Addio a Emilio Bianchi. Spirato a 103 anni l'ultimo dei "fantastici 6" incursori di Alessandria d'Egitto

(ASI) – Un pezzo della storia nazionale che se ne va. Questo era Emilio Bianchi, Palombaro Capo della marina militare italiana; un pezzo di storia.

La storia di quella bella Italia che nulla ha a che vedere con gli slogan divenuti ultimamente di moda presso certa politica. Si è spento a 103 anni Bianchi, dopo una vita passata al servizio del paese e la partecipazione ad una delle più eroiche imprese dell'ultimo conflitto mondiale. Era l'ultimo dei sei arditi incursori dell'allora Regia Marina italiana che sfidarono la più protetta base navale inglese del Mediterraneo, ad Alessandria d'Egitto, riuscendo con il loro coraggio a far pendere la bilancia della guerra a favore degli italiani nel corso di una brillante e spettacolare azione che nel giro di poche ore danneggiò gravemente 2 navi ammiraglie britanniche.
L'operazione era iniziata nella notte del 3 dicembre 1941, quando il sommergibile italiano Scirè era salpato da La Spezia in direzione di Lero, dove era stabilito l'appuntamento con i 6 incursori e i loro mezzi, i siluri pilotati a lenta corsa (SLC), soprannominati i "maiali". Al comando vi era il capitano Junio Valerio Borghese, che più tardi avrebbe legato il suo nome ad altre spettacolari azioni condotte con la Decima Flottiglia Mas. Nel corso della navigazione il sommergibile italiano venne avvistato da un ricognitore britannico, ma l'efficienza del servizio di informazione della regia marina consentì all'equipaggio di non destare sospetti e rispondere con gli appropriati segnali in codice della Royal Navy, la marina inglese. Il 14 dicembre la missione vera e propria ebbe inizio. Lo Scirè, con a bordo i tre SLC e i sei incursori organizzati in tre equipaggi comandati dal tenente di Vascello Luigi Durand de La Penne, lasciarono il porto di Lero diretti verso la costa egiziana dove giunsero il giorno 17 dicembre. Le cattive condizioni climatiche imposero al sommergibile italiano di attendere al largo della base inglese per un giorno intero. Tempo questo che se da un lato rappresentò certo un alto rischio di venire individuati, si rivelò assai prezioso per studiare i movimenti del naviglio avversario. La notte del 18 dicembre, approfittando delle più che favorevoli condizioni atmosferiche, e dell'entrata in porto di tre cacciatorpediniere inglesi, i tre equipaggi italiani si mossero per penetrare nella base navale di Alessandria d'Egitto. L'obbiettivo era l'affondamento delle due corazzate inglesi Valiant e Queen Elizabeth, navi ammiraglie della flotta dell'ammiraglio Andrew Cunningham nel Mediterraneo. Inoltre erano considerati obbiettivi anche tutte le altre unità presenti in porto e soprattutto il naviglio mercantile civile requisito dalla Royal Navy operante come flotta di supporto e rifornimento. I tre "maiali" si misero in scia ai tre cacciatorpediniere inglesi. Il rimo a penetrare ad Alessandria fu quello guidato dal comandante De la Penne che aveva come suo secondo il capo palombaro Emilio Cornelio. I due si diressero verso la corazzata Valiant mentre gli altri equipaggi si occuparono dell'altra corazzata presente, la Queen Elizabeth, e della petroliera militare Sagona. L'operazione prevedeva la sistemazione degli Slc sotto le chiglie delle navi nemiche e l'emersione dell'equipaggio che avrebbe dovuto lasciare Alessandria e raggiungere Rosetta dove sarebbero stati recuperati da un sommergibile italiano qualche giorno dopo. Invece il corso degli eventi, fino ad ora favorevole agli italiani, incominciò a prendere una piega inaspettata. Il respiratore di Emilio bianchi si guastò e costrinse il palombaro capo ad emergere in superficie dove venne notato dalle pattuglie inglesi aggrappato ad una boa di ancoraggio della stessa Valiant e quindi arrestato. Il comandante De la Penne continuò da solo la missione riuscendo a piazzare il proprio mezzo sotto la Valiant e ad innescare il detonatore a tempo ma appena emerso venne subito avvistato e arrestato dalle pattuglie inglesi. Ancora più fortunosa fu l'azione dell'equipaggio che colpì la Sagona, il quale dovette navigare in superficie a causa di malfunzionamenti all'equipaggiamento potendosi immergere solo in prossimità del bersaglio. Anche in questo caso i due italiani furono individuati e arrestati appena emrsero. Da manuale fu invece la missione del terzo equipaggio che non lamentò alcun guasto tecnico e poté quindi completare la missione e far perdere le proprie tracce, salvo poi venire arrestati il giorno successivo a causa di alcune banconote non più in corso legale fornite dal servizio segreto dell'esercito che li fecero notare dalle autorità egiziane.
Nel frattempo De la Penne e Bianchi erano stati condotti sulla Valiant e qui interrogati alla presenza del comandante dell'unità, Sir Charles Morgan. Durante l'interrogatorio, condotto in maniera spiacevole da parte dei britannici, i due uomini non risposero alle domande che gli furono poste, e vennero quindi chiusi una cella situata sotto la linea di galleggiamento della nave. L'idea degli inglesi era che gli italiani avrebbero rivelato la posizione degli ordigni per evitare di rischiare la morte a bordo della nave. De la Penne e Bianchi invece non cedettero a questa vera e propria operazione di terrorismo psicologico da parte degli inglesi e alle 5:30 del mattino, mezz'ora prima della deflagrazione delle cariche, chiesero di essere condotti in plancia al cospetto del capitano Morgan. Qui De la Penne si limitò a dire all'inglese –"Signore, le suggerisco di far evacuare la nave. Tra poco ci sarà un'esplosione". Morgan ringraziò De la Penne per l'indicazione, fece sbarcare l'equipaggio, ma vigliaccamente fece rinchiudere i due italiani nuovamente nella stessa cella sotto la linea di galleggiamento. Alle 06:00 il porto di Alessandria venne squassato dalle tre esplosioni che affondarono le corazzate Valiant e Queen Elizabeth, e la petroliera Sagona, e danneggiarono numerose altre unità presenti. A causa del basso fondale le due corazzate si posarono direttamente sul fondo senza capovolgersi e con le sovrastrutture emerse. Durante l'esplosione sulla Valiant, i due italiani, seppur feriti, riuscirono a liberarsi e a raggiungere il ponte dove furono evacuati assieme ai restanti membri dell'equipaggio. I due uomini rimasero, assieme agli altri quattro incursori, prigionieri di guerra dei britannici fino al termine del conflitto. Dopo l guerra i "fantastici 6" vennero insigniti della medaglia d'oro al valor militare dalla rinata Marina Militare Italiana. Curiosamente, l'ufficiale che appuntò le medaglie al petto dei sei era Sir Charles Morgan, capitano della Hms Valiant.
Il raid di Alessandria fu una grande vittoria per la Regia Marina. Poche settimane prima gli inglesi avevano attaccato con aerosiluranti la base navale di Taranto arrecando gravi danni alle unità italiane. L'impresa di Alessandria fu il tentativo più che riuscito di riequilibrare le sorti della guerra nel Mediterraneo. Gli inglesi avevano già perso l'altra nave ammiraglia, la corazzata Barham silurata dal sommergibile tedesco U-331 il 25 novembre e la portaerei Ark Royal silurata dall' Uboot 81. Se a queste perdite si aggiungono il fermo di 17 mesi delle altre due corazzate britanniche, ne consegue che per quasi un anno la Royal Navy britannica poté contare solo su un pugno di incrociatori e cacciatorpediniere per difendere il Mediterraneo. Purtroppo ne il comando italiano ne quello tedesco seppero sfruttare tale fulgida vittoria tattica per passare all'offensiva che avrebbe permesso la conquista di Malta. Ciò fu in larga parte dovuto al fatto che le due grandi navi inglesi si erano adagiate di pochi metri sul fondo. Pertanto le sovrastrutture erano ancora sopra il livello del mare. Inoltre gli inglesi stessi cercarono di minimizzare evitando di eseguire riparazioni od operazioni di recupero o spostamento che avrebbero attirato l'attenzione degli aerei ricognitori italiani e tedeschi. Al contrario per quasi tutto il tempo continuarono a svolgere regolarmente le funzioni di bordo, quali l'alza bandiera e le varie adunate sul ponte, così come simularono esercitazioni di brandeggio dell'artiglieria e perfino la messa in pressione delle caldaie per simulare un imminente uscita della squadra navale. Il comando italiano, data la cattura di tutti gli uomini coinvolti nell'operazione, non poteva sapere che per lungo tempo le due navi non avrebbero nemmeno potuto aprire il fuoco con le torri principali, a anche che l'armamento secondario era in buona parte fuori uso, mentre i depositi delle munizioni erano rimasti per lo più allagati. Come disse il primo ministro britannico, Winston Churcill, subito dopo esser venuto a conoscenza dei dettagli dell'operazione italiana –"Sei italiani equipaggiati con materiale di costo irrisorio hanno fatto vacillare gli equilibri del Mediterraneo in favore dell'Asse".
Oggi, 17 agosto 2015, l'ultimo dei protagonisti di quella gloriosa impresa, Emilio Bianchi, sarà dunque sepolto a Torre del Lago, lasciando ai posteri l'eredità del ricordo di un Italia che ha combattuto, di una nazione i cui uomini non si tirarono indietro dinnanzi alla sfida di un avversario forte e sicuro di se. Il ricordo di quella buona Italia, che oggi pare solo una leggenda sbiadita dal tempo, ma che invece è realmente esistita.

Alexandru Rares Cenusa – Agenzia Stampa Italia

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