ASI) Londra - È bastato un attentato fallito per far tornare la paura a un’intera città. Un “secchio bomba”, così viene detto in gergo un ordigno Ied, di quelli artigianali fatti di materiale esplosivo e incendiario.

La molotov è esplosa nella stazione di Parsons Green, district line della metropolitana di Londra, senza provocare vittime, ma 29 feriti lievi. Tanto è bastato per costringere il Primo Ministro Theresa May a rafforzare le misure di sicurezza dal livello “grave” a quello “critico”, in una metropoli che ha subito il quarto attentato degli ultimi sei mesi.

L’incubo non pare avere fine. L’ennesima caccia all’uomo ha portato un altro arresto, l’ultimo di una serie che non è capace di risolvere il problema alla radice, ora che molti foreign fighters stanno tornando dall’Iraq e dalla Siria. Al molo del porto di Dover è stato fermato un 18enne accusato di essere il responsabile dell’attacco. Voleva fuggire in Francia ed è probabile non fosse l’unico attentatore. Scotland Yard ha avviato una nuova serie di indagini per risalire alla cellula dei terroristi.

Il caso è più sentito nel momento in cui viene colpita un’anima di Londra come la Tube, la rete metropolitana nata nel 1863, con 382 stazioni e oltre un miliardo di accessi registrati l’anno. La district line è poi uno dei tratti più frequentati. Colpire la District significa immobilizzare il traffico di migliaia degli otto milioni di abitanti della City.

Cleo è una studentessa italiana e vive qui da quattro anni. Sta frequentando un dottorato in management. Abita a circa 400 metri dalla stazione di Parsons Green. Non ha dubbi che in ogni londinese prevalga la preoccupazione, uno stato di incertezza che porta a diffidare in ogni momento: «Si spera sempre che dopo ogni attentato il peggio sia passato, eppure i nuovi attentati ci fanno ogni volta ricredere. Parsons Green è in una zona residenziale e fa parte del quartiere più esteso di Fulham, un’area ideale. Per questo mi sono sempre sentita al sicuro, perfino a prendere la metro di sera. Sono certa che la sicurezza a Londra sia ben gestita, dai militari, alla polizia, dagli elicotteri ai controlli».

La stessa sicurezza però non è stata ancora in grado di prevenire gli attacchi, sempre più mimetizzati, sempre più banali dal punto di vista armamentario.

Eppure, nonostante sia sempre più elevato l’impiego di mezzi comuni, come scrive Alberto Negri sul Sole24Ore del 16 settembre, fabbricare una bomba incendiaria come quella di Parsons Green richiede la conoscenza di una tecnica afghana. I primi a produrle furono i talebani contro l’Armata Rossa sovietica, poi contro gli americani nella guerra del 2001. Simili ordigni vennero fabbricati anche dagli iracheni nel 2003. Cellule che sembrano sempre più disconnesse e infiltrate si rivelano invece avere dei tratti in comune.

Come nei casi di Westminster e del Borough Market, la rivendicazione dell’Isis è arrivata puntuale in serata. Con essa, l’invettiva del presidente Usa Donald Trump contro il sindaco di Londra Sadiq Kahn, sulle falle nel sistema di prevenzione degli attacchi a Londra, perché dietro ogni dolore si apre sempre uno spiraglio per le polemiche.

Il terrore però non cambia. Sicurezza o meno, è difficile monitorare 8 milioni di persone. I mezzi per quanto studiati sono accessibili e variano di mese in mese. «Ormai è normale avere l’impressione di trovarsi sempre sul luogo di un imminente crimine», ha raccontato Cleo. Tanto forse da far sì che le persone possano abituarsi anche a questo. Il generale statunitense Petraeus, che conosce bene il Medio Oriente, non ha dubbi: «Ci vorrà almeno un’altra generazione per sconfiggere il terrore islamico».

Lorenzo Nicolao – Agenzia Stampa Italia      

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