La campagna italiana in Russia: una crociata per cristianizzare un popolo caduto vittima dell'ateismo bolscevico?

(ASI) Mosca – Il 9 maggio 2016, si è festeggiato nella Piazza Rossa di Mosca il 71° anniversario del “Den Pobedy”, ossia la giornata della Vittoria sulle forze militari dell'Asse che chiuse in Europa la Seconda Guerra Mondiale, chiamata dai Russi anche la “Grande Guerra Patriottica”.
L'Urss fu attaccata il 22 giugno 1941, con l' “Operazione Barbarossa”: 5,5 milioni di soldati, 3500 carri armati e 4 mila aerei, pari a 201 divisioni dell'esercito tedesco (il 75% di tutto il suo potenziale bellico), a cui si aggiungevano 37 divisioni degli altri eserciti dell'Asse, tra cui quelle del Corpo di spedizione italiano in Russia (Csir), inviato nell'estate del 1941, e poi dell'Armir (8° Armata italiana).

I Russi alla fine ebbero la meglio, grazie ad una strenua resistenza e con l'aiuto del “generale inverno”, ma ad un costo altissimo: circa 27 milioni di morti ( il 15% della popolazione dell'epoca); 5 milioni di prigionieri deportati in Germania, 1700 città distrutte,70 mila piccoli villaggi cancellati, 30 mila infrastrutture industriali smantellate.

Comunque sia, si combatté con grande ferocia, da entrambe le parti, senza esclusioni di colpi e anche gli Italiani diedero il loro importante contributo.

Ma, a tal proposito, sorge spontaneo chiedersi, quali furono i compiti svolti dal nostro esercito in Urss? Qual'è stata la reale condotta del Regio Esercito nella Campagna di Russia?

Il Csir, con tre divisioni autotrasportabili, fu inizialmente affidato al comando del generale Francesco Zingales, ma col peggiorare delle sue condizioni di salute, il 17 luglio 1941, prese il suo posto il Generale Giovanni Messe.

Il Csir, inizialmente inquadrato nell'XI Armata tedesca, venne impiegato nelle ampie manovre di inseguimento dei reparti sovietici in ritirata, per poi assestarsi, con l'avvicinarsi dell'inverno, nella zona di Stalino (oggi Donec'k, grande città dell'Ucraina orientale, sul fiume Kalmius).

Il fallimento dell'offensiva tedesca contro l'Unione Sovietica portò i comandi tedeschi a richiedere maggiori sforzi agli alleati in previsione delle nuove offensive del 1942, così il Csir, venne raggiunto da altri due Corpi d'Armata Italiani che insieme andarono a formare l'VIII Armata (Armir) che fu protagonista dei tragici avvenimenti legati alla ritirata delle forze italiane attraverso la steppa russa.

L'Armata Italiana in Russia, comandata dal generale Italo Gariboldi, tra il luglio 1942 e il marzo 1943, operò sul fronte orientale, sul Medio Don, in appoggio delle forze tedesche della Wermacht, impegnate a Stalingrado.

Con la controffensiva russa, il 16 dicembre l'armata italiana venne investita dalle forze sovietiche, impegnate nell'operazione “Piccolo Saturno”, che travolsero il II e il XXXV Corpo d'armata italiano e causarono lo sfaldamento totale dello schieramento italiano e del distaccamento tedesco – rumeno “Hollidt”.

Ne seguì un ripiegamento disordinato attraverso la pianura sovietica che anticipò di circa un mese quello del Corpo d'armata alpino, schierato sull'Alto Don, a seguito della seconda offensiva invernale russa del gennaio 1943.

Iniziò così una tragica ritirata attraverso la steppa russa che si concluse il 31 gennaio, decretando di fatto la fine dell'esperienza italiana sul fronte orientale. Pochi tornarono a casa (circa il 10% dei soldati), la maggior parte si arrese e/o fu fatta prigioniera, oppure morì congelata a causa del rigido inverno russo.

Sulla condotta dei nostri militari in Russia, va detto che nel maggio del 2007 il ministero della Difesa russo ha reso accessibili ben 5 milioni di documenti inerenti la Seconda Guerra Mondiale, permettendo agli studiosi di ricostruire meglio quel periodo storico.

Nell’ottobre del 2007, con l’aiuto dell’Università di Voronezh (grande città della Russia sud – occidentale che prende nome dall'omonimo fiume, non distante dall'Ucraina), ha inizio la ricerca sui fondi d’archivio sovietici riguardanti l’VIII armata italiana.

L’indagine ha portato alla luce alcuni documenti e carteggi dell'Armir di cui l’Armata Rossa si era impossessata durante le battaglie invernali del 1942-1943.

Ciò su cui si è investigato è stata la condotta italiana in quel luogo, la politica di sfruttamento delle risorse locali, l’apparato repressivo e di sicurezza.

I risultati di tale ricerca hanno messo in evidenza che nel settore di schieramento del Corpo Alpino (l'Alto Don), gli italiani sembrano essere estranei agli efferati crimini della II Armata tedesca e ungherese, nonché responsabili di reati minori solo nel 3% dei casi.

La stessa cosa si può riscontrare nel medio Don, con un’incidenza che però è di poco maggiore. Tutto ciò è confermato da un dato schiacciante che evidenzia come su un totale di 80 mila criminali di guerra identificati e arrestati dalla polizia sovietica, oltre 30 mila sono di altri eserciti dell'Asse, mentre gli italiani inquisiti e condannati sono una ventina.

La ragione di una percentuale così bassa di crimini è data probabilmente sia dalla supremazia dei comandi tedeschi alla guida di una macchina repressiva imponente e sia dall’assenza di un’ideologia eliminazionista degli Slavi nel Regio Esercito.

Non a caso, Nazismo e Fascismo avevano due modi diversi di giustificare la campagna di Russia: Mussolini presentò l’invasione come una crociata per cristianizzare i senzadio, un popolo caduto vittima dell’ateismo bolscevico, mentre Hitler voleva sterminare gli Slavi (considerati dall'ideologia nazista dei subumani) per impadronirsi di un immenso territorio e germanizzarlo, sottomettendo l’Est alla lingua e alla legge tedesca.

Cristiano Vignali – Agenzia Stampa Italia

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