(ASI) Hillary Clinton è tra i due, forse tre, principali candidati alla Casa Bianca e secondo molti analisti ha concrete possibilità di vincere diventando così “l’uomo” più potente della terra. Ma ciò sarebbe davvero un bene per gli Usa e per il mondo?
Porva a rispondere a questo quesito la giornalista e saggista Diana Johnstone, con una risposta che potrebbe sorprendere i più disattenti ed ingenui. Nel suo ultimo libro “Hillary Clinton – Regina del caso”, edito in Italia dalla Zambon, la Johnstone traccia un quadro molto preciso della “moglie d’arte”, di quello che è stato il suo operato prima come first lady quindi come Segretario di Stato, e soprattutto di quella che la politica estera di Washington.
Il risultato finale è praticamente disarmante: “la sua carriera come Segretario di stato dimostra quanto sia qualificata per diventare la madre di tutti i droni addirittura della Terza guerra mondiale”. La Clinton è convinta che il progresso del mondo sia legato al fatto che gli Usa insegnino a tutti quanti come devono comportarsi in ogni momento della loro vista, un punto di vista che impone non solo la rieducazione della popolazione attraverso il bombardamento mediatico legato ai diritti civili della comunità Lgbt, che ormai hanno sostituito i diritti sociale che in Usa non sono mai stati troppo popolari, ma che si riflette anche e soprattutto nel dovere di combattere e rieducare quei paesi che non si conformano all’american way of life.
Parlando del ruolo della Clinton come first lady l’autrice ricorda come lei stessa nella sua autobiografia si vanta di aver spinto il marito Bill nel 1999 ad intervenire nella ex Yugoslavia contribuendo a creare quel nuovo concetto di genocidio ed olocausto, spesso creato dal nulla utilizzando false flag, che ha poi dato vita alla nuova politica estera di Washington negli anni successivi abusata dalla presidenza Bush ed, in misura minore, da quella Obama.
Il libro molto ben fatto e dettagliato riesce a fare luce su un personaggio per certi versi ambiguo osannato dalla stampa liberal che ora sembra vendere nell’elezione della Clinton l’ultimo passo da compiere sulla via del femminismo incurante di due elementi molto importanti, il primo è che la Clinton, femminista convinta corre per la Casa Bianca utilizzando il cognome del marito e che personaggi come la Thatcher hanno governato il loro paese con circa 30 anni di anticipato rispetto a lei e che nel continente indio latino, che negli ultimi anni si è emancipato e sottratto al controllo degli Usa, il Brasile, il Cile e l’Argentina hanno già avuto dei presidenti donna, fermo restando il diverso politico dei paesi sullo scacchiere globale.
Il libro appare da consigliare a tutti coloro che credono nell’equazione repubblicano/poliziotto cattivo e democratico poliziotto/buono per aprire finalmente gli occhi su cosa sono realmente gli Usa, il loro concetto di libertà e democrazia e come una donna al potere non sempre sia la scelta migliore per vivere in un modo senza guerre.
Fabrizio Di Ernesto - Agenzia Stampa Italia