E' lecito pensare che la rappresentazione fiorentina di Magazzino 18 abbia riscosso un successo duplice: in termini di pubblico (la platea era piena) e in termini di reazione degli spettatori che, indignati, hanno isolato a fischi e risate una manciata di contestatori.
I bella ciao sbraitati dal megafono, gli “onore al Maresciallo Tito”, il mito di una resistenza intoccabile e indiscutibile sono state armi a doppio taglio che hanno finito per ferire e isolare le vestali dell'antifascismo militante, riducendole a macchiette da commedia sexy più che da spettacolo teatrale.
La gente pare iniziare a capire, a studiare, a conoscere e ad essere stufa di ciò che non è dato sapere per mera presa di posizione di pochi facinorosi, il cui fanatismo è alimentato da una classe intellettuale ormai incapace di trovare nuovi escamotage per occultare la verità storica.
Le recenti dichiarazioni di Achille Occhetto sulle foibe, a seguito di una prima di Magazzino 18; la solidarietà dell'assessore regionale Cristina Scaletti a Simone Cristicchi; le parole di Deborah Serracchiani in occasione della commemorazione di Porzus delineano quanto il solco tra intelligenza e stupidità, tra voglia di una memoria condivisa e attaccamento feroce a verità preconfezionate si sia allargato.
Sì, a Firenze gli esuli giuliano dalmati hanno ottenuto una vittoria schiacciante su un nemico subdolo ma poco lungimirante: le bugie sono come la polvere sotto al tappeto, a forza di accumularsi viene poi fuori. E le ultime, polverose vestigia del mito della resistenza comunista e del titoismo jugoslavo sono crollate tra i fischi e i “fuori dai c...” .
Marco Petrelli - Agenzia Stampa Italia