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Storia. Il sistema di trasporti e delle comunicazioni nella visione fascista

Storia.  Il sistema di trasporti e delle comunicazioni nella visione fascistaPrima parte: il sistema delle comunicazioni italiane e i relativi bilanci in tempo di guerra

(ASI) Le motivazioni di questo articolo, sono molteplici. Dapprima, se pensiamo alla TAV, il treno ad alta velocità a penetrazione atlantica, basta scorrere le pagine dei quotidiani di pochi mesi fa. Solo pochi hanno saputo e voluto spiegare le reali intenzioni di quel progetto, tra i quali bisogna doverosamente citare quotidiano indipendente in rete Stato&Potenza. Diamo un'occhiata anche in casa nostra, col treno “Italo”, di Montezemolo & Co. Sicuramente un buon servizio, osannato da tutta la stampa embedded. Il Corsera ha fatto diventare in pochi giorni le nostrane FS un mostro (addirittura prendendosela con la presunta scritta runica FF.SS., un'allucinazione da manicomio, non da primo giornale nazionale), per portare alla ribalta il treno privato che con capitale estero soppianterà il servizio italiano. E l'Italia dei tecnici, osanna e cala le braghe, come sempre. Il resto del sistema di comunicazioni del nostro Paese è fermo. Non vi sono progetti, le grandi opere sono tutte state procrastinate (a qual data?), e i rarissimi investimenti sono bloccati dalla mancanza di denaro. Si pensi al faraonico progetto del “Ponte sullo stretto”, il quale con molta probabilità non verrà mai realizzato.

Se tuttavia ci illudiamo che sia sempre stato così, sbagliamo di grosso. Bisogna sempre quindi rimandare il lettore a 70 anni fa esatti, in piena seconda guerra mondiale, e far conoscere la visione, (realizzata in tempi bellici), e la realtà dei trasporti dell'Italia Fascista, concepita nell'ambito di una Nuova Europa, mai realizzata.

Forse non si ha veramente idea di cosa significhi la mobilitazione di tutto il vasto sistema dei trasporti e delle comunicazioni in tempo di guerra. E' un'azione grandiosa, che esige la più perfetta coordinazione dei mezzi, una rigorosissima sincronia decisionale, una vigilanza di tutte le ore nei centri di comando. Non basta far bene in un determinato settore; occorre armonia, piena solidarietà tra tutti. Di qui la necessità di un'assoluta unità, che consenta, in pari tempo, l'indispensabile elasticità delle singole amministrazioni. Come l'Italia Fascista abbia saputo fronteggiare la situazione d'emergenza, lo ha dimostrato il Ministro delle Comunicazioni alla Camera e al Senato. Incominciamo con le ferrovie, per capire come si siano ottemperate le esigenze di carattere militare con quelle civili. Parlano le cifre. Dal principio della guerra al 1943 la riduzione delle percorrenze dei treni viaggiatori ha raggiunto il 42 per cento, il che significa che i treni a disposizione del pubblico sono diminuiti di circa la metà. Ebbene, nonostante questa forte riduzione, nei due ultimi esercizi, contrariamente a quanto si è verificato nella grande guerra, il traffico dei viaggiatori, oltre quello delle merci, non soltanto è aumentato, ma ha raggiunto valori mai toccati in passato. Infatti, nell'esercizio 1939 – 1940 le ferrovie trasportarono 194 milioni di viaggiatori (!) e 65 milioni di tonnellate di merci; nel 1940 – 1941 il numero dei viaggiatori saliva a 223 milioni e quello delle merci a 70 milioni di tonnellate (!). Non è tutto. L'aumento, oltre che nella massa, si è verificato anche nelle percorrenze del traffico, dacché le medie percorrenze del viaggiatore e della merce sono salite, nel 1940 – 1941, rispettivamente a chilometri 77 ed a chilometri 302, altro record. Nonostante che negli ultimi anni fossero entrati in servizio novemila carri, l'amministrazione delle ferrovie si è trovata di fronte ad una certa deficienza di materiale rotabile, cui rimediava oltre che con nuove diecimila unità, mediante una distribuzione più razionale nei compiti. Ricordiamo tutto questo in tempo di guerra. Così le ferrovie si sono associate ad altri mezzi (automobilistici, fluviali ed a trazione animale) in prolungamento ed anche parallelamente ai loro stessi servizi, ottenendo il risultato di alleggerire il traffico ferroviario ed aumentare la disponibilità dei carri. Mediante tali provvedimenti si è riusciti a contenere entro limiti tollerabili la sproporzione fra domanda e possibilità di trasporto. Contemporaneamente veniva stabilita una più severa disciplina dei trasporti per il pubblico.

In contrapposizione ai provvedimenti restrittivi adottati per il trasporto delle merci e dei viaggiatori, l'Amministrazione statale contribuiva a frenare l'aumento dei prezzi, mantenendo in vigore le riduzioni di tariffa già concesse e accordandone altre. Per volere di Mussolini, dal 1° febbraio scorso 1942 è stata concessa, sulle tariffe già basse pel trasporto di derrate alimentari, la riduzione del 25% elevata al 50% dal 1° marzo 1942. Questo comportava una diminuzione di introito di circa 600 milioni di lire all'anno. Nello stesso tempo, si è aumentato il personale con nuove assunzioni (tutto l'opposto dei tempi moderni), con nuove assunzioni, che, per quanto contenute nei limiti indispensabili, hanno raggiunto la cifra di trentamila unità. Nell'esercizio 1941 – 1942, rispetto al 1940 – 1941, la spesa per il personale raggiungeva la cifra di due miliardi di lire e 685 milioni, con un aumento di 517 milioni. E in tempo di guerra, non venivano trascurati nemmeno i lavori di potenziamento della rete. Nel 1940 sono state eseguite opere per 816 milioni di lire dell'epoca. Nonostante tutte queste maggiori spese ed i minori introiti verificatisi a seguito delle riduzioni ferroviarie concesse e per i provvedimenti restrittivi adottati nei riguardi del pubblico viaggiante, i risultati finanziari del bilancio sono stati oltremodo soddisfacenti. Nell'esercizio 1940 – 1941 l'utile è stato quasi doppio di quello avuto in quello precedente, raggiungendo la cifra di un miliardo delle vecchie lire e nel 1941 – 1942 si è avuto un utile di circa 850 milioni. Prendano nota i pignolissimi Rizzo e Stella del Corriere della Sera, che le Ferrovie in tempo di guerra erano in attivo, ma sarebbe da verificare la situazione odierna. Per il 1942 – 1943 si raggiungeva il pareggio di bilancio, soprattutto per le difficilissime condizioni belliche.

Questa magnifica gestione dell'amministrazione ferroviaria ha consentito la predisposizione di un vasto programma di potenziamento che avrebbe dovuto attuarsi al termine del conflitto (presupponendo una vittoria del Tripartito). Che tipo di programma era stato elaborato? Si sarebbe trattato di riprendere l'elettrificazione delle linea fino alla completa esecuzione del piano elaborato a suo tempo, elevandone lo sviluppo complessivo ad una cifra che avrebbe dovuto superare i 9500 km. Da elettrificare vi sarebbero stati 4000 km, con una spesa che era stata stimata nel 1942 in 7 miliardi di lire, riguardando la grande trasversale Torino – Milano – Venezia, e, per la rimanente parte, linee in prevalenza delle rete meridionale e sicula, fra cui la Messina – Palermo e la Messina Siracusa. E proprio queste ultime sono rimaste purtroppo a condizioni fatiscenti, cosicché si preferisca nel 2012 viaggiare in quelle direttrici con macchina o corriera, anziché in treno.

Previsto era anche il raddoppio del binario sulla Bologna – Verona, su alcuni tronchi della Riviera Ligure, ma soprattutto nella rete Centrale e Meridionale. Su alcuni tratti di linee importanti avevano volontà di quadruplicare il binario per realizzare buone condizioni di esercizio. Questi lavori, ossia raddoppio e quadruplicamento del binario, insieme con quelli per il potenziamento delle linee e delle stazioni, dei depositi e delle officine, per la sistemazione dei ponti, per la soppressione di passaggi a livello, erano stati quantificati con una spesa (dati sempre del 1942) di 37 miliardi delle vecchie lire. Infine, si sarebbe dovuto attuare un aumento dei mezzi di trazione e dei veicoli di ogni tipo per una presunta spesa di 16 miliardi. Anche il parco carri sarebbe dovuto aumentare di 70mila nuove unità.

Lo stato di guerra faceva sentire i suoi effetti anche sui servizi in concessione e particolarmente sulle ferrovie esercitate dall'industria privata. Queste, che già prima del conflitto avevano risentito sensibilmente della concorrenza automobilistica, non avevano la possibilità di operare compensazioni di materiale rotabile né di redditi. L'esperienza bellica aveva dimostrato in modo sicuro che le ferrovie, grandi e piccole, costituiscono la base più sicura per i trasporti in grande massa di persone e di materiali. Infatti, Host Venturi osservava: «ciò deve indurre a considerare con molta cautela e ponderazione le proposte che di tanto in tanto vengono presentate per la sostituzione di tronchi ferroviari con servizi automobilistici». Il Ministro delle Comunicazioni, caduto il Fascismo, non verrà ascoltato, vista la preminenza della FIAT degli Agnelli – Elkann dal '45 in poi. I servizi delle Poste, dei Telegrafi e dei Telefoni, hanno subito vicende analoghe a quelle delle ferrovie. Si è verificato un sensibilissimo aumento del traffico, dovuto sia alle nuove esigenze militari e civili, sia, soprattutto, alla corrispondenza che si svolge fra i richiamati alle armi e le loro famiglie. Le sole cartoline, spedite in esenzione di tassa, dai mobilitati al fronte, raggiungevano il numero di 40 milioni al mese. Si debbono inoltre ricordare i delicatissimi servizi del pagamento delle pensioni e delle assicurazioni sociali e del pagamento degli assegni alle famiglie dei richiamati. Si calcola che questi pagamenti nel 1941 abbiano raggiunto complessivamente la cifra di circa 11 miliardi di lire, di cui 8 miliardi e mezzo per sussidi alle famiglie dei richiamati ed il resto per conto dell'Istituto Fascista per la Previdenza Sociale (l'INPS, se non fosse chiaro). E, se si considera che essi erano normalmente di importi assai modesti, si avrà un'idea chiara dell'enorme aggravio di lavoro che per effetto di quei nuovi servizi, si era verificato nell'Amministrazione postale e telegrafica. Anche in questo settore, se alcuni servizi avevano subito limitazioni, altri, e soprattutto quelli a denaro, hanno avuto un notevolissimo incremento. Primeggia su tutti quello delle Casse di Risparmio, presso le quali la cifra dei depositi era in continua rilevante ascesa (repetita iuvant, il risparmio cresceva in tempo di guerra, in tempi di crisi economica attuale il risparmio non esiste). Infatti, dal raffronto del movimento dei capitali effettuatosi nell'anno 1941 con quello dell'anno precedente, risultano maggiori depositi per 4272 milioni di lire e maggiori rimborsi per soli 337 milioni; quindi un incremento di 3935 milioni di lire. Il credito per depositi e per buoni postali aveva raggiunto l'imponente cifra di 46 miliardi. Se si riflette che tali depositi erano fatti in genere da piccoli risparmiatori e soprattutto da contadini, operai, modesti impiegati, si comprende come quella cifra assuma il più alto significato morale, in quanto si presenta a settant'anni di distanza come la più viva e tangibile manifestazione della fede incrollabile dei lavoratori nell'avvenire dell'epoca dell'Italia Fascista.

I risultati finanziari dell'Amministrazione postale e telegrafica (pubbliche, non private) non potevano essere più confortanti. L'esercizio finanziario 1940 – 1941 presentava un avanzo, che, superando la previsione, raggiungeva la cifra di 228 milioni di lire, nonostante che la gestione dei telegrafi (le tariffe telegrafiche italiane erano le più basse del mondo) fosse risultata passiva per 84 milioni di lire. Per il 1941 – 1942 l'avanzo non era certo inferiore a quello precedente. Un cospicuo avanzo presentava pure il bilancio speciale di previsione dell'Azienda di Stato per i servizi telegrafonici. Niente cellulari, ma poste e telegrafi.

Anche la Marina Mercantile era un'ottima protagonista. Fin dai primi giorni di guerra, la marina rivelava ottime virtù di devozione. Innumerevoli sono state le prove di abnegazione dei marinai senza stellette (sicuramente più coraggiosi di molti con le stellette, filo – inglesi e traditori), che con grande perdita di vite umane e oltre 1200 decorazioni al valore, testimoniavano il loro sacrificio.

Tale era il quadro delle comunicazioni italiane in piena guerra. Esso poteva veramente legittimare l'orgoglio italiano. Va comunque ricordato che per raggiungere tali risultati v'era alla base il lavoro umano, il dovere del personale di ogni grado: dai marittimi ai ferrovieri, dagli agenti postelegrafonici agli addetti ai trasporti secondari, che offrivano la loro opera non per oppressione come si racconta nei libri di storia scritti da vinti, ma per volontà e sacrificio per la vittoria.

Seconda parte: lo scenario dei trasporti e delle comunicazioni in un'Europa fascista

Dopo aver trattato l'ambito delle comunicazioni in tempo di guerra e i loro bilanci, come accennavo nell'introduzione, è d'uopo soffermarsi sulle idee per il dopoguerra, sulle quali l'oblio più assoluto è calato. Difatti, sono rarissimi gli storici che si prenderebbero la briga di raccontare cosa avrebbe realizzato il Fascismo vittorioso in Europa. Vediamo qualche idea in ambito dei trasporti – comunicazioni. Sempre secondo Host Venturi, anche nel campo delle comunicazioni europee si sarebbe dovuto instaurare un ordine nuovo, annullante le iniquità e gli assurdi di Versailles.

Il nuovo ordine europeo, doveva innanzitutto mirare ad una organica disciplina delle comunicazioni, per facilitare i rapporti culturali ed economici. L'importanza di una disciplina unitaria europea delle comunicazioni appariva già in piena evidenza, se ricordiamo per un momento le condizioni dei trasporti nel continente dopo la pace del 1919. Il maggiore pregiudizio a tale unità europea veniva portato con il trattato di Versailles con le modificazioni territoriali, che frantumavano gli interessi del continente fra un maggior numero di stati e staterelli, creando soluzioni di continuità con le numerose nuove frontiere. Se si pensa, ad esempio, alle grandi difficoltà che si incontravano per l'istituzione di efficienti e sufficienti stazioni internazionali e all'impedimento fatale che esse creavano al traffico per gli speciali servizi di frontiera, si poteva capire l'intralcio costituito dall'enorme aumento verificatosi dopo la grande guerra, di questi punti singolari delle arterie ferroviarie. Solo l'Austria aveva bisogno dopo il 1919 di 15 nuove stazioni internazionali; l'Ungheria passava da 14 a 46 transiti ferroviari di confine; la Cecoslovacchia per le sue relazioni con l'Austria e l'Ungheria, richiedeva 30 nuovi scali del genere. Ma quasi non bastasse questo cresciuto numero di barriere di fatto create dalla nuova sistemazione territoriale europea, ad esse presto se ne aggiungevano altre dovute all'azione delle due potenze occidentali, che avevano deciso di tenere scisso il continente, impedendo lo sviluppo dei popoli con intollerabili restrizioni. Non mancarono, invero, i tentativi di Enti internazionali anche dopo il trattato di Versailles per attenuare le conseguenze di queste iniquità territoriali. Il Duce, riceveva spesso rappresentanti di vari stati, per facilitare i trasporti internazionali, per una disciplina unitaria nel quadro della reale solidarietà della nuova Europa. A cosa pensava il Fascismo? Quali i modi? Ecco lo scenario immaginato da Mussolini.

Sarebbero state necessarie, all'uopo, grande intese internazionali, e per questo, si pensi subito alla Germania alleata. Per effetto di queste relazioni, le irrazionali deviazioni in fatto di trasporti che si verificavano in passato, sarebbero dovute immediatamente cessare, lasciando spazio ad una pacifica e proficua collaborazione. Sarebbero state vietate le rovinose concorrenze con tariffe e spedizioni artificiose che provocavano lunghi e viziosi giri delle merci, allo scopo di distrarre determinati traffici dalle vie naturali: si sarebbe seguita la via più breve, con la resa più sollecita, che avrebbe dovuto importare il migliore utilizzo dei mezzi di trasporto, con economia di tempo e di spesa. In senso ferroviario, seguendo il criterio della via più breve e del nolo più basso; in senso marittimo, si sarebbero dovute evitare che determinate correnti di traffico, affluenti naturalmente a porti mediterranei, venissero deviate per i porti del Nord; in senso camionistico, si sarebbero regolati i trasporti interni rispetto ad altri settori ed estendendo ai traffici internazionali un identico regolamento; in senso postale, si sarebbero dovute unificare le tariffe. In un'Europa politicamente pacificata e consolidata da vincoli giusti e razionali, la produzione ed il consumo delle singole economie sarebbero stati destinati a seguire una curva ascendente per lungo tempo. Perciò anche i commerci ed i traffici avrebbero avuto un regolare sviluppo, assicurando alle relative aziende una vita sana ed esente da crisi (altro che la speculazione!).

Si riteneva già che dopo la guerra, sia in un primo che in un secondo periodo, che i traffici sarebbero divenuti elevati o forse anche superiori a quelli del periodo prebellico. Per questo le ferrovie italiane, secondo la visione fascista, avrebbero dovuto provvedere in tempo a farvi fronte con mezzi più che opportuni. Indipendentemente dalla costruzione di nuove linee, che avrebbe richiesto tempi e mezzi notevoli, si sarebbe dovuto provvedere senz'altro a quanto di dimostrasse necessario per il miglioramento dei principali porti ed il perfezionamento delle comunicazioni internazionali. Altro importantissimo problema che il Fascismo avrebbe dovuto risolvere, sarebbe stato quello delle tariffe, specie di quelle riguardanti il trasporto delle cose, che avrebbero dovuto adeguarsi alle nuove necessità economiche. Speciale interesse avrebbe rivestito la riforma delle tariffe dell'esportazione, le quali, basate fino agli anni '40 sui criteri di distanza, avrebbero dovuto tenere invece conto dei più numerosi complessi elementi che avrebbero influito sulle possibilità di collocamento dei prodotti nazionali all'estero.

Per la navigazione interna, erano previsti progetti per l'Alta Italia e la congiunzione (in via di studio durante il Fascismo!) del Danubio all'Adriatico; sarebbero state create notevoli possibilità per lo sviluppo degli idrotrasporti anche internazionali, visto che l'allacciamento dell'Adriatico col Danubio sarebbe significato l'inserimento dell'Alta Italia in tutto il grande sistema idrico del centro Europa. Pur tenendo conto delle condizioni meno favorevoli in cui si trovava il nostro Paese rispetto alle altre nazioni europee per lo sviluppo della navigazione interna, non poco cammino si sarebbe dovuto percorrere in quel settore dei trasporti. Infatti, in Italia all'epoca si avevano appena 2100 km di vie navigabili quasi interamente nella Valle del Po e del Veneto, con un traffico inferiore a 6 milioni di tonnellate; la Germania ne aveva 12.000 km con un traffico di 125 milioni di tonnellate; la Francia 12.000 con un traffico di 52 milioni di tonnellate; il Belgio 1700 con un traffico di 43 milioni di tonnellate e l'Olanda che su 4800 km ha un traffico di 50 milioni di tonnellate. Capirete con questi numeri perché il Fascismo volesse potenziare le linee fluviali, ancor oggi nel 2012 pochissimo utilizzate.

Per quanto concerne i trasporti stradali in Europa, anche questo sarebbe stato intimamente legato all'indirizzo della nuova produzione di automezzi. Tanto in Italia quanto in Germania, essa ormai inquadrata in pochi tipi definiti, si stava perfezionando sempre meglio. I veicoli che erano in circolazione si adattavano per l'impiego di carburanti e combustibili secondo una visione non solo contingente, ma di avvenire in relazione all'assetto economico della nuova Europa nel bacino mediterraneo. Evidentemente, in quel nuovo assetto, a prescindere dal rifornimento dei carburanti dalle Americhe, si sarebbe sviluppato un piano per la produzione di combustibili da gasogeno, di metano, di autotrazione elettrica, e di tutte le forme di energia nazionale per riservare i carburanti liquidi per l'aviazione civile e militare, per la navigazione e per i mezzi bellici. Per il raggiungimento di questi scopi, era già in atto un indirizzo coordinato da parte di Italia, Germania e Francia controllata. Il Comitato Automobilistico Europeo (organo ovviamente soppresso nel dopoguerra) si era riunito in Germania ed in Italia gettando le basi del coordinamento della produzione e di accessori costruttivi analoghi per tutta l'Europa. Così si sarebbe potuto ottenere un limitato numero di tipi, inquadrati in maniera omogenea tra le fabbriche europee, e sarebbe stata facilitata la circolazione degli automezzi dei vari stati. La diffusione della produzione italiana nei mercati della nuova Europa, in accordo e non in antagonismo con la rimanente produzione del continente, secondo una logica ripartizione geografica, avrebbe potuto tanto più affermarsi quanto più si sarebbero costruite macchine adatte alle esigenze locali di esercizio e alle forme di energia disponibili.

E per la diffusione radio, si sarebbe dovuto, prima di tutto, regolare l'enorme rete europea di radiodiffusione, non solo avendo ripartito opportunamente le onde fra le stazioni dei vari Stati, ma rendendo normali i collegamenti telefonici fra le stazioni stesse in modo da costituire una vera e propria rete europea. Questa rete, la cui realizzazione tecnica sarebbe stata perfettamente possibile, avrebbe dovuto permettere un più intenso scambio di programmi culturali fra i vari Paesi del Continente, contribuendo così alla formazione di una nuova coscienza europea (ancora incompiuta). Erano queste le direttive alle quali si ispirava il Ministero delle Comunicazioni dell'Italia Fascista. Molti tempi verbali di questa seconda parte dell'articolo, sono al condizionale. Pertanto si potrà obiettare che forse tali risultati non si sarebbero mai raggiunti. Personalmente ritengo che se l'Italia guidata da Mussolini riusciva a rendere fiorenti ed attivi dei settori vitali della nazione durante la guerra, e ovviamente precedentemente in tempo di pace, certi progetti avrebbero visto sicuramente luce a guerra vinta. Con tanto di guadagnato per l'Italia attuale.

Valentino Quintana Agenzia Stampa Italia

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