(ASI) Londra - E' il solito palcoscenico magico, il tempio del tennis, dove ogni partita è sempre seguita dai massimi vertici della politica e dello spettacolo British. Un evento imperdibile per gli appassionati di questo sport e conosciuto perfino dai non addetti ai lavori.
La finale maschile del torneo di Wimbledon vedeva questa volta fronteggiarsi lo scozzese Andy Murray e il giovane talento canadese Milos Raonic. I due sono andati in scena sul Centre Court per tre lunghi set sotto gli sguardi non solo della famiglia reale rappresentata dal Duca di Edimburgo Filippo, dal principe William e da Kate Middleton, ma anche di un attore come Benedict Cumberbatch o di un ex campione come Björn Borg.
Per completare il quadro delle autorità, anche la politica in primo piano con il Primo Ministro David Cameron, il sindaco di Londra Sadiq Kahn e la leader Scozzese Nicola Sturgeon, super tifosa del suo eroe Andy Murray.
E proprio da questo gli Scozzesi non sono stati delusi perché nonostante la grandissima volontà messa in campo da Raonic, Murray è riuscito a far pesare l'esperienza e la capacità di gestire questi match, vincendo così il suo terzo slam dopo gli US Open e il primo Wimbledon, pur facendo un passo indietro rispetto alla condizione psicofisica che era stata ammirata nel corso della primavera scorsa e della stagione sulla terra rossa.
Andy ha fatto il suo, ma senza meritare un voto oltre il 6 politico. Ha meritato la vittoria perché nettamente più forte, giocandosi i punti decisivi sul proprio turno di risposta e facendo vacillare l'apparente solidissimo servizio di un gigante come il giovane canadese, stranamente avido di ace.
Nel primo set lo Scozzese ha strappato il break che lo ha fatto condurre 6-4. Nei due successivi è stato solo il tie break sul 6-6 a fare la differenza.
Raonic, dopo aver battuto in semifinale un colosso come Roger Federer, appariva già parzialmente soddisfatto di se stesso, sebbene pronto a migliorare nei prossimi tornei.
Era la sua prima finale di slam, quella di Wimbledon 2016. Murray si è presentato invece per la prima volta come favorito e, non senza difficoltà, è riuscito a superare anche questo gap psicologico sotto gli occhi attenti di mamma Judy, della moglie Kim, da cui ha avuto un figlio febbraio scorso, e del suo attuale allenatore Ivan Lendl.
Il pubblico è stato anche questa volta tutto per Murray, colui che per primo, come tennista britannico, ha vinto il torneo di Wimbledon dopo 77 anni dai tempi del leggendario Fred Perry, un dettaglio che pesa notevolmente negli ambienti inglesi, perfino dopo la nuova spaccatura nazionale generata dalla Brexit.
Tra uno scossone psicologico e l'altro, sempre suscettibile alla passività, soprattutto nei punti decisivi, Andy Murray è invece riuscito lo stesso a portare il trofeo a casa, vogliasi per l'assenza di Rafael Nadal, l'eliminazione in semifinale di Federer o, decisamente, per la precoce uscita di scena del numero 1 del mondo Novak Djokovic.
A questo punto sembra forse aprirsi uno spiraglio per le nuove generazioni oltre i Fab Four Federer, Djokovic, Nadal e Murray, di cui l'ultimo rimane mentalmente ancora il più fragile.
Vedremo se almeno Raonic, come tennista classe 1990, saprà riconfermarsi a questi livelli, evitando miracolosamente la traiettoria delle colleghe che non riescono a scardinare il dominio delle sorelle Williams, soprattutto di Serena, vincenti anche nel torneo di doppio.
Per il momento è gioia britannica e, nello sport, forse per fortuna, le divergenze politiche non sembrano ancora trovare spazio.
Lorenzo Nicolao - Agenzia Stampa Italia