(ASI) Alzi la mano a chi in questi anni di presenza sui social non è capitato di ricevere richieste di amicizia anche da parte di sconosciuti con cui non si hanno contatti in comune e che magari vivono in qualche località esotica.
Non appena si accetta la richiesta la controparte, nel caso di un uomo una donna e viceversa, inizia ad inviare messaggi in un italiano stentato in cui vuole fare conoscenza e racconta la propria vita, spesso strappalacrime o quasi: una donna giovane, vedova o separata, che vive con la figlia piccola o la madre anziana.
Con il passare di giorni i messaggi si intensificano e le conversazioni si fanno sempre più intime tanto che poi la stessa chiede di passare dai social a WhatsApp, o chat simili. Subito dopo arriva la proposta di fare “sexting” o scambiarsi video privati. Dopo qualche giorno poi la figlia piccola, o la mamma anziana, si ammala e poco dopo arriva la richiesta di soldi per poterla curare. E qui inizia la sex extortion.
Nonostante si parli da tempo dai rischi di tale pratica, sfortunatamente sta mietendo vittime non solo tra i giovanissimi ma anche tra uomini e donne di tutte le età. È un fenomeno in crescita, da considerare e prevenire soprattutto nell’ottica della tutela dei minori.
Nel caso di rifiuto la donna, infatti, minaccia di diffondere su internet i video intimi del malcapitato inviandolo anche a parenti e amici. In caso di nuovo rifiuto entra in scena il complice, o i complici, della ragazza che iniziano ad inviare messaggi, stavolta in un italiano impeccabile, in cui intimano al malcapitato di pagare altrimenti anche loro provvederanno a diffondere questi video.
Per cercare di ottenere i soldi, che in caso di pagamento saranno poi chiesti nuovamente visto che non si ha garanzia che in caso di un primo acconto i video e le foto “compromettenti” saranno cancellate, i complici dicono di sapere tutto del malcapitato e di essere pronti a fare avere il tutto anche al datore di lavoro.
Ovviamente siamo in presenza di un reato ben definito dal codice penale (punito con la reclusione da cinque a dieci anni e con la multa da mille a 4mila euro), anche se il fatto che i messaggi arrivino da numeri stranieri, rendono più complicato risalire all’ideatore della truffa, anche se la vittima, spesso per vergogna e tutelare la propria reputazione e la propria vita privata, decide di tacere ed accettare il ricatto.
Il caso invece andrebbe subito denunciato magari facendo anche gli “screenshot” ai messaggi in cui si chiede esplicitamente denaro per non diffondere le foto rivolgendosi prontamente alla polizia postale.
Un modo per risalire all’identità di chi minaccia è quello di fingere di accontentarli e farsi dare gli estremi per il pagamento anche se sempre più spesso questo viene richiesto in bitcoin rendendo impossibile l’identificazione.
Fabrizio Di Ernesto - Agenmzia Stampa Italia