(ASI) Dal 1° aprile 2024 si tornerà ad operare per tutti i lavoratori dipendenti, sia del settore pubblico che privato, con la normativa di cui alla legge 81 del 2017 che disciplina in maniera più stringente, diritti e doveri la materia dello Smart Working.
In primo luogo si deve evidenziare che il lavoro agile non sarà più un vero e proprio diritto del lavoratore ma una modalità di esecuzione della prestazione di cui il dipendente potrà usufruire compatibilmente con le esigenze aziendali e, dunque, di comune accordo con il datore di lavoro.
Lavorare in Smart Working da remoto da un altro Paese è possibile solo se compatibile con la mansione svolta. Ci sono precise regole sui regimi fiscali da applicare in questi casi. l‘Agenzia delle Entrate, ha chiarito le regole e novità. Si riferisce a coloro che lavorano per un’azienda italiana ma si trovano in un altro Paese, diverso dall’Italia.
Si tratta di lavoratori che, non essendo obbligati a presentarsi presso la sede operativa e fisica dell’azienda tutti i giorni, decidono di vivere o trasferirsi in una nazione estera.
Ma chi può lavorare in Smart Working dall’estero?
- gli autonomi;
- freelance;
- titolari di Partita Iva quando possibile;
- i lavoratori dipendenti del settore privato, appartenenti a qualunque categoria, sia impiegati part time che full time, a tempo determinato o indeterminato, previo accordo con il datore di lavoro.
La recente proroga dello Smart Working, che ha avuto termine il 31 marzo 2024, ha portato significative modifiche sia nel settore pubblico che in quello privato. Nel settore pubblico, ad esempio, i dipendenti hanno ora la possibilità di richiedere lo Smart Working in situazioni di gravi problemi di salute o familiari, ma la decisione finale spetta ai dirigenti responsabili.
Chi può continuare a lavorare in Smart Working?
La decisione di lavorare da remoto dipende dal tipo di mansione svolta, che deve essere compatibile con tale modalità lavorativa.
Mentre però i liberi professionisti e/o coloro che collaborano con Partita Iva non sono obbligati a dare comunicazione sui loro spostamenti (ai committenti, ai clienti etc.), ma possono organizzarsi come meglio credono e secondo le proprie esigenze, dal 1° aprile 2024 l’accesso allo Smart Working per tutti i dipendenti nel settore privato, sia che si trovino all’estero o in Italia, è invece possibile solo se regolato con preventivi accordi individuali.
Si tratta di accordi tra il lavoratore (che lavora dall’estero in Smart Working) e il datore di lavoro.
Gli accordi individuali devono essere redatti secondo le linee guida previste dal Protocollo nazionale del lavoro agile per il settore privato. Il testo esprime linee di indirizzo, affidando alla contrattazione collettiva quanto necessario all’attuazione nei diversi e specifici contesti produttivi.
In generale, però, questi accordi devono includere:
- informazioni dettagliate sul tipo di impiego;
- la periodicità, le regole della durata dell’accordo (tempo determinato o indeterminato)
- le regole riguardanti l’eventuale presenza in ufficio rispetto al lavoro da remoto;
- potrebbero anche stabilire restrizioni su dove il lavoro può essere svolto, per motivi di sicurezza dei dati;
- le regole del diritto alla disconnessione; specifiche dell’azienda, chiamata a fornire strumenti chiari per il lavoro da remoto;
- le regole per proteggere i dati del lavoratore e dell’azienda;
- l’organizzazione della giornata lavorativa;
- informazioni sui diritti sindacali e la formazione.
Per quanto riguarda le modalità del ricorso allo Smart Working per ciascun lavoratore, resta confermato che le comunicazioni devono essere inviate mediante l’ordinaria procedura con l’applicativo sul portale Servizi Lavoro, accessibile tramite autenticazione SPID e CIE, entro i 5 giorni successivi dall’inizio della prestazione, o dall’ultimo giorno comunicato per le comunicazioni di proroga, indicando i nominativi dei lavoratori e la data di inizio e di cessazione delle prestazioni di lavoro in modalità agile.
Le aziende che non stipulano questi accordi entro il 1° aprile 2024 saranno soggette a multe. Il datore di lavoro non in regola è punito con una sanzione amministrativa pecuniaria da 100 a 500 euro per ogni lavoratore interessato.
Ma quando è vietato lo Smart Working dall’estero?
Lo Smart Working dall’estero è vietato per i dipendenti delle Pubbliche Amministrazioni italiane. Ad ogni modo, per i dipendenti pubblici è in vigore la nuova direttiva che rimanda alle singole amministrazioni la possibilità di concedere il lavoro agile in caso di situazioni di salute, personali e familiari gravi e urgenti.
TASSAZIONE SMART WORKING ALL’ESTERO
Le regole della tassazione dello smart working all’estero sono contenute nelle cosiddette “Convenzioni contro la doppia imposizione”, che si ispirano al Modello Convenzionale OCSE sulla residenza fiscale e hanno come scopo quello di evitare la doppia tassazione e di prevenire i casi di frode.
In linea generale, il lavoratore paga le tasse nel Paese in cui risiede. Tuttavia, potrebbero esserci dei casi particolari, soprattutto per chi lavora da remoto.
Facciamo un esempio per capire meglio e immaginiamo un lavoratore italiano che svolge attività di Smart Working per un’azienda italiana, ma decide di trasferirsi temporaneamente in Spagna per un periodo di 12 mesi.
In questa situazione, potrebbe essere soggetto alla tassazione sia in Italia che in Spagna perché il reddito è corrisposto da un’azienda italiana che lo ha assunto in Italia, ma la sua residenza, anche se temporanea, è in un Paese estero. Ricordiamo infatti che se si trascorrono più di 183 giorni in Spagna in un anno solare, si è automaticamente considerati residenti fiscali.
Quindi cosa si fa? Ebbene, per evitare la doppia imposizione, l’Italia e la Spagna hanno stipulato una Convenzione contro la doppia imposizione. Per cui bisognerà fare quanto stabilito da questo accordo. Questo non vale solo per la Spagna ma vale per molti altri Paesi all’estero.
L’Italia infatti ha stipulato con numerosi Paesi esteri, comunitari e non, Convenzioni bilaterali che stabiliscono come deve essere ripartito il potere impositivo fra i due Stati contraenti, regolamentando il trattamento fiscale delle singole categorie di reddito.
Tali Accordi prevedono, a seconda delle tipologie interessate, la possibilità che entrambi gli Stati prelevino un’imposta sullo stesso reddito (tassazione concorrente) oppure talvolta la tassazione esclusiva da parte di uno Stato.
A tal proposito, vediamo cosa si intende “fiscalmente” per residenza.
RESIDENZA FISCALE E SMART WORKING
Con la Circolare n. 25 del 18 agosto 2023, l’Agenzia delle Entrate ha ribadito che, come disposto dall’articolo 2 del TUIR, sono considerati residenti in Italia i lavoratori che per la maggior parte del periodo di imposta (183 giorni all’anno) si trovano alternativamente in una delle seguenti situazioni:
- sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente;
- hanno nel territorio dello Stato italiano il proprio domicilio;
- hanno nel territorio dello Stato italiano la propria residenza.
Nel caso del lavoro agile dall’estero, i criteri citati della residenza fiscale per chi è in Smart Working restano gli stessi.
CONTROLLI SMART WORKING DALL’ESTERO
L’Agenzia delle Entrate, con la Circolare n. 25 del 18 agosto 2023 ha introdotto nuovi dispositivi di contrasto del fenomeno illecito mediante forme di controllo e analisi di rischio più avanzate nei confronti dei soggetti che risultano iscritti presso l’Anagrafe Italiana Residenti all’Estero (AIRE).
Il punto è evitare che i lavoratori in Smart Working, potendosi spostare ovunque, facciano risultare la loro residenza in un Paese con tassazione fiscale molto più agevolata, continuando però a vivere in Italia.
Al riguardo, l’accertamento dei presupposti per stabilire la residenza, oltre alla formale iscrizione all’AIRE, presuppone un riscontro fattuale da eseguirsi caso per caso, al fine di una concreta ponderazione degli elementi che consentono di verificare il luogo di domicilio o di residenza come definiti in base alla normativa civilistica.
Maddalena Auriemma - Agenzia Stampa Italia