(ASI)Per le grandi esclusive di Agenzia Stampa Italia vi proponiamo l’intervista fatta di recente a Sua Eccellenza János Balla Ambasciatore della Repubblica d’Ungheria in Italia. Vari e interessanti i temi trattati. Un approfondimento giornalistico a tutto campo per far conoscere meglio ai lettori l’Ungheria e le innovative riforme costituzionali, economiche e sociali attuate dal Governo del Primo Ministro Victor Orban.
Alcuni media europei pongono particolare attenzione alla questione dei diritti fondamentali in Ungheria. Come giudica queste preoccupazioni e cosa pensa del rapporto Tavares?
Il rapporto Tavares è stato redatto da un deputato del Parlamento europeo che probabilmente non conosce la realtà ungherese. Io credo che quando il governo ungherese, nella persona del premier Orbán, ha avuto l’opportunità di esprimersi durante una seduta plenaria del Parlamento europeo al riguardo di questo rapporto, è riuscito a spiegare bene che il gesto di Tavares è evidentemente motivato da interessi di carattere politico e da un’ideologia che definirei “molto strana”. Questi fattori rendono il rapporto privo di serenità e anche poco approfondito e poco serio. Il dibattito che ne è seguito è stato surreale, perché non è stato annotato che il Consiglio d’Europa ha riconosciuto la disponibilità costruttiva del governo ungherese a dialogare in merito alle questioni che erano al centro della polemica scatenata da questo documento. Per esempio, è stato taciuto che la tanto discussa Legge fondamentale ungherese (la nuova Costituzione, ndr) ha avuto varie modifiche come conseguenza di un dialogo aperto con alcuni esponenti europei. Ebbene, questo passaggio costruttivo e ragionevole è stato ignorato da Tavares e dal suo rapporto, che si è limitato a riproporre argomenti dovuti - lo ripeto - a motivazioni ideologiche. Dunque, secondo me il rapporto Tavares non è basato su ragioni giuridiche, anche perché l’Ungheria è un Paese in cui tutti i diritti fondamentali dell’uomo sono garantiti. In questo senso posso dire che la Commissione di Venezia, che ha studiato dettagliatamente la Legge fondamentale ungherese, ha riconosciuto che la democrazia è rispettata.
Venendo alle preoccupazioni dei media, la stampa ha libertà d’espressione. Tutti i giornali possiedono il diritto di pubblicare le proprie valutazioni sull’operato di un governo. La pluralità d’informazione è, del resto, un elemento fondamentale di una società democratica. A tal proposito, chiunque può constatare che questa libertà è ampiamente presente in Ungheria. L’altra parte della verità è che quando una notizia è costruita non utilizzando i fatti, è irresponsabile e va rettificata. Il governo, l’amministrazione pubblica e la rete delle ambasciate diffuse nel mondo hanno dovuto affrontare di recente questa sfida di esaminare e correggere le valutazioni espresse sull’Ungheria.
Durante il discorso tenuto al termine della “marcia per la pace”, svoltasi a Budapest lo scorso 23 ottobre per ricordare la rivolta anti-sovietica del '56, il premier Orbán ha detto che “bisogna finire il lavoro cominciato nel '56” perché “gli ex comunisti sono sempre pronti a consegnare il Paese ai colonizzatori”. Cosa intendeva precisamente?
Il 23 ottobre è la nostra festa nazionale, che simboleggia tutta la storia ungherese. Si tratta di una festa in cui prevale l’orgoglio della nostra nazione per la libertà dal giogo straniero. Dunque parlare in un’occasione del genere serve per ribadire la necessità di non ripetere gli errori del passato. L’Ungheria, nello scorso secolo, a differenza per esempio dell’Italia, ha avuto un periodo di sottomissione durato oltre cinquant’anni a un sistema alieno dalla propria storia e dalla propria tradizione. Un periodo in cui, nostro malgrado, siamo stati tenuti fuori dal consesso della democrazia e dei diritti umani. Il senso del 23 ottobre è mantenere vivo questo ricordo e guardarsi dal ripeterlo.
Nella nuova Costituzione ungherese si fa esplicito riferimento al “ruolo del cristianesimo nella preservazione della nazione”. Vi sono inoltre norme generali conseguenti a questo riconoscimento come la difesa della vita sin dal concepimento, la tutela della famiglia naturale e il divieto alle pratiche eugenetiche. In un contesto qual è quello dell’Ue, in cui la laicità dello Stato è considerata un principio inviolabile, quest’aspetto della vostra Carta può apparire in controtendenza. Cosa ne pensa?
Non credo che la nostra Legge fondamentale sia contro i valori europei. Semmai, certi valori vivono oggi una fase di flessione in giro per l’Europa. Il riferimento al Cristianesimo è alla base dell’Unione europea. Uno dei suoi padri fondatori, Robert Schuman, affermava che senza il Cristianesimo l’Unione europea scivolerebbe nell’anarchia. Venendo al nocciolo della sua domanda, ricordo che esistono varie leggi ungheresi che sanciscono la laicità dello Stato. Tutte le religioni sono rispettate in Ungheria, non soltanto quella cattolica, basti pensare che riconosciamo 36 confessioni, un numero maggiore di quelle riconosciute, per esempio, dallo Stato italiano.
Capisco che la nostra Legge fondamentale può non essere approvata da tutti i Paesi europei, ma va detto che nel 2010, quando il risultato delle elezioni ha prodotto una maggioranza assoluta dei 2/3 del Parlamento, si è avuta l’opportunità storica di apportare un cambiamento politico dopo che i fatti del 1989 avevano aperto la strada della democrazia anche al nostro Paese. Fino all’approvazione della Legge fondamentale, l’Ungheria era rimasta l’unica nazione che ancora manteneva una Costituzione provvisoria, datata 1949, improntata su un’ideologia unica. Era dunque giusto revisionarla, eliminando i riferimenti al comunismo e riaffermando i nostri veri valori: Dio, la nazione, la famiglia.
Eppure anche il costituzionalista Gyoergy Kollàth ha paragonato la nuova Costituzione, approvata a larga maggioranza l’11 marzo scorso, ad un “ripudio da parte ungherese dei valori europei che avevamo accettato liberamente dopo la fine del comunismo nel 1989”…
Alcune considerazioni sulla nuova Costituzione ungherese sono surreali. Come detto nella risposta precedente, i riferimenti presenti in essa appaiono nell’Europa di oggi come una novità, e questo fa discutere. Le critiche sono mosse da persone atee, dunque contrarie ai valori cristiani che la nostra Costituzione cita esplicitamente. Ma queste persone non possono però negare che in essa è rispettato il sistema politico democratico ungherese. Ricordo inoltre che il dibattito che ha preceduto la sua approvazione è stato molto ampio e approfondito coinvolgendo circa 1milione di cittadini. Tanti sono, infatti, gli ungheresi che hanno risposto al formulario inviatogli dal governo che affrontava una dozzina di questioni che la nuova Costituzione avrebbe dovuto sancire. Una di queste domande era relativa alla proposta di inserire la pena capitale, che i cittadini hanno rifiutato e che infatti non è stata introdotta con la nuova Costituzione. Ciò dimostra che essa è frutto di un compromesso che rispetta tutte le sensibilità dei cittadini. Penso dunque che la considerazione che lei ha citato non è consistente.
L'Ungheria guarda con sempre maggior interesse verso Est. La sua matrice turanica e la sua naturale predisposizione verso Oriente si sono liberate dalle rigide logiche della Guerra Fredda, senza però che la cultura nazionale e l’orientamento geopolitico del Paese si calcificassero in un acritico occidentalismo. Alla luce della pesante crisi economica e finanziaria che sta investendo i mercati nordamericano ed europeo, l’Ungheria potrebbe ripensare la sua collocazione internazionale sino a mettere radicalmente in discussione la sua adesione alla Nato e all’Unione Europea?
L’Ungheria continua a far parte della Nato e dell’Unione europea. La nostra è una politica globale di apertura, non solo verso Est. Le grandi economie emergenti orientali hanno la capacità di accettare nuovi prodotti in base alla crescente domanda di consumo, quindi è normale che anche l’Ungheria segue questo fenomeno aprendo la sua economia verso Oriente, ma ciò non rappresenta un cambiamento di politica estera, perché allo stesso tempo dobbiamo mantenere la nostra posizione economica all’interno della Ue. Si tratta di una sfida doppia. Anche l’Italia, che economicamente è più potente dell’Ungheria, si apre a nuovi mercati ma mantiene le posizioni acquisite. Sarebbe un grave errore non aprirsi verso i mercati orientali per rafforzare la nostra economia.
Qual è stato l'impatto in termini economici e sociali della crisi finanziaria internazionale del 2008 sullo stato d’animo dei cittadini ungheresi e quanto preoccupa l’opinione pubblica la prospettiva di restare ingabbiati nelle incertezze economiche dell’Unione Europea e nel generale declino strategico del primato occidentale?
Il risultato delle elezioni del 2010 è stato molto chiaro ed ha fatto capire subito cosa i cittadini volessero per il loro futuro: il nuovo governo doveva mettere in ordine il bilancio dello Stato. Nel 2002 il I governo Orbán aveva lasciato una situazione buona con un debito pubblico pari al 53% del Prodotto interno lordo; quando il Primo ministro ha formato il suo II governo il debito pubblico era arrivato al 90% del Pil. Orbán ha promesso agli ungheresi di mettere in ordine i conti pubblici. La prima mossa del governo è stata quella di riunire tutti i protagonisti della vita economica assicurandosi la loro responsabilità nel mettere in ordine la situazione. Nel 2008 l’Ungheria era stato il primo Paese europeo a chiedere il default alla Ue, prima ancora della Grecia. Se nel 2008 la situazione era critica, nel 2009 era diventata pericolosa. A quel punto il governo ha deciso di porre fine ad una politica irresponsabile dal punto di vista economico e finanziario ed ha messo tutti davanti alle proprie responsabilità, a partire dal settore bancario e da quello energetico per diminuire gli effetti negativi della politica precedente. È stato un lavoro molto faticoso ma alla fine anche l’Unione europea ha approvato le nuove linee dell’economia volute da Orbán, ma tutti i protagonisti dell’economia e delle finanza hanno dovuto fare dei sacrifici, non solo i cittadini che pagano le tasse. Non sono mancate le critiche ma l’Ungheria non aveva altra scelta.
L’Ungheria ha finito di rimborsare in anticipo il debito contratto con l’Fmi. Alcuni media europei ed italiani, hanno però avanzato dei sospetti sulla provenienza dei fondi quasi a voler sminuire il lavoro del premier Orbán. Qual è in questo momento la situazione dei conti pubblici ungheresi e quali strumenti ha messo in campo il governo per superare in modo brillante il difficile momento economico e finanziario?
Oggi lo stato delle nostre finanze e della nostra economia è molto positivo, dopo le difficoltà degli ultimi due, tre anni. I sacrifici fatti da tutta la comunità ungherese stanno ora offrendo i loro frutti. Non c’è più recessione. La Commissione europea ha dovuto rivedere al rialzo le sue stime. La nostra economia sta andando molto bene, per quest’anno la crescita è stimata allo 0,7; il prossimo anno dovrebbe essere dell’1,7 mentre nel 2015 dovrebbe essere addirittura del 2,7. La risposta dell’economia ungherese alle misure attuate dal governo a partire dal 2010 è stata molto positiva. Gli imprenditori riconoscono al governo di aver saputo creare un clima ottimale per realizzare investimenti. Abbiamo la tassa corporativa più bassa d’Europa, abbiamo un mercato molto flessibile basato però sul riconoscimento del valore del lavoratore. Rispetto al passato il governo ungherese ha cambiato le regole passando da un welfare state ad un workfare state; ha creato una società del lavoro. Questa era la concezione di tutti i Paesi a partire dalla fine della II Guerra mondiale. Noi abbiamo dato vita ad una società orientata sul lavoro. Il lavoro crea ricchezza e a tutti serve lavorare. Abbiamo creato dei lavori pagati dallo Stato; il governo offre vari incentivi per ottimizzare il lavoro pubblico. Il tasso di disoccupazione è al 10%, in media con la Ue, anche se il governo continua a lavorare per la creazione di nuovi posti di lavoro, una sfida che però non riguarda solo l’Ungheria ma tutta l’Europa.
I rapporti economici tra Roma e Budapest sono molto intensi; attualmente l’Italia è il quarto partner commerciale dell’Ungheria, con un interscambio dal valore di circa 7 miliardi. Gli investimenti italiani in Ungheria si attestano sui 2,2 miliardi, con il nostro Paese che però è solo al diciottesimo posto tra gli investitori stranieri. In quali settori gli imprenditori italiani potrebbero investire di più nel vostro Paese e quali sono le opportunità che invece l’Italia offre agli imprenditori ungheresi?
L’Italia per noi è un partner molto importante, l’import/export è un settore dove gli imprenditori italiani sono molto attivi. Per quanto riguarda il settore del commercio la bilancia pende in nostro favore. Il settore che può offrire maggiori opportunità di investimento agli imprenditori italiani è quello dei servizi dove c’è un mercato molto aperto e molto favorevole. Altro settore dove gli italiani sono tradizionalmente presenti è quello dei generi alimentari. Per investire bene però gli italiani devono cambiare la loro concezione ed il loro approccio. In questi anni l’Ungheria è diventato un grande centro logistico per le multinazionali. Questo perché gli ungheresi hanno un alto grado di istruzione e quindi ci sono molti professionisti, la nostra ingegneria ha fatto salti da gigante. Sono presenti molti grandi marchi automobilisti e credo che anche qui gli italiani potrebbe trovare il loro spazio. L’economia ungherese si sta sviluppando nei settori elettronico ed automobilistico.
Per quanto riguarda gli imprenditori ungheresi in Italia dobbiamo ricordare che molte multinazionali sono a maggioranza ungherese; i piccoli e medi imprenditori però possono investire nell’industria alimentare. Più del 70% del latte in commercio sul mercato ungherese viene dall’Italia.
Il 2013 è stato l’anno della cultura ungherese in Italia. I nostri due Paesi però apparentemente appaiono molto diversi. Che influssi ha avuto la cultura romano-latina nel vostro Paese e che spazio si sta ritagliando la cultura magiara nella nostra penisola?
Nel 2011 i rispettivi ministri degli Esteri decisero che questo sarebbe stato l’anno della cultura ungherese in Italia. Lo scopo di queste iniziative è rafforzare la collaborazione tra i due Paesi offrendo la possibilità di ritrovare i punti comuni tra le due civiltà. Per noi la lingua è molto importante perché è grazie a questa che abbiamo difeso e conservato la nostra identità nazionale. Essendo l’idioma che permette di comunicare con gli altri, noi dobbiamo apprendere le altre lingue e le altre culture. L’Italia ha un posto privilegiato nella nostra cultura, possiamo parlare della Lombardia, della fondazione dello Stato, di quando il nostro re venne incoronato dal Papa, possiamo parlare del Rinascimento quando i Medici si aprirono all’umanesimo utilizzando come strumento per governare l’esempio ungherese. Anche altri periodi ci hanno visto vicini, come il Risorgimento, quando gli ungheresi hanno appoggiato la rivolta italiana. Tramite l’anno culturale si è rafforzato il rapporto tra i nostri due Paesi, e per noi ha rappresentato una grande sfida. L’Italia è la patria della cultura, quindi abbiamo dovuto portare qui il meglio della nostra arte, della nostra pittura, specie l’art noveau che, pur essendo poco conosciuta, è stata un grande successo. E così il pubblico italiano ha potuto finalmente apprezzare il meglio della nostra arte. Abbiamo portato la nostra arte moderna del ‘900, specie quella tra il 1905 ed il 1935, il nostro cubismo ed il nostro espressionismo, oltre a opere d’arte influenzate dalla propaganda politica che non erano conosciute in Italia. Abbiamo portato la nostra musica, i nostri grandi compositori che hanno identificato l’Ungheria con la musica contemporanea. La musica da sempre serve ad avvicinare le culture, essendo un’arte senza lingua molto facile da capire. Abbiamo offerto una scelta molto varia per far conoscere la nuova scuola di talenti ungheresi che hanno tenuto vari concerti in giro per le principali città italiane. Il grande fotografo Robert Kappa era di origine ungherese ed è diventato famoso durante la II Guerra mondiale con i suoi reportage, specie in Sicilia. Abbiamo fatto una sua mostra a Roma con foto che prima non erano mai state esposte.
Ettore Bertolini, Fabrizio Di Ernesto e Federico Cenci - Agenzia Stampa Italia