(ASI) Tutti i nodi vengono al pettine. Se dovessimo guardare all’eliminazione in Champions League della Juventus potremmo utilizzare due prospettive. La prima che si limita agli episodi in senso stretto: se la traversa al ’94 di Cuadrado fosse stato goal, se l’arbitro avesse concesso il rigore sull’uscita del portiere addosso a Cristiano Ronaldo o se sempre l’arbitro non avesse concesso il fallo di Rabiot che ha dato origine alla punizione che ha fatto scaturire il 2 a 2, in tal caso probabilmente parleremmo della prova di carattere della Juve e dell’impresa di Chiesa.
Se però volessimo vedere le cose da una prospettiva più ampia, allora vedremmo che questo è un fallimento che parte da lontano e che coinvolge tutti i soggetti della dirigenza. Lo spartiacque è paradossalmente l’estate del 2018 quella che portò all’acquisto di Cristiano Ronaldo. La Juve vinceva da anni lo scudetto (tre con Conte e quattro con Allegri) aveva raggiunto due finali di Champions perse con Barcellona e Real nel 2015 e nel 2017, nel 2016 era uscita con onore ai supplementari con il Bayern e nel 2018 tra le polemiche contro il Real Madrid dopo la remuntada da 0 a 3 a 3 a 0 chiusa con il rigore di Ronaldo in extremis che condannò i bianconeri. CR7 con la sua rovesciata allo Stadium aveva conquistato i tifosi e ne era a sua volta rimasto incantato e per la Juve era diventato un’ossessione. Ronaldo era pronto ad andarsene e Fabio Paratici e Andrea Agnelli decisero di fare la follia con 100 milioni e 31 milioni all’anno. Dall’altra parte c’era Giuseppe Marotta che non voleva assolutamente questa operazione andasse in porto anche per la sostenibilità finanziaria. Gli esperti si dividevano tra chi esaltava ciò, chi invece vedeva Delle criticità dato il peso economico e l’età del portoghese. A distanza di quasi tre anni il marketing e il merchandising ne hanno giovato, ma alla fine dei giochi il risultato a livello economico e sportivo è disastroso. In tre anni la Juve in Champions è stata eliminata ai quarti dall’Ajax, due agli ottavi da Lione e Porto, squadre di rango inferiore rispetto a Barcellona, Real e Bayern ha vinto due scudetti, due Super Coppe a cui forse potrebbe aggiungersi, Atalanta permettendo, una Coppa Italia. Un bottino molto magro. Se pensiamo che con il tanto contestato Higuain che era si costato 90 milioni, ma di ingaggio ne prendeva 8, la Juve vinse tre scudetti (uno con Cr7), due Coppe Italia, raggiungendo una finale di Champions. L’arrivo di Ronaldo ha sicuramente svalutato e sminuito il Pipita, creando anche problemi di compatibilità con Dybala senza contare che si è dovuto fare i conti con una squadra che via, via ha visto perdere pezzi pregiati e rimpiazzati con giocatori di poca qualità. Ricordiamo il centro campo della finale di Berlino con Pogba, Vidal, Pirlo e Marchisio, quello di Cardiff con Pjianic, Matuidi, Khedira e quello iniziale contro il Porto Ramsey, Rabiot, Arthur. E’ ben visibile che c’è un divario tecnico impressionante con un impoverimento generale. Non trascuriamo anche la difesa che ha visto la storica B-B-C invecchiarsi e ormai quasi da rottamare con il solo Bonucci che è sceso in campo, per giunta sostituito. In aggiunta ciò, anche a causa del Covid, la situazione economica è disastrosa.
Alle scelte tecniche che hanno in Fabio Paratici e Pavel Nedved i primi responsabili della rosa, si aggiunge la continua ricerca di bel gioco e risultati che ha portato risultati e scelte imbarazzanti. L’Ajax è costata la panchina ad Allegri, unico capace di riuscire a trovare la quadra con quello che aveva, il Lione a Maurizio Sarri e ora il Porto ad Andrea Pirlo? La scelta di Pirlo è poi ampiamente discutibile.
Il ciclo vincente della Juve dopo le macerie di Calciopoli e il riadattamento in Serie A ha avuto un artefice: Antonio Conte. Un uomo da Juve ma con una certa gavetta che aveva vinto due campionati di serie B e che aveva allenato anche in serie A. Conte con la sua grinta e tenacia aveva preso una squadra reduce da due settimi posti e l’aveva portata ad essere vincente in Italia. A Conte implacabile in campionato, mancarono le conferme in Champions, con l’eliminazione nel 2013 in Champions con il Bayern e la cocente beffa ai gironi con il Galatasaray nel 2014. Rimase alla storia la battuta che con 10 euro non si può mangiare al ristorante di lusso, che portò al divorzio e così la Juve si affidò al già vincente Allegri con già molta esperienza e uno scudetto con il Milan. Allegri in punta di piedi iniziò un quinquennio incredibile che solo le corazzate Barcellona e Real negarono il trionfo in Europa. E forse proprio Max pagò cara l’operazione Ronaldo, che in Champions in tre anni fece un’impresa solo agli ottavi del 2018 con l’Atletico Madrid, ma che fu vanificato dall’Ajax di De Ligt. Fino a qualche anno fa la serie A non poteva reggere certi ingaggi, la Juve ha sfondato quel tetto, in nome di una Champions che sta sgretolando anche le certezze in Italia. Non a caso gli ex Marotta e Conte con molta probabilità toglieranno lo scudetto dopo 9 anni ai bianconeri e hanno buttato il progetto di un nuovo progetto vincente in Italia, per quanto ancora acerbo in Europa visti i primi due anni.
Con il fallimento Juve c’è una bocciatura anche all’intero calcio italiano, eccezion fatta per l’Atalanta che comunque negli ultimi due anni è l’unica italiana ad aver raggiunto i quarti, con un monte ingaggi nettamente inferiore e con un gioco bello e avvincente. Forse proprio alla Dea dovrebbe guardare la vecchia signora, sapendo coniugare esperienza e giovani promettenti. Chiesa, Mc Kennie, Kulusevski sono punti di partenza che affiancati da Cuadrado, Alex Sandro, Danilo, Dybala e Morata possono essere la base di un nuovo progetto da affidare però a un allenatore che deve aiutare questi giovani con esperienza sul campo e con vittorie alle spalle e in tal caso il profilo di Pirlo non è quello giusto. Il “maestro” è da rimandare e forse avrebbe bisogno di farsi le ossa in piazze di provincia per attuare le sue idee che in certe partite possono convincere, ma che alla lunga pagano. Pirlo non è Guardiala e nemmeno Zidane e la Juve non è né quel Barcellona né quel Real, ammettere il contrario è solo presunzione. Pensiamo anche ai giovani scartati come Coman, Kean, Cancelo, Emre Can vittime di plusvalenze folli per sostenere il progetto CR7.
Sulla base di questa prospettiva capiamo e comprendiamo che il campionato stentato e l’uscita con il buon ma non eccelso Porto è solo la punta dell’iceberg, che dovrebbe portare i diretti interessati Agnelli, Nedved e Paratici a fare un mea culpa e ad avere l’umiltà di ammettere che il fallimento è andato in Porto. L’unico dato confortante della disfatta di Champions è Federico Chiesa, un giovane italiano di talento che ci ha messo tutto sé stesso, pagato sì 60 milioni, ma con un ingaggio che è ben poca cosa rispetto a Ronaldo o ai vari Rabiot, Ramsey. La Juve ha svilito pure il suo made in Italy, che per anni l’ha sorretta e tutto ciò per un ex pallone d’oro di 36 anni? Ronaldo è stato un campione unico, tutt’ora fa la differenza, ma deve avere una squadra competitiva e qualora non sia in giornata va sostituito come tutti con contestuale adeguamento del suo ingaggio. Ormai è il tempo di Haaland, Mbappé e Chiesa ecc., Messi e Cr7 hanno segnato un’epoca che è finita e il calcio di oggi non può più sostenere quei costi.
Daniele Corvi -Agenzia Stampa Italia