Come indicato dal libretto di sala: “Per quanto schematica, la tradizionale suddivisione della produzione di Beethoven in tre periodi più o meno distinti è particolarmente comoda quando si tratta di considerare i suoi Quartetti per archi: vi è una nettissima differenza stilistica tra i sei Quartetti op.18 del 1798-1800, i tre Quartetti Razumovsky op 59. Del 1805-1806 e gli ultimi cinque Quartetti del 1824-26, con i due Quartetti del 1809-10 (op. 74 e 95) che fungono da raccordo” (A. Starling). Sostanzialmente quindi una produzione diseguale e variegata, musicalmente anche molto diversa.
Difronte ad una sala piena sia nella platea che negli spalti e ad un pubblico veramente eterogeneo, soprattutto ricco in giovani, l’esordio è stato incisivo, dimostrando una impostazione tradizionale e non priva di qualche arcaicismo timbrico. Ottimo in generale il violoncello (anche per la bellezza del suono dello strumento), così come il primo violino (significativi di quest’ultimo la cavata e il timbro). Da segnalare sono sicuramente una grande precisione ed aderenza alla partitura, con ottimi scambi tra le voci, tempi appropriati e molto coerenti, con abbellimenti sempre perfetti e molto piacevoli. Abilità indiscussa nell’esaltare certi momenti che sono caratteristici di queste pagine beethovenine, rendendo ben riconoscibile il carattere del compositore. Esecuzione caratterizzata da una grande eleganza, raffinatezza ed omogeneità espositiva. Sono da porre all’attenzione inoltre l’affiatamento, la sintonia, e la padronanza esecutivi di alto livello tra i musicisti, frutto non secondario di una stabilità anagrafica della formazione. Buono il lavoro sui volumi sonori. Grande presa sul pubblico soprattutto del Quartetto n. 2 dell’Op.59, non privo di una certa tensione e di sensazioni orchestrali. Una composizione romantica, quest’ultima ricca di riferimenti culturali (le note BACH, il Thème russe, la frantumazione compositiva) che chiude con un Presto molto coinvolgente.
Per gli addetti ai lavori o per gli appassionati sovviene, nell’ascoltare l’ RTÉ Vanbrugh (nato nel 1985 in Irlanda, caratterizzato da un “…beauty of sound, clarity of texture and integrity of interpretation” e di cui più appropriate informazioni possono essere reperite in www.vanbrughquartet.com) un confronto con la integrale dei Quartetti beethoveniani proposta dall’Artemis. Un approccio sostanzialmente diverso quello degli Artemis, se vogliamo più ammaliante e ammiccante, fin troppo attualizzante pagine che invece gli RTÉ Vanbrugh eseguono anche se con minore veemenza con maggiore rigore stilistico, con grande raffinatezza timbrica e ritmica e in maniera totalmente pregevole.
Elevata concentrazione e professionalità dei musicisti, suoni inequivocabili, anche in presenza di un tribale frastuono “da etnie in guerra” durato tutto il primo tempo proveniente dalla adiacente pubblica piazza. Forse la esecuzione è stata priva di una certa innovatività ed ha registrato qualche cacofonia o meglio perplessità timbrica.
Giuseppe Marino Nardelli- Agenzia Stampa Italia