Le violenze di questi giorni. Proprio in questi giorni ventuno scuole nel distretto di Narathiwat sono state chiuse dopo l'uccisione di un insegnante. Tre giorni fa un soldato è rimasto gravemente ferito dopo che un uomo armato con un fucile M16 ha iniziato a sparare contro i soldati a bordo di un mezzo militare. La settimana passata un ordigno rudimentale è scoppiato sotto una jeep della sicurezza thailandese che stava scortando alcuni insegnanti e ha provocato due morti. E la lista potrebbe continuare, le pagine interne dei giornali locali riportano quotidianamente - anche se con piccoli trafiletti - notizie su feriti e morti nel Sud del Paese.
Le origini del conflitto. Il conflitto nella parte meridionale della Thailandia ha origini antiche. Un tempo le province di Narathiwat, Yala, Pattani, Songkhla e Satun, abitate dall'etnia Malay e di religione a maggioranza musulmana, formavano il sultanato di Pattani, poi annesso al Regno del Siam nel 1902. L'attività dei gruppi separatisti nella regione è attiva da decenni ma ha avuto un incremento nel 2004 dopo il «massacro di Tak Bai». Attualmente sono circa venti i gruppi separatisti attivi, i più conosciuti sono l'Organizzazione unita per la liberazione di Pattani e il Movimento per la rivoluzione nazionale.
La giornata del massacro. Il 25 ottobre del 2004 a Tak Bai, villaggio nella provincia di Narathiwat, la polizia iniziò a sparare per disperdere una manifestazione di circa tremila persone. Il bilancio fu tragico: sei manifestanti rimasero a terra colpiti da armi da fuoco e più di settanta persone persero la vita durante il trasporto verso il campo militare di Pattani. Secondo le ricostruzioni ufficiali molte persone morirono per soffocamento mentre venivano trasportate a Pattani, ma secondo alcune testimonianze, la polizia usò il pugno duro anche durante il tragitto.
Futuro incerto. Difficile prevedere il futuro. La Thailandia è un Paese quasi esclusivamente buddista e in tutti questi anni non ha mai cercato di capire l'etnia Malay e ha sempre negato il coinvolgimento del separatismo islamico, attribuendo le continue violenze a gruppi di criminalità comune; non considerando che il Sud musulmano ha una propria cultura, una propria tradizione e anche una propria lingua, lo Yawi, molto simile al malese. Secondo alcuni analisti locali l'intensificarsi degli scontri potrebbe, a lungo andare, destabilizzare l'intera Thailandia. Intanto la crescente violenza dell'ultimo periodo ha portato il governo thailandese ad attuare misure di sicurezza straordinarie che, fino ad ora, non hanno però fermato gli scontri e la richiesta di autonomia.
Fabio Polese inviato in Thailandia – Agenzia Stampa Italia