(ASI) «Nella Curia hai persone sante, veramente, persone sante. Però c’è anche una corrente di corruzione, c’è anche questa, è vero. Si parla di lobby gay, è vero, c’è qui. Dobbiamo vedere quello che possiamo fare». Se queste parole con riferimento alla “lobby gay” fossero state pronunciate da Benedetto XVI, si hanno buone ragioni per credere che l’atteggiamento della stampa sarebbe stato tutt’altro che indulgente. Media di matrice progressista avrebbero riproposto l’inflazionato schema contro colui che “Il Manifesto” definì, in modo denigratorio, il “pastore tedesco”. Una volta di più, il Papa emerito avrebbe dovuto subire la solita accusa di rappresentare l’espressione più bieca dell’integralismo cattolico. Obsoleta e oscurantista.
Invece, stando a quanto riferito da alcuni rappresentanti della Chiesa latino-americana e non confermato dalla Sala Stampa vaticana, queste affermazioni andrebbero attribuite a papa Francesco. E quest’ultimo, in seno a un certo mondo dell’informazione, gode di un’aura di fiducia tale da renderlo meno esposto ad attacchi mediatici. Quella notizia, infatti, ha sì suscitato ampio interesse, ma non è stata foriera di polemiche nei confronti del pontefice argentino.
Sorge allora una domanda. Da che deriva questa difformità d’atteggiamento da parte degli organi di stampa nei confronti degli ultimi due papi? La recente pubblicazione dell’enciclica a quattro mani “Lumen Fidei” testimonia, in modo documentato, la continuità tra Francesco e il suo predecessore. Resta tuttavia una diffusa convinzione che Bergoglio possa costituire una clava riformista da applicare non solo nei confronti di alcuni settori della struttura ecclesiale, bensì anche verso talune questioni di sostanza che concernono la fede. Atteggiamento che lo porrebbe in contrasto con la linea conservatrice di Benedetto XVI. Una convinzione, questa, determinata da luoghi comuni e apparenze superficiali, ma oramai cristallizzatasi nell’immaginario di molti alfieri del riformismo della Chiesa.
Alfieri che trovano eco alle loro aspirazioni, appunto, nei media progressisti, ma che rispondono a finalità tipiche di un’ideologia massonica. Il punto nodale è proprio questo: il rapporto complicato tra Chiesa e massoneria passa inevitabilmente per la dichiarazione “Quaesitum est”, redatta nel 1983 dall’allora cardinale Joseph Ratzinger. Nell’intento di fugare ogni dubbio circa l’antinomia tra le due istituzioni, il documento recita: «Prescindendo dalla considerazione dell’atteggiamento pratico delle diverse logge, di ostilità o meno nei confronti della Chiesa, rimane immutato il giudizio negativo della chiesa nei riguardi delle associazioni massoniche, poiché i loro princìpi sono stati sempre considerati inconciliabili con la dottrina della chiesa, e perciò l’iscrizione a esse rimane proibita». Per questo motivo gli «appartenenti alle associazioni massoniche sono in peccato grave» e la Santa Sede proibisce loro «di accedere alla Comunione».
Questo documento dell’allora Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede suonò alle orecchie dei massoni come un attacco viepiù grave, giacché un mese prima, nel codice di diritto canonico promulgato da Giovanni Paolo II, era assente l’esplicita condanna nei confronti della massoneria. L’intervento del cardinal Ratzinger, approvato dal papa polacco, apparve come una precisazione atta a stroncare ogni illusione massonica. “Quaesitum est” fu il 600esimo documento della Chiesa contro la massoneria, e servì a ribadire una posizione oggi nota in un momento storico in cui tali certezze rischiavano di vacillare.
La massoneria non ha mai perdonato a Joseph Ratzinger la promulgazione di quel manoscritto. I cui contenuti vennero da lui stesso ribaditi nel 1985, con un altro documento inerente i rapporti tra Chiesa e libera muratoria, intitolato “Inconciliabilità tra fede cristiana e massoneria. Riflessioni a un anno dalla Dichiarazione della Congregazione per la Dottrina della Fede”. All’interno vi si legge l’accusa di «relativismo» nei confronti della massoneria. Un’accusa pesante, data l’importanza che Ratzinger, anche una volta divenuto pontefice, ha rivolto al tema del relativismo - che nel 2005, da cardinale, non esitò a definire una «dittatura». Relativismo il quale rappresenta una «minaccia per l’uomo e per il creato», come ha scritto nell’enciclica “Spe Salvi” del 2007.
È dunque da ricercare in questa chiusura netta da parte di Benedetto XVI alle istanze massoniche di maggiormente infiltrare la “barca di Pietro” l’idiosincrasia della stampa progressista nei suoi confronti. Un approfondito riepilogo di questi fatti è documentato da Ferruccio Pinotti, autore di un’inchiesta imperdibile per chi ha voglia di informarsi sugli intrecci tra storia d’Italia e libera muratoria, “Fratelli d’Italia” (Bur, 2011) (1). Nella quinta parte del lavoro, “Chiesa e massoneria”, il giornalista - invero tradendo un’antipatia poco imparziale nei confronti di alcuni gruppi cattolici - analizza i loro «controversi rapporti» servendosi anche delle rivelazioni di don Luigi Villa, scomparso lo scorso novembre a 94 anni. Il battagliero sacerdote lombardo dedicò la sua vita a combattere la massoneria. Sia quella presente fuori che quella - presunta - dentro le “mura leonine”. La stessa che trovò in Benedetto XVI il suo più autorevole avversario.
Federico Cenci – Agenzia Stampa Italia
(1) Bur è una collana della casa editrice Rizzoli, storicamente implicata con la massoneria italiana. Ebbene, sulla quarta di copertina del libro, in basso, vi è l’immagine di una piccola freccia rivolta a “oriente” che all’interno arreca il proverbio inglese “No lodge, no business” (“Niente loggia, niente affari”).