(ASI) Sono in fibrillazione tutte le voci più autorevoli del pensiero unico occidentale, a cominciare da politici, esperti di geopolitica, strategia militare, economisti e filosofi. Unanime o quasi è il giudizio di condanna senza appello verso i Talebani e di preoccupazione per la situazione attuale in Afghanistan.
Mille ragioni vengono invocate tranne quella che sembra abbia a che fare con il pragmatismo. La storia ci insegna che non si può oscurare la cultura religiosa e tradizionale di un popolo, semplicemente imponendo un governo con le armi. Quanto accaduto in Afghanistan dimostra che tutti questi maîtres a pensée hanno la memoria corta e dimenticano un precedente storico relativamente vicino nel tempo.
Lo Shah Reza Palhavi, detronizzato dalla Rivoluzione Islamica Khomenista nel 1979, governava con la collaborazione di tutti (statunitensi, europei, turchi, israeliani, italiani ecc. ), tranne che dei politici islamici e del clero sciita. L'epilogo di questo esperimento politico appartiene ormai alla storia, e ancora oggi quella frattura resta determinante nel quadro della politica internazionale.
Altro esempio della mancanza di realismo storico-politico da parte di Washington e dei suoi alleati è quello del Vietnam. Sebbene la questione non fosse di natura religiosa, bensì nazionalistica. Incapaci di trarre profitto dalla disfatta francese di pochi anni prima, gli Stati Uniti non compresero la determinazione del popolo vietnamita ed il grande consenso riscosso dai Viet Cong tra le masse popolari del Sud del Paese.
In generale appare evidente l'incapacità statunitense di prendere atto delle dinamiche del consenso popolare a livello nazionale. Altrimenti non si spiegherebbe perchè grandi città, distretti, villaggi ed interi reparti militari sono passati in blocco dalla parte degli 'insorti', senza opporre resistenza. Ciò è avvenuto anche nel Nord dell'Afghanistan, in passato ostile ai Talebani.
Evidentemente, per i leader occidentali, la storia non è maestra di vita.