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(ASI) E’ una festa popolare a Dublino, il 16 giugno, la giornata che ricorda la passeggiata per le vie della città fatta da Leopold Bloom, uno dei protagonisti dell’ Ulisse di James Joyce. Si vede per la strada gente vestita in abiti primo novecento, donne con gonne  lunghe, giacche a vita, camicette di pizzi e merletti  e cappellini stravaganti, uomini in abiti generalmente chiari, bombetta ed ombrello. Partecipano alle passeggiate del ricordo, tante, organizzate secondo itinerari diversi, proposti da varie agenzie turistiche o culturali. E quando i dublinesi salutano dicono: Happy Bloom’s Day, un augurio di benessere per un giorno speciale. Mi ricorda, arbitrariamente, il nostro Buon Ferragosto. Non c’è niente di simile in Italia, le nostre feste nascono dalla fede popolare in santi e madonne più o meno miracolosi. Questa festa di Dublino nasce, invece, da un personaggio inventato da uno scrittore del luogo, oggi ritenuto un genio, domani chissà, ed è una celebrazione della creatività artistica irlandese.  L’opera di James Joyce è un esempio  di cultura alta, forse di difficile comprensione per non addetti ai lavori anche in Irlanda,  ma resa popolare a Dublino e nel mondo.

Incontro allo Stephen’s Park una classe di studentesse americane di Pittsburgh guidate dai loro insegnanti, arrivate dall’altra parte dell’oceano per una densa giornata joyciana. Due uomini, un attore ed un cantante con chitarra, celebravano il ricordo. Letture di brani del romanzo, dai capitoli di Nestore e Telemaco, si alternavano a canzoni. Memorabile la sosta in Leinster Street South, Lincoln Place,  da Sweny the Drugist, un negozio tenuto tuttora da volontari come era un secolo fa, il luogo perfetto per letture giornaliere delle opere di James Joyce. Da non dimenticare il sapone al limone, che Mr Bloom comprò fermandosi lì durante la sua passeggiata.

La più bella libreria di Dublino, Hodges Figgis in Dawson Street, offriva lectures, da mezzogiorno in poi. Pensavo si trattasse di conferenze fatte dagli studiosi dell’autore,  invece no, erano letture di brani dal romanzo fatte da un gruppo di attori per un  pubblico di letterati ed appassionati provenienti da tutto il mondo.

Poi c’erano i giri organizzati dal Joyce Centre,  guidati da esperti locali per un’ora, in genere studenti o studiosi di letteratura inglese che leggono e spiegano passi dal romanzo. E qui si entra in contatto con la ricchezza e la varietà di eventi, cultura, personaggi, fra ricordi ed interpretazioni dei fatti di Dublino. Alle tre del pomeriggio mi è capitato il giro per Dublino Nord, guidato da una giovane irlandese, sicuramente studiosa di letteratura e culture locali, nei luoghi dell’infanzia e della prima giovinezza di James Joyce, oggi ritenuti luoghi poco raccomandabili per la sicurezza personale. C’era anche altro in giro per la città, per  esempio i festeggiamenti in Phoenix Park, il più bel parco di Dublino, estesissimo, mille sfumature di   verde.

E così per la prima volta ho sentito da  voci native le varie intonazioni, diciamo pure le musiche, della ricchissima variegata lingua di James Joyce. Ritmi diversi per stili diversi,  cantilenante, liscio scorrevole, fortemente  ritmato.  Una gioia per orecchie amanti delle mille sfumature dei suoni  e ritmi della   lingua inglese, notissima, inseguita, studiata, amata o odiata,  venduta a caro prezzo dagli operatori del settore,  sempre di difficilissima comprensione per non nativi. Per me ha un fascino irresistibile, per alcuni un ostacolo insuperabile.

Duplice l’effetto di queste celebrazioni per uno straniero, da un lato incuriosiscono, dall’altro estraniano, sono fatti ignoti e lontani, forse anche a parte della popolazione locale,  dedita a ben altri interessi, business, tifo per le squadre locali, sesso e grandi bevute di birra nei pub. Ma è proprio questo che la creatività di un grande artista locale comunica a pubblici di tutto il mondo, anche a quelli di lingue diverse. Un viaggio da ripetere.

Emanuela Medoro

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