(ASI) – Era il 16 agosto 1920. Due anni erano passati dalla fine della Prima Guerra Mondiale, e l'Europa rischiava nuovamente di ritrovarsi dilaniata dal conflitto. Da una parte la Polonia. Dall'altra lo spauracchio del mondo libero di allora, Urss di Lenin. Siamo nel pieno dei fermenti sindacalisti e della lotta di classe.
Nelle nazioni occidentali la fine del primo conflitto mondiale aveva fatto emergere nuovi equilibri interni alle società del tempo. Gli orrori della guerra, per lo più combattuta non da ufficiali aristocratici e da soldati di professione, ma da intere masse di coscritti facenti parte di tutti i ceti sociali, e soprattutto di quelli meno abbienti, avevano imposto l'emergere con forza delle nuove classi operaie e contadine che a gran voce reclamavano diritti e uguaglianza. Questi fermenti, che passeranno alla storia in Italia con il nome di "biennio rosso", attraversarono tutti i paese europei manifestandosi in forme di varia intensità, ma tutti riconducibili ad un unico scopo comune; l'avvento della rivoluzione sul modello di quanto era accaduto nel 1917 in Russia. Dal canto suo Lenin, il carismatico leader della causa Bolscevica, e a tutti gli effetti nuovo zar di Russia, non faceva mistero di sognare un Europa interamente dominata dal socialismo e che avrebbe dovuto avere nella Russia il suo punto di riferimento.
Ancor prima del venirsi a creare la suddetta situazione, gli imperi centrali, cioè la Germania e l'Austria – Ungheria che a marzo del 1918 avevano ottenuto la pace con la Russia, temendo l'espansionismo socialista e perfettamente coscienti della propria precarietà economica e politica che di li a poco li avrebbe condotti al collasso e alla resa, decisero di dare sostegno al nazionalismo polacco per la creazione di uno stato indipendente.
La Polonia, entità culturale e linguistica ben definita, ma scomparsa come territorio a se stante da più di cento anni in seguito alla spartizione del suo territorio tra Germania, Austria – Ungheria e Russia, sarebbe dunque divenuta una nazione cuscinetto tra gli imperi centrali e l'Urss al fine di impedire la diffusione del socialismo che già stava infiammando le masse popolari europee. Il neo costituito governo polacco decise pertanto, in accordo con le dottrine politiche dell'epoca che associavano la prosperità di una nazione alla sua capacità di crescita territoriale, decise dunque di iniziare una forte opera di espansione territoriale e culturale con l'obbiettivo di rientrare in possesso di quanto effettivamente fosse riconducibile all'identità del nuovo stato. Solo successivamente il nazionalismo polacco di cui era permeato l'esecutivo del presidente Josef Klemens Pilsudski, si manifestò appieno, e il neonato Regno di Polonia, approfittando dei disordini interni alla Russia dove le armate bolsceviche si scontravano con le armate bianche leali allo zar e con le varie fazioni anarchiche, invase l'Ucraina arrivando a conquistare Kiev. Mentre a nord si espanse conquistando la Bielorussia e la Lituania nel tentativo di creare una confederazione polacca che rendesse il Regno di Polonia un entità territoriale che avrebbe spaziato dal Mar Nero fino al Mar Baltico. Contestualmente i polacchi avviarono nei territori occupati una campagna di "polonizzazione" delle culture locali onde consolidare rapidamente l'entità culturale del nuovo stato. Tale campagna di conversione culturale fu particolarmente attiva in Ucraina dove molti nobili e possidenti terrieri polacchi si insediarono e avviarono un intenso rinnovamento culturale locale. Era l'inizio del conflitto sovietico – polacco che si sarebbe protratto per 3 anni.
Appena venuti a conoscenza della situazione, gli alleati della Triplice intesa che avevano sconfitto gli imperi centrali, ne proseguirono però il progetto polacco. Sebbene soprattutto Inghilterra e Francia avessero dei dubbi sull'espansionismo polacco, in quanto convinti che l'Urss fosse solo una "condizione provvisoria" della Russia, e quindi destinata comunque a cadere anche senza l'intervento polacco, gli Stati Uniti aiutarono attivamente il progetto polacco. All'indomani della firma dell'armistizio di Compiegnè, cioè la resa degli imperi centrali, iniziarono il trasferimento di materiali bellici dall'Europa occidentale alla Polonia. Gli stessi Usa finanziarono con un prestito ponte la neonata Repubblica di Polonia per permettere al nuovo stato la costruzione di infrastrutture in grado di supportarne l'avanzata.
L'Urss, nonostante le gravi difficoltà in cui versava, e un primo periodo di sostanziale inerzia dovuto al fatto che le truppe bolsceviche stavano combattendo su ben 15 fronti diversi, reagì solo a maggio del 1920. Con una furibonda controffensiva riuscì a riprendere tutti i territori persi e ad avanzare in Polonia fino a raggiungerne la capitale, Varsavia. A questo punto il paese venne lasciato solo dai propri alleati europei, i quali, a causa dei violenti scioperi e manifestazioni contro la politica polacca da parte delle masse proletarie socialiste, preferirono non aggravare ulteriormente i propri problemi interni economici e di ordine pubblico. L'unico paese che volle inviare rinforzi alla Polonia, l'Ungheria dell'ammiraglio Horty, non poté farlo a causa del rifiuto della Cecoslovacchia a concedere il passaggio sul proprio territorio alle truppe ungheresi.
A questo punto le sorti della Polonia sembravano quanto mai segnate. Mentre nell'estate del 1920 l'Armata rossa era ormai a meno di 500km dalla capitale, il governo polacco del presidente Pilsudski cadde e fu rimpiazzato da un governo di coalizione guidato da Wicenty Witos, leader del partito contadino polacco. Ad agosto i sovietici erano ormai giunti nei pressi di Varsavia. La situazione era ormai degenerata al punto tale che i vescovi polacchi chiesero formalmente a Papa Benedetto XV una benedizione per salvare la Polonia. Dal canto suo invece Lenin aveva dichiarato alla riunione del Komintern che la Polonia era prossima alla disfatta, e aveva annunciato i prossimi assetti della futura repubblica socialista polacca e la sua missione di trampolino di lancio per il socialismo in Europa.
Le cose non andarono come Lenin aveva previsto. I polacchi, la cui identità culturale non era mai venuta meno nei cento anni di dominazione straniera, adesso non combattevano più in nome delle ambizioni territoriali o politiche, ma per difendere le proprie case e la capitale, il simbolo stesso della nuova unità del paese. Pertanto i difensori decisero che Varsavia sarebbe stata la battaglia decisiva. Impiegando il 100% delle risorse disponibile predisposero non meno di 10 linee difensive attorno alla città, ognuna delle quali fortificata con l'uso dell'artiglieria. Inoltre mobilitarono tutte le truppe di cavalleria e i mezzi corazzati disponibili per passare al contrattacco non appena l'avanzata russa si fosse infrante sulle linee difensive della città. Dal 13 al 15 agosto l'offensiva bolscevica parve inarrestabile, ma nella notte tra il 15 e il 16 essa si frammentò sulle linee difensive polacche e perse il proprio slancio e la caratteristica compattezza, vero fattore decisivo nelle strategie offensive dell'armata rossa. A questo punto però i polacchi erano ancora in inferiorità di 5 a 1 rispetto ai russi. Si era però consci del fatto che una guerra di logoramento avrebbe potuto favorire solo gli attaccanti e che un eventuale accordo di pace avrebbe significato la riduzione della Polonia a stato satellite dell'Urss. Alle 04:00 del mattino, lo stato maggiore polacco, e le milizie ucraine indipendenti alleate dei polacchi decisero di rompere gli indugi e passarono al contrattacco cogliendo di sorpresa i bolscevichi. In poche ore annientarono il gruppo "Mozyr", ossia il fianco sinistro dell'armata bolscevica. La cavalleria e i mezzi corazzati, supportati da veloci azioni di fanteria, penetrarono dunque nelle retrovie dell'Armata Rossa, impedendone i rifornimenti e iniziando un attacco alle spalle che avrebbe schiacciato le truppe russe tra gli attaccanti e le linee difensive di Varsavia e della Vistola. A questo punto, colti dal panico e dall'effettiva possibilità di venire accerchiati ed annientati, i comandanti russi ordinarono la ritirata. Tale manovra si rivelò scoordinata e dall'esito assolutamente disastroso per le truppe bolsceviche. Gran parte dell'equipaggiamento cadde in mano polacca e numerosi furono i prigionieri. Contestualmente il morale polacco crebbe a dismisura di pari passo con il crollo di quello sovietico. La controffensiva, immediatamente ribattezzata "il miracolo della Vistola" portò la Polonia a riconquistare gran parte dei territori facente parte del suo nucleo culturale originario, e la Russia ad accettare la pace di Riga stipulata l'anno successivo, il 18 marzo 1921, che pose termine alla guerra sovietico – polacca.
Poco dopo la battaglia il generale Haller, comandante in capo delle forze polacche disse –"Era una vittoria umanamente insperabile". Ancora oggi, a 95 anni dagli eventi di Varsavia e della guerra sovietico – polacca, molti in Polonia vedono in questa vittoria l'intercessione della Madonna Nera Czestokowa, tradizionale culto polacco e la battaglia stessa è considerata uno degli eventi chiave della storia nazionale polacca.
Alexandru Rares Cenusa – Agenzia Stampa Italia