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India. Il rilascio di Bosusco e le ragioni dei tribali

 

(ASI) Nelle scorse ore tra i media italiani ha avuto un’ampia eco la notizia del rilascio di Paolo Bosusco, rapito in India da guerriglieri maoisti insieme a Claudio Colangelo il 14 marzo. Dopo settimane di tira e molla il governo di Nuova Delhi ha trovato un accordo con i guerriglieri sulla base delle condizioni imposte da questi ultimi, ovvero la scarcerazione di 27 membri del gruppo tra i quali Sushashree Panda, moglie del leader maoista. Il 54enne italiano, apparso sereno ma comprensibilmente provato da quest’esperienza, è stato consegnato a un mediatore nel villaggio di Mohona, Stato dell’Orissa. Le prime parole di Bosusco da uomo libero hanno destato un pizzico di stupore nell’opinione pubblica. “Queste persone - ha detto all'agenzia Ansa - sono considerate delle bestie, criminali sanguinari. Ma hanno sofferto ingiustizie incredibili. Non condivido le loro scelte perché le impongono con le armi, ma se riuscissero ad avere più giustizia avrebbero molto da dare alla società”. Prima che si faccia sbrigativamente ricorso alla “sindrome di Stoccolma” per interpretare, con rigidi metodi sociologici, l’atto di difesa dei suoi rapitori da parte di Bosusco, proviamo a capire le ragioni reali che lo hanno spinto a parlare di ingiustizie incredibili cui sarebbero sottoposti gli abitanti della regione dell’Orissa.

 

In questa parte nord-orientale del Paese la popolazione versa in condizioni di povertà estreme, sebbene l’Orissa, definita la “centrale elettrica dell’India”, racchiuda il 70% dei giacimenti di carbone dell’India, il 56% del ferro, il 60% della bauxite. Tuttavia, a dispetto della ricchezza del sottosuolo e dell’ingente numero di centrali elettriche presenti nella regione, neanche il 20 per cento della popolazione rurale beneficia di energia elettrica. La cruda realtà è che pochi industriali sfruttano le risorse e fanno affari d’oro con lo Stato, il quale lascia le tribù abbandonate all’indigenza. Ciò genera rabbia e insoddisfazione tra i contadini locali, che trovano nei gruppi guerriglieri maoisti gli unici sinceri alfieri delle loro rivendicazioni. Questi ribelli negli ultimi anni hanno colpito sovente obiettivi legati all’industria e alle miniere, formando addirittura una “Commissione per la difesa e la lotta contro la Posco” (multinazionale coreana che ha firmato un contratto da 12 miliardi di dollari per costruire un’acciaieria). L’avversione violenta nei confronti delle industrie si spiega anche con il devastante impatto ambientale di queste acciaierie, miniere di bauxite e centrali elettriche. Si stima che la nascita esponenziale di nuove industrie, dagli inizi degli anni ’90 ad oggi, abbia provocato danni enormi alla regione e ai suoi abitanti: l’integrità della fauna locale è messa a repentaglio, circa 300 specie diverse di piante (di cui 50 medicinali) rischiano di scomparire, circa 36 corsi d’acqua (fonti primarie d’approvvigionamento idrico di tutto il territorio, comprese le sue immense foreste) stanno subendo l’avvelenamento a causa degli scarichi industriali, quasi 7.000 ettari di terra sono stati già deforestati e molti altri si apprestano al medesimo destino, un imprecisato numero di famiglie ha perso o perderà a breve le proprie case, l’inquinamento dell’aria sta provocando seri danni alla salute di molti abitanti.

Dal canto suo il Governo indiano non sembra intenerirsi davanti a questo rovinoso quadro, tanto che sono già stati firmati accordi per la costruzione di diciassette nuove acciaierie e di quattro grosse raffinerie di alluminio. L’ambizione indiana a sedere su un posto d’onore nell’alveo delle potenze industriali emergenti è una corsa sfrenata che versa a discapito delle sue secolari tradizioni e del benessere delle fasce rurali della popolazione. L’apertura del suo mercato agli investimenti stranieri sta consentendo all’India di scalare tante posizioni nella classifica dell’economia globale, così da attutire quell’atavico complesso di inferiorità nei confronti degli occidentali (considerati, ostinatamente, dei ricchi colonialisti con i quali è un privilegio poter competere). I notevoli risultati economici rischiano però di venire inficiati da problematiche interne che si innescano a seguito di quest’atteggiamento cinico che calpesta l’ecosistema, i diritti degli ultimi e la loro identità. E’ così che i tribali ricorrono al sostegno di gruppi di guerriglia portatori di ideologie sanguinarie, una vera e propria spina nel fianco che sta di nuovo trasformando l’India in una polveriera. L’altra faccia del capitalismo traspare anche in quei Paesi emergenti i quali, illusi dalla chimera del mercato, finora hanno ricevuto soltanto sperticate lodi per i progressi economici conseguiti.

Federico Cenci-Agenzia Stampa Italia

 

 

 

 
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