Noi propendiamo nettamente per la prima ipotesi: ho già raccontato la follia istituzionale che mi ha obbligato a scomodare ben cinque organi dello stato solo per mettere tre tavolini fuori di un bar del centro storico (con quattro mesi di tempo perso). Verso la fine di tale racconto pavento esattamente fatti come quello avvenuto al Broletto mercoledì 6 marzo e scrivo che è più igienico girare il meno possibile per quei corridoi, molto meglio spedire per posta ordinaria i documenti.
La settimana scorsa sono stato all’inaugurazione di una mostra, ottimo buffet e vino rosso strepitoso dei dintorni di Terni: mi accosto al banco di cotanto vino e attacco bottone col signore che mesce, è il proprietario della cantina, parliamo amabilmente di molte cose e a proposito della burocrazia mi elenca dieci enti che coi loro uomini e mezzi praticamente tutti i giorni si affacciano alla sua azienda: -1, Servizio repressione frodi; -2 vigili urbani; -3 Asl ufficio di igiene; -4 Noe (servizio ecologico); -5 Nas (cosa diversa dalla repressione frodi); -6 Guardia di Finanza; -7 Valoritalia (è un’agenzia o dell’assessorato regionale o del ministero dell’agricoltura, non ricordo bene); -8 Parco Tecnologico (è un ente voluto dalla Regione preposto all’Igt); -9 Corpo Forestale; -10 Polizia Provinciale. Non mi ha detto se se ne vanno così oppure gradiscono qualche bottiglia. Sta il fatto che a volte sono più numerosi dei clienti.
Qualsiasi geometra ingegnere o architetto può raccontarvi come da circa quindici anni di continuo escono nuove regole sugli iter burocratici per ottenere le autorizzazioni edilizie, tutte hanno per titolo “Snellimento delle procedure”, ma le pagine dei moduli da compilare aumentano costantemente!
Il fabbro di cui spesso mi servo (facevano il fabbro suo padre e suo nonno) mi dice sconsolato che ora per fare una tettoia (ne avrà fatte mille) gli ci vuole una dichiarazione europea attestante che la sua è una attività di trasformazione (?), ovviamente non sa chevvvordì ma tanto –ha detto- tra poco chiudo e aiuto mia moglie (che ha un bar).
Il Corriere della Sera tempo fa ha pubblicato un articolo dove si racconta che per aprire un’attività di carrozziere in Italia (in Lombardia in quel caso specifico), servono 57 passaggi amministrativi.
Anche Report della Gabanelli tempo fa ha mostrato la differenza tra le procedure in Germania e in Italia (Bologna): lassù per una villetta l’architetto ha spedito per posta una copia del progetto al comune, che quindici giorni dopo gli ha spedito l’autorizzazione (costo complessivo: il francobollo); nel capoluogo emiliano per suddividere un appartamento in due, il proprietario col suo geometra ha dovuto scodinzolare per gli uffici per dieci mesi e ha pagato 10.000 euro di tasse e oneri vari (oltre alla parcella del geometra, naturalmente).
Un attimo di attenzione sull’Europa per favore, la famosissima Europa. Io vado spesso all’estero, specie in Francia, gran patria del piacere di viaggiare: è pieno di trattorie e locande lungo quelle belle strade statali alberate e ombrose, io mi ci fermo con gran goduria ma noto che moltissime sono vecchie negli arredi e negli impianti, se fossero qui in Umbria le avrebbero fatte chiudere da un pezzo oppure sarebbero state obbligate a rinnovare tutti gli spazi interni, le cucine, i bagni, macchinari e attrezzature, eppure credo che anche in Francia valgono le stesse leggi europee… Chiedo a un amico bene informato funzionario in pensione della regione ramo commercio: hai ragione mi dice, in verità le leggi o direttive europee non sono stringenti come le applichiamo qui da noi, è che qui c’è un atteggiamento maniacale forse sadico, forse sono le lobby dei venditori di macchinari che spiano le normative europee e poi incalzano i politici e i relativi burocrati verso le interpretazioni più sanguinose. O forse sono i burocrati, che di suo hanno la famosa deformazione di sentirsi tanto più bravi quanto più rompono (quanto più impongono il loro abusivo potere, poggiante sulla ignoranza/latitanza dei politici). Sta il fatto che siamo sempre noi italiani i più autolesionisti di tutti.
Italiani mica tutti, se vai a Napoli o giù di lì i vigili d’ogni risma ci pensano due volte prima di azzardarsi (col suv dell’ente, il gel nei capelli e gli occhialoni neri) a importunare onesti cittadini lavoratori…
Facciamola corta: nella classifica mondiale delle libertà economiche l’Italia quest’anno mi pare sia all’86° posto, eppure siamo tra le prime potenze industriali, cinque milioni di partite iva, pensa tu che grandioso impulso al lavoro e alla civiltà se si potesse avere qui una burocrazia essenziale e asciutta come nel mondo civile.
Scrivo queste note perché vorrei nobilitare nel migliore dei modi il sacrificio di tre persone morte violentemente in una mattina di marzo. Vorrei evitare che la loro morte scivoli nella banalità/fatalità di un folle solitario, e nel conseguente silenzio, come se nulla fosse avvenuto.
Sarà anche vero che l’omicida non avesse in corso alcuna pratica con la regione, così come sicuramente le due povere donne saranno state sempre ottime e gentili nei confronti di ogni utente, ciò non toglie che -è inutile chiudere gli occhi- questi tre nostri concittadini sono morti dentro la burocrazia, nei luoghi della burocrazia, odierna padrona feroce della nostra società: perché infatti il matto non è andato a sparare alla stazione, o allo stadio, o al supermercato, o in chiesa, o per strada, o ai giardinetti? Del resto siamo cresciuti in una cultura dove ogni gesto irregolare/illegale/antagonista viene letto come reazione all’ingiustizia degli equilibri economico-sociali, e dunque non si capisce perchè questo episodio dovrebbe fare eccezione.
Insomma è mio civico desidero cogliere questa tragica occasione per invitare tutti a darci una mossa, a destare la nostra ragione, a ripartire dalla consapevolezza che abbiamo creato nei decenni, pur animati dalle migliori intenzioni, un sistema istituzionale folle e irrazionale, del tutto folle e perfino sadico, una follia istituzionale che a sua volta produce necessariamente follia individuale. Se i labirinti della burocrazia sono quelli anzi accennati capite bene che non ha senso neanche la famosa questione dei fannulloni, poiché è il meccanismo amministrativo che già in sé è il problema.
Accingiamoci quindi onestamente a ripassare le singole procedure amministrative vigenti in ogni aspetto della nostra vita quotidiana, ripassiamole con la ferma intenzione di attenerci all’essenziale (sicurezza, igiene, fisco, estetica) però eliminando tutto ciò che vi eccede e che è tanto: ne sortirà una profonda riduzione di norme, uffici, procedure, spese, perdite di tempo che è sempre denaro e salute.
Però non vi riusciremo senza esaminare credenze, istituzioni e parole che erroneamente diamo per scontate, naturali, eterne, indiscutibili, quando invece esse stesse sono coperchio di contraddizioni e ingiustizie rimosse, per l’appunto fabbrica invisibile di follia di massa. Eccone alcune.
La formazione professionale innanzitutto, settore che movimenta un mare di quattrini, circa quaranta milioni di euro ogni anno per una piccola regione! Vi ruota un mondo fatto di “aziende” come quelle dell’omicidia-suicida, che si candidano a organizzare corsi di formazione professionale sugli argomenti più disparati, basta guardare sui muri della città i manifesti dei vari bandi e ci accorgiamo di quanto la fantasia sia davvero al potere… Ma dall’assessorato bisogna ottenere l’abilitazione, i locali devono avere l’idoneità e poi una commissione deve stabilire se un corso di formazione (o l’altro) merita di esser finanziato… Io vi chiedo: ma che ne sa la regione di quanto e dove c’è bisogno di formazione professionale? Non bastano le imprese stesse a ben sapere dove manca personale specializzato? Perché non organizzano loro direttamente e coi loro mezzi? Quanto si risparmierebbe in spesa pubblica e tasse?
Poi udire che un imprenditore aspetta dalla regione il finanziamento di un progetto per 160.000 euro senza i quali è rovinato, a me fa stridore alle orecchie: ma che razza di imprenditoria abbiamo messo su? Da che mondo è mondo l’impresa è un’entità che la ricchezza la crea, non cerca o pretende quella prodotta da altri, anche se nascosta dietro i nomi altisonanti della burocrazia europea. Un imprenditore dovrebbe essere un protagonista non un questuante, e se un questuante lo chiamiamo imprenditore vuol dire che abbiamo stravolto la natura, rovesciato l’ordine del creato.
Poi stride molto nelle mie orecchie l’enfasi con cui viene ricordato che una delle due vittime “non era neanche fissa ma precaria”, ma che vuol dire? Che meritava meno di morire? Allora l’altra lo meritava un po’ di più? Precario è una parola molto fortunata ma che contiene un oceano di delirio: che l’unico lavoro buono è quello nello stato. Il che purtroppo si è riusciti a tradurre in realtà: a forza di regalare a rotta di collo il posto buono, ormai la gran massa di professionisti, commercianti, artigiani, imprenditori e loro dipendenti/collaboratori, sono diventati tutti precari, traballano, poiché estorti di troppo denaro, vessati di troppa burocrazia, e l’odio contro la pubblica amministrazione è proprio l’aver capito o almeno intuito che l’oceano di uffici, dipendenti, regole, norme, leggi, controlli e controllori, è solo un pretesto col quale la politica semina stipendi e compra il consenso elettorale.
Ma ha impoverito la nazione. Ha creato la suprema ingiustizia sociale di una società divisa in due grandi classi: chi mette denaro (nello stato) e chi lo prende; chi è costretto a guadagnarsi in pane nella competizione globale e chi -piove o c’è il sole- è garantito da uno stipendio dello stato.
Indugiamo un attimo sulla parola precario, guardiamoci negli occhi: ricorrere in tali uffici pubblici (la regione e tanti altri) a lavoranti aggiuntivi e temporanei chiamati precari, è già un insulto alla ragione e al lavoro vero di chi lavora nelle zone industriali, nelle aziende che devono affrontare tutti i santi giorni la concorrenza, negli studi professionali col controllo occhiuto del capo (ma indispensabile sennò a fine mese non c’è trippa per gatti).
Ci siamo abituati, è vero, a siffatto uso di “precari” di cui non c’è alcun vero bisogno, ma rimane un insulto al lavoro e alla ragione; ci siamo abituati perché la menzogna ormai s’è fatta Istituzione, ma quando la menzogna si fa Stato non può non derivarne un disagio psichico di massa, e infatti è pieno di psicofarmaci.
L’ente Provincia nel decennio passato ha raddoppiato il personale, da 690 a 1.290, e già prima non s’ammazzavano certo… Poi piangiamo che mancano i soldi di qui e di là!
Cos’è se non follia seminata in quantità industriale? Follia fattasi prima Stato e poi senso comune?
Luigi Arch. Fressoia
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