(ASI) Gran Sasso d'Italia - Le forti nevicate che nei giorni scorsi hanno interessato i rilievi dell’Appennino Centrale, hanno fatto le loro vittime sul Gran Sasso; si tratta degli alpinisti Cristian Gualdi e Luca Perazzini di Santarcangelo di Romagna, i cui corpi sono stati ritrovati senza vita la mattina del 27 gennaio 2024, allorché la tempesta di neve si era fermata e i soccorsi sono finalmente potuti avvenire, dopo che erano stati sospesi i tentativi di raggiungere in quota i due alpinisti per le impervie condizioni atmosferiche che non hanno dato scampo ai due uomini deceduti per ipotermia e assideramento.
I due alpinisti romagnoli non erano certo degli sprovveduti, avendo già scalato sulle Alpi il Monte Bianco e il Monte Rosa. Ma questa volta non ce l’hanno fatta, il Gran Sasso, il Gigante Buono, quello che per gli antichi Greci e Romani era il Dio Hermes messaggero degli Dei, Giove per gli Italici, ha purtroppo ancora una volta voluto il suo tributo di sangue nei giorni del Sol Invictus vicini al Solstizio d’Inverno.
Chi sale sulla vetta di una montagna non può prescindere dal conoscere le condizioni metereologiche e dal saper leggere i mutamenti climatici. Un ufficiale in congedo mi ha detto di scrivere che si poteva tentare una ultima carta con dei paracadutisti soccorritori dell'esercito, ma chissà cosa sarebbe successo e come sarebbero andate le cose. La verità è che queste tragedie avvengono anche perché, molti alpinisti, purtroppo, soprattutto provenienti dal Nord Italia, dopo aver scalato vette alpine, sottovalutano le montagna abruzzesi, senza considerare che il Monte Corno del Gran Sasso, e il Monte Amaro della Maiella, sono pressoché alti 3000 metri, praticamente uguali o più alti di molte vette delle Dolomiti; inoltre, non vengono considerati la vastità dei massici dell’Appennino Centrale che rende difficile i ritrovamenti e facile la conservazione di tracce di riti e culti ancestrali che ne fanno la culla della civiltà Italica e montagne mistiche sacre agli Dèi. La storia di Cristian e Luca sembra molto simile a quella del rigido inverno 1928 - 1929 quando persero la vita due alpinisti, Paolo Emilio Cichetti e Mario Cambi (a cui sono dedicati due torrioni del Gran Sasso e due statue nei luoghi dove vennero ritrovati i corpi rispettivamente il 12 Febbraio Cicchetti a 3 km da Pietracamela e il 25 aprile Cambi circa 2 km sopra).
Nessuno saprà come sono andate esattamente le cose e come sono state le ultime drammatiche ore di vita dei due alpinisti romagnoli, ma dal diario di Cambi e Cicchetti lasciato nel vecchio Rifugio Garibaldi sul Gran Sasson, si può con un po' di immaginazione cercare di comprendere quali pericoli si trovano ad affrontare gli alpinisti che sfidano in inverno il Piccolo Grande Corno. Tra l'altro, sulla tragedia di Mario Cambi e Paolo Emilio Cicchetti ho intervistato nel 2018 Pasquale Iannetti, guida alpina e Istruttore Nazionale di Alpinismo del CAI che ha scritto il libro "Febbraio 1929. L"Ultima Ascensione di Mario Cambi e Paolo Emilio Cicchetti"che racconta la vicenda umana e sportiva dei due giovani alpinisti romani.
Ma, leggiamo con passioni i commoventi passi del diario di Cambi e Paolo Emilio Cicchetti che all'epoca del decesso avevano solo 24 anni:
- 9 febbraio 1929:
Siamo senza orologio. Partiamo a giorno alto diretti al Corno Piccolo, giungiamo dopo circa due ore, attraverso varie difficoltà per le orribili condizioni della neve valangosa.
Attacchiamo immediatamente la cresta SE (Chiaraviglio-Berthelet). Al tramonto giungiamo al cengione sotto la “Mitria”. Siamo costretti a tornare a causa della notte prossima e delle mani gelate. Il freddo è stato di una intensità straordinaria. L’esser costretti ad andar senza guanti fa gelare le mani immediatamente, le cui dita diventano in pochi secondi di un color giallo.
La perdita di un sacco aggrava le nostre condizioni. La via da noi seguita, che di estate è una interessante arrampicata, senza mai gravi difficoltà, è in questa stagione straordinariamente difficile e pericolosissima, date le condizioni della neve. Il freddo era tale che le mani si appiccicavano alla roccia e al ferro della picozza, a causa della loro umidità che gelava immediatamente al contatto. Anche la saliva gelava subito al contatto della roccia. Abbiamo percorso circa la metà della cresta e nella sua parte più difficile. Se non fosse stato il pensiero che una notte passata all’aperto con questa temperatura sarebbe stata quasi certamente impossibile a superarsi, saremmo giunti in vetta. Ritorniamo al Rifugio, dopo aver recuperato il sacco, per il Passo del Cannone e la Conca degli Invalidi. Il percorso viene compiuto di notte. Togliendoci le scarpe, troviamo i nostri piedi in una fodera di ghiaccio e ci accorgiamo di averne ciascuno di noi uno congelato. Lo massaggiamo immediatamente con neve e poi con alcool. Si gonfiano prendendo aspetto di cotechini e sono perfettamente insensibili.
- 10 febbraio 1929:
Stiamo smaltendo il congelamento. I piedi accennano a sgonfiare. Anche una mano di Mario è nelle medesime condizioni.
- 11 febbraio 1929:
ldem come il giorno precedente. Fuori nevica.
- 12 febbraio 1929:
Ci svegliamo la mattina completamente sepolti. La neve caduta durante la notte ha otturato il pertugio che ci serviva di ingresso. La mancanza della pala ci mette in serie difficoltà. Siamo costretti a gettare la neve dentro al rifugio per chiudere la porta. Siamo veramente dispiacenti di questo, ma non possiamo fare altrimenti. Coloro che verranno dopo di noi ci vorranno scusare. Terminate le provviste, ci rechiamo, o meglio, speriamo di giungere a Pietracamela. I piedi nelle medesime condizioni. Tempo pessimo.
Da allora sono passati quasi cento anni, cambiano gli attori, ma il risultato drammatico è sempre lo stesso, ieri come oggi, corsi e ricorsi storici.
Cristiano Vignali - Agenzia Stampa Italia
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