(ASI) Immaginate la figura geometrica del triangolo e ponetevi ai vertici tre discipline cardine della nostra cultura: il Diritto, la Medicina e la Filosofia. E' questo lo scenario immaginario che si è presentato agli occhi di quanti, in questo venerdì 16 marzo, hanno fatto il loro ingresso nell'Aula Magna della Facoltà di Medicina e Chirurgia di Perugia per assistere al terzo incontro dedicato alla Bioetica.
Nel corso dei primi due seminari, che si sono svolti presso l'Aula Magna della Facoltà di Farmacia in date, rispettivamente, 24 febbraio e 2 marzo, si è argomentato intorno ad alcune tematiche inerenti alla Bioetica: il diritto di ricerca, il diritto alla vita e l'uso dei contraccettivi.
In occasione di questo terzo incontro dal titolo Dicotomia della vita e della morte, sono intervenuti i rappresentanti delle tre discipline suddette (Diritto, Medicina e Filosofia), alcuni fra i nomi più illustri del panorama culturale, che si sono confrontati sulla tematica dell'incontro: la dicotomia della vita e della morte.
Saluti: Magnifico Rettore Prof. Francesco Bistoni, Preside di Farmacia, Chiar.mo Prof. Massimo Curini, Preside di Medicina Chiar.mo Prof. Luciano Binaglia.
Relatori: Prof. Antonio Palazzo- Accademia dei Giusprivatisti europei
Prof. Elmo Mannarino- Professore Ordinario di Medicina Interna dell'Università degli Studi di Perugia.
Prof. Antonio Pieretti- Prorettore dell'Università degli Studi di Perugia e Professore di Filosofia Teoretica
Dr. Fausto Cardella- Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Terni
Organizzatori: Mario Fonsi, Dr. Francesco Sapia, Valeria di Giammarco
Ad introdurre gli interventi dei relatori presenti è stato il Dr. Francesco Sapia, organizzatore dell'evento assieme a Valeria di Giammarco e Mario Fonsi, rappresentante della Facoltà di Farmacia.
A seguito di un breve intervento da parte del Rettore e del Preside della Facoltà di Medicina, la parola è passata al Prof. Palazzo, che dall'alto della sua esperienza di giurista ha cercato di tracciare una linea invisibile di collegamento fra le varie discipline, definendo il 'triangolo immaginario' e collegandone i vertici. Il Professore ha dichiarato che l'origine dei problemi si è avuta quando si è arrivati a scindere la Bioetica da altre due Bioetiche nate in questi anni: il Biodiritto e la Biomedicina. Ciò ha determinato l'assenza di interdisciplinarietà, punto di incontro fondamentale per costruire un futuro all'insegna del libero dibattito e del confronto diretto.
Grazie a questo ciclo di incontri si sono create le condizioni affinché si realizzasse il progetto di interdisciplinarietà, analizzando il tema della Bioetica e, in particolare nell'ultimo convegno, quello della vita, dal suo concepimento al momento in cui sta per cessare.
Come 'rappresentante' di Medicina è intervenuto in occasione di questo incontro il Professor Mannarino, (Ordinario di Medicina Interna) che, attenendosi alla sfera di competenza degli operatori sanitari, ha parlato del 'morire', termine definito dal giurista Stefano Rodotà come “segmento temporale, spesso non quantificabile, contrassegnato da specifici episodi e dall'esigenza di interventi umani.” A differenza della morte il 'morire' necessita dunque della 'mano' dell'uomo, poiché presuppone la presenza di bisogni (spesso) insoddisfatti.
La società attuale e la famiglia sono andate incontro ad un profondo processo di trasformazione: fino a cinquanta anni fa si nasceva e si moriva in casa; oggi la nascita e la morte non sono più confinate all'interno delle pareti domestiche, ma avvengono spesso in ospedale e in modo del tutto innaturale. Basti pensare a quando viene dato alla luce un bambino che subisce immediatamente il distacco dalla mamma; ciò è sintomatico del fatto che nel progresso siano insiti elementi di regresso. Ma ciò che è stato ancora più drammatico nella trasformazione del comportamento di questi ultimi anni sono stati i 'riti della morte': in passato si faceva di tutto perché il malato terminale potesse morire a casa, oggi invece sembra quasi che si scelga l'ospedale, luogo della diagnosi e della cura, come posto ideale per trascorrere gli ultimi giorni di vita. Questo aspetto, oltre a causare una esponenziale crescita dei decessi all'interno delle strutture sanitarie e un consequenziale aumento delle spese, ha spinto ad una riflessione: 'Come' si muore in ospedale?! Ebbene, si muore spesso in pessime condizioni: da soli, nella promiscuità, dando fastidio al vicino di letto, con la luce accesa e nel rumore, senza discrezione e, talvolta, senza dignità.
L'intervento medico più che alla guarigione porta spesso alla cronicizzazione della malattia, che garantisce comunque una qualità della vita degna di essere vissuta (come nel caso delle persone sieropositive).
L'operatore sanitario si trova poi a dover cambiare atteggiamento quando ha di fronte ad un malato terminale: l'azione non sarà più incentrata sulla malattia ma sul malato e ciò fa entrare in gioco molte qualità umane, stimolate dalla sensibilità di ognuno.
Anche in questi casi vi sono regole ben precise alle quali attenersi: il paziente gode di diritti che debbono essere rispettati da chiunque lo assista e uno dei problemi che sorgono consiste nel determinare il limite fra cura appropriata ed accanimento terapeutico. Quest'ultimo consiste nella pratica intensiva di terapie ed interventi aventi come fine la mera sopravvivenza di un malato senza alcuna possibilità di guarigione o miglioramento. Negli ultimi trent'anni si è sviluppato un dibattito a riguardo da cui è emerso un notevole consenso nel rifiutare l'accanimento terapeutico, certamente non inteso come abbandono del malato ma come il risultato di una presa di coscienza della ineluttabilità della morte.
Fra gli interventi a cui si ricorre maggiormente vi sono le cure palliative volte a migliorare la qualità della vita dell'ammalato e sviluppate soprattutto in campo oncologico. Oggi sappiamo, rispetto a quarant'anni fa, che è possibile alleviare la sofferenza attraverso la 'terapia del dolore' o attraverso l'assistenza psicologica di figure professionali che aiutino concretamente la persona in difficoltà.
La medesima tematica affrontata in termini medici dal Professor Mannarino è stata ripresa, sulla base di competenze filosofiche dal Prorettore e Docente di Filosofia Teoretica, Antonio Pieretti.
Oggi viviamo in una società in cui si rifugge dal concetto di morte, considerando quasi uno scandalo parlarne. Negli ultimi decenni i filosofi hanno riconsiderato il termine 'esistenza', attribuendo grande importanza al 'sentimento corporeo', ovvero alla percezione del corpo come 'costitutivo' della nostra condizione esistenziale. Prendendo coscienza di questo aspetto si può arrivare molto lontano: non ci si limiterà più a prendersi cura del corpo perché è bello e ci dà prestigio sociale o perché è malato, ma lo si farà sempre e comunque, in quanto “io sono costitutivamente corpo”, cosa che mi permette di essere all'interno di una collettività e che determina una dimensione sociale. Pertanto dovrò occuparmi di esso non solo in termini di 'sentimento corporeo' ma anche nelle sue implicazioni nei rapporti con gli altri. Tutto questo comporta un'assunzione di responsabilità nei confronti del corpo e un rapporto di reciproco rispetto fra gli individui che costituiscono la società.
Pensare, pertanto, di rifuggire dalla morte è paradossale perché sin dal momento in cui nasciamo è prefissato il termine in cui la vita cesserà e se ci facciamo carico del corpo, che ci appartiene, inevitabilmente dovremo farcelo anche del morire. Dobbiamo esigere e reclamare di essere noi ad andare incontro alla morte! Ciò su cui lavorare è, dunque, l'accettazione dell'esito finale, la costante preparazione a morire, non intesa come rinuncia ma come presa di coscienza di un lento declino: solo questo processo può condurre all'attribuzione di dignità ai valori della vita e della morte.
A conclusione della sua relazione il Professor Pieretti ha argomentato attorno ad una tematica definita da lui stesso come 'la più tragica', mettendo in discussione il diritto dei medici a sancire i termini di vita di un paziente. Nessuno ha il diritto di esprimersi in merito, poiché ciascuno di noi è diverso dall'altro e possiede una sua peculiarità. La Medicina deve limitarsi a recuperare la centralità del malato, con la sua specificità biologica, psicologica, emotiva e con il suo diritto di decidere autonomamente la propria sorte.
Il terzo e ultimo intervento ha visto la partecipazione alla tavola rotonda del Procuratore della Repubblica di Terni, Dr. Cardella, quale 'esponente' di Diritto. “Le questioni che attengono alla Bioetica accendono il dibattito perché toccano le corde della coscienza” ha affermato il Procuratore; l'atteggiamento mentale del giurista deve essere neutrale, poiché egli deve limitarsi a constatare se i fatti trattati siano o meno compatibili con la Costituzione e con le altre norme giuridiche che disciplinano la materia e in modo particolare il momento di 'fine vita'. Nel nostro Paese il quadro giuridico è piuttosto complesso e articolato, a tratti anche un po' contraddittorio e spesso si discosta da quello dei Paesi stranieri: l'esempio più recente ci arriva dal caso di eutanasia che ha visto protagonista Lucio Magri, un uomo che per morire ha deciso di recarsi in Svizzera, consapevole che le leggi italiane non consentono ancora tale pratica.
In questo pomeriggio di venerdì 16 marzo, all'interno dell'Aula Magna della Facoltà di Medicina si è respirato un clima di autentica armonia e il calore sprigionato dall''abbraccio' fra le varie discipline ha alimentato nei presenti la speranza che possa propagarsi anche altrove, abbattendo il muro di indifferenza e sensibilizzando le coscienze di ognuno sulle tematiche affrontate.
Al termine delle numerose considerazioni riportate dai relatori in occasione di questo terzo incontro abbiano raggiunto Mario Fonsi, rappresentante della Facoltà di Farmacia per cercare di capire cosa lo abbia spinto ad organizzare questo ciclo di seminari sulla Bioetica e se sia stato ottenuto il risultato sperato.
“ L' idea di organizzare questo ciclo di incontri nasce dal confronto con due donne, Sonia Lombardi e Valeria Madeo che io e Francesco Sapia consideriamo ' nostre muse ispiratrici'.
Nel corso di vari dibattiti ci siamo resi conto che vi è una mancanza di sensibilizzazione ad alcune tematiche riguardanti la Bioetica.... Noi giovani ci troviamo spesso nella condizione di non poter dire se è giusto o sbagliato, perché si ignora l'oggetto della discussione e ci si limita ad una conoscenza superficiale. Quindi il nostro percorso è iniziato per sensibilizzare le coscienze di noi giovani di fronte a tematiche importanti...
Siamo molto soddisfatti del risultato ottenuto perché è inusuale che eventi del genere siano organizzati da giovani. Questo ci ha permesso di avere un buon riscontro da parte degli studenti; i relatori sono stati capaci di comunicare e gli uditori hanno risposto piuttosto bene.”
Si ringraziano per la preziosa collaborazione il movimento di Rinascita Universitaria e l'Azienda Agricola Fonsi.
Maria Vera Valastro