Per anni le grandi multinazionali hanno perpetuato dichiarazioni fuorvianti a difesa delle loro condotte colpevoli, con la complicità di una politica che sembra non poter esistere senza argent (tutto il mondo è paese), forti di un vero e proprio apparato di propaganda che gli ha permesso di fare e impudentemente negare di aver fatto. Il pioniere di questo rapporto strumentale tra comunicazione di massa e grandi interessi economici, venerato come un messia dai grandi potentati industriali, è stato Edward Bernays, “padre delle pubbliche relazioni” come si legge nel suo necrologio, nipote dello psicanalista Sigmund Freud. Morto centenario nel 1995, rimase presto affascinato dalle tecniche di propaganda messe in atto dagli Stati in guerra durante i due conflitti mondiali. Partendo dagli studi del celebre zio e dalle teorie sulla psicologia delle folle del francese Gustave LeBon, Bernays riuscì a dimostrare l’efficacia della manipolazione di massa anche in tempo di pace. Il suo impianto teorico si fondava sugli assunti del padre della psicanalisi secondo cui la società vive la costante minaccia degli istinti distruttori repressi nell’inconscio individuale. Terminata la fase bellica durante la quale l’essere sociale si era liberato di ogni freno inibitore per ricongiungersi con la sua vera natura, si presentò urgente l’esigenza di trovare un potente sedativo da somministrare al gregge smarrito e impaurito. Nacque così il moderno consumo di massa, insieme alle nuove tecnologie applicate alla produzione industriale.
Il risultato più compiuto del lavoro di Bernays fu il servizio reso all’industria del tabacco e la conseguente “democratizzazione” della sigaretta, da quel momento accessibile a tutti, senza distinzione di genere, età o condizione sociale e nessun riguardo per i rischi sulla salute pubblica. L’“American Tobacco “ come le altre concorrenti del settore, in sofferenza per le ripercussioni dei primi studi scientifici sulla dannosità del fumo per l’uomo, si rivolse a Bernays che attraverso una portentosa strategia di comunicazione, non solo riuscì a modificare radicalmente la percezione negativa che il pubblico aveva iniziato a sviluppare nei confronti della bionda, ma nell’immaginario collettivo questa divenne addirittura il simbolo della conquistata indipendenza dalle vecchie convenzioni sociali, aprendo così il mercato all’altra metà del cielo, le donne. Un’astuta mossa pubblicitaria mascherata da piccola rivoluzione culturale che gli valse il meritato ma non invidiabile primato.
Fu così che anche la potente lobby delle armi da fuoco imparò la lezione di cui si servì per legittimare il suo business fatto di pistole, fucili e granate che smisero le lugubri vesti per assumere magicamente le sembianze di emblemi di libertà.
E’ stato imbarazzante assistere al Presidente Obama tra le lacrime promettere che altre tragedie come queste non si ripeteranno, guardandosi però bene dal proporre l’unica soluzione possibile, la riforma del secondo emendamento della Costituzione che sancisce il libero possesso di armi. La propaganda si è messa subito al lavoro evocando il sacrosanto diritto alla difesa personale in un mondo ostile e minaccioso. Chi uccide è la mano che preme il grilletto, non la pistola; il problema non sono le armi ma chi le maneggia. Come nel caso del fumo, la colpa è di chi esercita “liberamente” il personale diritto di autodeterminarsi. Viva la libertà, viva l’America.
Fabrizio Torella – Agenzia Stampa Italia