(ASI) Siamo interpolati nella rabbia e nelle emozioni negative. Occorre una svolta sociale per migliorare la società e noi STESSI. Viviamo in un’epoca in cui la connessione è totale, ma la comunicazione è spezzata. I social network, nati come strumenti di condivisione e libertà, sono diventati il teatro della rabbia, della paura e della divisione.
Ci hanno promesso comunità, ma spesso ci hanno consegnato solitudine. Scorriamo schermi che riflettono solo le nostre ombre digitali, frammenti di un’identità costruita per piacere, non per essere. Ogni “like” è una micro-dose di approvazione, ogni commento negativo un colpo all’autostima. Il dibattito si è trasformato in scontro, l’opinione in odio, l’informazione in rumore. Siamo costantemente immersi in un flusso di emozioni tossiche, alimentate da algoritmi che premiano la polemica e la paura.
Il risultato? Una società più fragile, polarizzata e diffidente. I social hanno amplificato i nostri istinti più primitivi: la ricerca del consenso, la paura dell’esclusione, il bisogno di avere ragione. Hanno riscritto la grammatica delle relazioni umane, sostituendo l’empatia con l’indignazione, il dialogo con l’urlo.
Eppure, non tutto è perduto. La tecnologia è uno specchio: mostra ciò che siamo, ma può anche aiutarci a cambiare. Occorre una svolta sociale e culturale.
Serve un nuovo patto tra individuo e collettività, tra verità e responsabilità. Dobbiamo imparare a disconnetterci per riconnetterci, a usare i social senza esserne usati.
Ripartire da noi stessi significa riscoprire la lentezza, l’ascolto, la gentilezza. Significa recuperare il valore del confronto reale, dell’empatia autentica. Perché un mondo migliore non nascerà da un algoritmo, ma da un gesto umano.
*"Immagine generata con l'assistenza di Microsoft Copilot, intelligenza artificiale sviluppata da Microsoft."



