(ASI) La quarta grande sezione del testo di Villar consiste in un’analisi comparativa di tutti i popoli indoeuropei dal punto di vista storico, culturale e, in qualche caso, anche militare. I primi ad essere studiati sono gli Ittiti, forse per via delle teorie di Ivanov, Gamkrelidze e Renfrew per i quali addirittura l’Asia Minore era il focolaio originario di tutti gli indoeuropei.
La Bibbia parla di una popolazione chiamata Hittim e Ramses II li sconfisse a Kadesh; neppure l’ondata dei cosiddetti Popoli del Mare ha sradicato completamente le loro lingue.
L’autore mette in rilievo due regni: quello della Licia, che secondo l’Iliade era alleata dei troiani, e quello della Lidia, che deriva da una radice indoeuropea che vuol dire “appartenente al popolo libero”.
I territori della ex Jugoslavia erano occupati dal popolo degli Illiri avente un’origine mitologica, nello specifico da Illirico, il figlio del ciclope Polifemo e della ninfa Galatea. L’Illiria, oltretutto, diede anche imperatori di rilievo come Aureliano, Diocleziano e Costantino.
Vicino a loro sta il popolo albanese, il cui nome apparve nel XI secolo nelle fonti bizantine, mentre la prima testimonianza nella loro lingua (riconosciuta come indoeuropea da Bopp e Meyer) risale al XV.
La Bulgaria, il nord della Grecia e la Turchia europea costituiscono la Tracia, la cui città più importante era proprio Bisanzio. I traci adoravano un dio della vegetazione che pian piano diventò noto come Dioniso ed erano parecchio dediti alla guerra, tant’è che sono sempre stati arruolati in parecchi eserciti (fra i quali si possono annoverare quello persiano, quello macedone e infine quello romano). Linguisticamente parlando, Ovidio fu esiliato a Tomi (sul Mar Nero) ed ebbe occasione di studiare, appunto, la loro lingua; c’è anche da dire che non avevano una scrittura autonoma.
La Romania, invece, era la Dacia: ivi diverse tribù furono unificate solo da Burebista nel 60 a. C. e l’annessione all’impero romano ad opera di Traiano avvenne nel 106 d. C. (fino al 270). Il più grande enigma collegato alla Romania è la sua natura di isola linguistica neolatina in una zona a maggioranza slava e le ipotesi sono due: la ritirata romana fu solo militare ed amministrativa oppure ci fu una nuova latinizzazione ad opera dei Valacchi che si professavano eredi dei popoli romanizzati di Illiria, Mesia e Dacia.
L’ultima popolazione dell’area balcanica è costituita dai macedoni, i quali erano considerati dai Greci veri e propri dei barbari non elleni.
Cambiando totalmente sito geografico, Villar passa ai popolo dei Balti altresì definiti Aestii e Aestiorum Gentes (tant’è che il nome dell’Estonia in lingua estone è proprio Eesti Vabarik), studiati per l’esattezza da parte degli indoeuropeisti sovietici.
Sono importanti sia le invasioni slave sia la cristianizzazione: quella dei prussiani era cominciata nel XIII secolo, ma, siccome erano renitenti alla conversione, fu convocato persino l’Ordine Teutonico. In tal modo fu piegata l’ultima resistenza pagana in Europa.
Il cristianesimo si diffuse fra i popoli slavi tramite l’alfabeto glagolitico (creato da Cirillo e Metodio) e quello cirillico (ideato dai loro discepoli); i popoli slavi, inoltre, si dividono in tre gruppi: meridionale (Bulgaria, Macedonia, Serbia, Croazia e Slovenia), orientale (Russia, Ucraina) e uno a parte che comprende Polonia e l’ex Cecoslovacchia. “Slavo” deriva da “slovene”, nome con cui chiamano se stessi, inoltre sotto Bisanzio furono le vittime del commercio schiavista.
Il popolo più importante nel Nord Europa è di certo quello dei Germani, che, pian piano, raggiunsero la valle del Reno imponendosi contro i Celti; nel 102 d. C. Cimbri e Teutoni affrontarono i Romani ad Aquae Sextiae. La loro letteratura non è da sottovalutare: si noti l’importanza delle “Edde” e delle varie saghe, nonché la traduzione della Bibbia nella lingua dei Goti da parte di Ulfila.
La patria dei Celti, invece, si trova fra il sud-est della Germania, l’est della Francia e la Svizzera: dal 400 a.C. arrivarono in Italia fondando Mediolanum (Milano), ma alla fine scompariranno a causa dell’intervento (congiunto) di Roma e dei Germani. I romani invasero la Gran Bretagna nel 43 d. C. e la divisero in Britannia superiore ed inferiore; Scozia e Irlanda non furono mai occupate. Le lingue celtiche si dividono in continentali (gallico, celtiberico, lepontico) ed insulati (gaelico e brittonico): degno di menzione è l’alfabeto ogamico che è durato dal 300 d. C. fino al V secolo, momento in cui i monaci hanno introdotto quello latino.
Sull’attuale territorio italiano, i romani erano entrati in contatto con i liguri e la completa annessione ci fu solo nel 14 a.C. all’epoca di Augusto. Ovviamente l’Italia stessa ha un posto di rilievo, tanto che Villar le assegna l’intero capitolo dodicesimo. Il tredicesimo, invece, è riservato alla penisola iberica in cui si possono notare sia tracce di popoli non indoeuropei (iberi, baschi, popoli del sud) che di quelli indoeuropei (celti e lusitani).
Altri popoli degni di menzione sono frigi, armeni e tocari. Greci e indiani, già solo per le vicende di evoluzione delle rispettive lingue, occupano un posto di rilievo.
Il volume termina con un’analisi sulla dialettologia, che parte dalla consuetudine per cui si rappresentano le parentele linguistiche come se fossero umane, dunque con gli alberi genealogici. Gli indoeuropei, dunque, venivano dalle steppe russe e lo “smembramento” durò circa 2000 anni. A essi vanno aggiunti quelli di colonialismo ed imperialismo in quanto le lingue indoeuropee approdarono al di fuori delle loro zone tradizionali.
G. R. - Agenzia Stampa Italia
Prima parte: http://www.agenziastampaitalia.it/cultura/cultura-2/41091-gli-indoeuropei-e-le-origini-dell-europa-parte-prima