(ASI) La Juve è fuori gioco dallo scudetto. Il ciclo strascicato dei nove scudetti è finito da tre anni. Sarri allungò con un pò di fortuna la striscia, ma già da lì è iniziato il Festival degli errori della Juventus. Non era Sarri, né Pirlo, né tanto meno lo è ora Allegri il capro espiatorio, ma tutta la dirigenza.
La società bianconera, da quando è andato via Beppe Marotta, ha commesso una serie di errori madornali che hanno portato a bilanci in rosso e risultati sempre più preoccupanti. Quando si vince, e si è vinto tanto, inizia la strafottenza prima o poi i conti li paghi e quell’ossessione per la Champions ha fatto perdere la bussola a tutti già da tempo.
Si era pensato che Cr7 avrebbe portato la Coppa dalle grandi orecchie, ma in realtà è stata la rovina della squadra. La Rosa si è impoverita e il gioco di squadra pure. Negli ultimi tre anni il portoghese ha raccolto record personali, ma la Juve ha perso quell’identità e quella forza che Antonio Conte trasmise ormai dieci anni fa a una squadra apparentemente più debole di quella attuale, ma che aveva trovato grinta, fame ed era armonica.
Nella Juve nulla gira per il verso giusto e si era pensata che con l’usato sicura Allegri potesse bastare a risollevare le sorti. “Avevamo pensato di essere forti” ammette Allegri, e i tifosi avevano pensato che quell’anno con Pirlo fosse stato solo un errore, ma in realtà la situazione è ben peggiore.
Allegri è un abilissimo gestore, riuscì a prendere il progetto di Conte e lo ha gestito a regola d’arte per cinque anni. Tuttavia, quella Juve non esiste più e ora si è preso una squadra che a stento arrivò al quarto posto.
La difesa non può reggere sugli eterni Chiellini e Bonucci, eroi europei, ma non possono mantenere ad alto livello una stagione intera con Rugani promessa mai sbocciata e De Ligt ancora sopravvalutato; con un centrocampo davvero inesistente lontano ricordo del Pirlo-Vidal-Pogba o anche di Pjianic-Khedira-Matuidi, e l’attacco non graffia con Kean immaturo, Morata evanescente e con il solo Dybala a predicare nel deserto. Una squadra prigioniera di ingaggi faraonici e ingiustificabili come quelli di Ramsey e Rabiot, che ha fatto operazioni più per il bilancio che per il gioco vedi Arthur e Danilo, e che a una serie di giovani che faticano a sbocciare come Kulusevski e Bentancur. Solo i golden boy azzurri Chiesa e Locatelli sembrano avere qualcosa in più, ma spesso sono in posizioni non consone alle loro attitudini.
Tanta, davvero tanta confusione. Una squadra a pezzi e uno spirito da ritrovare. Vedere la Juve nel giorno del suo compleanno già sconfitta e che pensa alla prossima stagione, fa male e sembra assurdo, ma le colpe e gli errori sono davvero troppi. Il ritiro punitivo e psicologico sembra più che altro un tentativo di ragionare sulla disfatta imminente che una cura.
La squadra è modesta e il gioco inesistente, forse quei 15 punti sono troppo severi e il valore della rosa è maggiore, ma di certo non è una Juve di vertice, basti pensare che sia Ferrara che Del Neri partirono meglio. Si associa questa Juve a quella del 2015/16, ma la situazione era ben diversa. Quella Juve veniva dalla sconfitta di Berlino in Champions, attuò un cambio notevole di giocatori con Pirlo, Tevez, Vidal sostituiti da Khedira, Dybala e Mandzukic che però poteva contare su una difesa ancora forte e abbastanza giovane, un Pogba alle stelle e con un Allegri conscio del suo ruolo. Questa Juve non ha quei valori e solo un mercato importante potrebbe arginare la disfatta, ma le casse dopo l’uragano Cr7 sono molto magre.
Se il campionato piange, si sorride per una qualificazione in Champions, un obiettivo minimo e anche ironico considerando che la Juve ha perso il suo dominio in Italia per inseguire l’Europa che conta.
Daniele Corvi – Agenzia Stampa Italia