino Masciari il quale commenta: «con amarezza tutto torna. Nel gennaio del 2005, lo stesso Giudice, sempre presso il Tar del Lazio, era primo relatore in Camera di Consiglio nel ricorso presentato da me e mia moglie contro il Ministero dell’Interno per la revoca del programma di protezione a cui ero stato sottoposto con mia moglie e i miei figli dal 1997. Quattro anni per ottenere giustizia, quando, per legge, sono quattro mesi per la sospensiva e sei per emettere sentenza. Nel frattempo, continuavo a portare avanti la battaglia contro il crimine organizzato, soli, abbandonati da tutti e isolati come appestati.
Avevano fatto fallire le mie aziende, mi avevano allontanato dalla mia casa e dai miei affetti, soli senza lavoro e con due bambini piccoli. Io credo non ci sia prezzo, per quanto riguarda le sofferenze sia fisiche che morali sopportate per gli anni passati in esilio e rimane la pesante amarezza che il corso della propria vita sia stata affidata a servitori dello Stato che oggi subiscono l’ accusa grave e pesante di corruzione in atti giudiziari e di indebita interferenza da parte del giudice volta ad alterare i percorsi procedurali». E' sbagliato, mi domando come presidente della Federcontribuenti, domandarsi se,
quando il giudice si trovava a decidere su Masciari, lo stesso abbia accettato soldi o altro
pur di rallentare o sabotare il corso della giustizia? È possibile che non abbiamo una sponda di garanzia nemmeno nella magistratura? È si che erano anni che si vociferava di questa situazione, chi ha il compito di vigilare, che cosa ha fatto, chi paga i danni ora dei disastri compiuti da questa sezione giudicante? Non è rabbia, è profonda amarezza, è una coltellata al cuore di chi vive per difendere lo Stato, come Masciari, come le tante altre vittime nella guerra contro la mafia. Uno Stato che, lo stiamo denunciando da tempo, ha smesso di combattere la criminalità organizzata, che ha indebolito la struttura stessa della giustizia, che ha abbandonato i cittadini raggiunti, quotidianamente, dai soldati criminali. Troppi casi come questo, troppi gli arresti eccellenti nei punti nevralgici della gestione amministrativa, politica e morale dell'Italia.
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