Emerald: tra swing e scratch un tocco di internazionalità
(ASI) Varie sedie vuote per un concerto iniziato con 30 minuti di ritardo. Un errore invitare la Emerald? Assolutamente, categoricamente no! Si conferma una eccezionale star di sicuro livello internazionale che dopo le oltre 260.000 copie vendute ed i suoi video trasmessi anche da MTV mantiene ancora atteggiamenti umili, devozione per il pubblico, affabilità, sapendo irrompere con presenza scenica e soprattutto imponendosi con indiscutibili valenza e capacità canore. Se volete essere travolti da un mix di canzoni accattivanti, jazz, ritmi spagnoleggianti, mambo, è uno solo il nome a cui dovete infatti rivolgervi: Caro Emerald. Questa artista di origini olandesi che ci ha regalato un album dal titolo “Deleted Scenes From The Cutting Room Floor” ha avuto il suo esordio con “Back it up”, canzone dai ritmi saltellanti in cui agli ammiccamenti indiscutibilmente pop si affiancano evidentissime commistioni jazz, rappresentato da sax tenore e fiati vari che contribuiscono ad una ritmica circolare ed incalzante. Su tutto, come accennavo, emerge la voce pulitissima, il fraseggio scanditissimo dei testi, la capacità di non perdere mai intonazione –cosa purtroppo non scontata- la rapidità, la leggerezza nel saltare da tono a tono e da nota a nota.
Qui, ad Umbria Jazz, Carol e la sua eccellente band esordiscono con un ammiccante e forte connotato swing che trasporta subito gli spettatori nelle suggestioni dei film in bianco e nero alla Bogart quindi dei periodi pre e post bellici del secondo conflitto mondiale. Poi altrettanto rapidamente emerge un carattere quasi “da discoteca” dei brani che permette di non uscire mai dalla attualità. Fumosi night clubs anni Quaranta e discoteca, impulsi ritmici ferratissimi e modalità esclusivamente tonali e melodiche permettono al pubblico di essere immediatamente rapito e quasi ipnotizzato, quindi di applaudire copiosamente concretizzando la dichiarata ambizione della Emerald di esibirsi ad UJ. Non disdegna testi italiani che prendono piede in mezzo ad un inglese dalla pronuncia una po’ dura. Cosa che non si può invece dire delle tonalità: morbidissime come la seta, totalmente melodiche, sinuose. Complimenti per la scelta UJ. Viene da chiedersi anche quest’anno tuttavia come mai la Melua non sia stata ancora invitata.
Per tornare al concerto di venerdì sera l’incedere non ha smentito l’esordio, poiché il gusto fortemente retrò che non abbandona mai la mixata modernità, il curioso eclettico, variopinto impasto musicale, la raffinatissima orchestrazione, l’importante, virtuosistico apporto strumentale elettronico di sintesi, gli ottoni essenziali la grande presenza scenica e la elegante piacevolissima voce della cantante hanno permesso di non fare mai calare la tensione della esibizione.
Una cantante che, dalle curiose movenze e gestualità alla Mina, non teme i pianissimi neppure quando duetta con la musica di sintesi che, a mio avviso ricorda un po’ quella prodotta dalle classi di “elettronica” dei nostri Conservatori e che di sicuro strizza l’occhio agli anni Ottanta.
Non sonno mancati i suoi brani “classici” che, presentati al termine del concerto hanno dimostrato una natura fushion (…peccato per la Melua) e che hanno permesso di sancire un grandissimo feeling con il pubblico che ha plaudito entusiasta.
Dee Alexander, tribute to Jimi Hendrix
(ASI) Dee Alexander è una delle più apprezzate voci della scena di Chicago, importante fucina della attuale musica Jazz. A suo agio con tutti i generi, dal gospel al blues, dall'R&B al soul e con tutti i musicisti con cui ha collaborato, tra i quali Ahmad Jamal, David Sanborn, Roy Ayers, riesce a dare un tocco particolare a ogni sua interpretazione, grazie ad uno swing e un groove del tutto personali. Ad accompagnarla in questa sua avventura come band leader, musicisti di tutto rispetto, tra cui un violino elettronico, una violoncello, un contrabbasso ed una sezione di percussioni. Il pubblico di Umbria Jazz l’ha conosciuta nel 2009 a Perugia nel progetto della AACM Great Black Music Ensemble, diretta da George Lewis. Si è poi distinta ad Orvieto ed è molto apprezzata dagli organizzatori della UJ che gli hanno riservato uno spazio durante l’arco di questa settimana presso l’Oratorio di Santa Cecilia. Tecnicamente, lo dico subito una grande voce, potente, versatile e senza pecche, ma che eccede nelle sonorità stridule ed in ritmi esasperanti. Molto bello e virtuosistico per esempio il duetto onomatopeico tra voce e basso.
A lei è stato co-affidato il concerto inaugurale con il tributo a Jimi Hendrix, leggenda della chitarra e del rock. Si è avvalsa di una curiosa e sperimentale formazione, all’interno della quale si sono distinti sicuramente il batterista/percussionista che ritengo eccellente ed il contrabbassista/bassista. Non ci stupisce in niente il violino (se non nel piacevole ricordo che anche questo strumento fa parte della storia del Jazz, soprattutto italiano), ma ci incuriosisce invece il violoncello che, senza nessun virtuosismo, porta al limite d’uso lo strumento disgregandone il suono come già accadeva nello sperimentalismo anni Settanta negli ambienti della musica colta. Durante questo tributo, ad una icona del rock e della musica leggera, giudicato un genio addirittura da Miles Devis, la chitarra di Hendrix è stata sostituita dalla voce della cantante e dagli altri archi che hanno interpretato e correttamente non semplicemente riproposto. Un compito arduo infatti è stato quello di ricordare e mimare la chitarra di Hendrix attraverso strumenti così lontani dalla chitarra elettrica, ma per il pubblico evidentemente questi strumenti ed i loro artisti hanno raggiunto lo scopo.
Un intelligente bis sotto forma di “omaggio” a James Brown ed un pubblico estremamente coinvolto.