(ASI) Roma -  La suprema Corte di Cassazione torna a sentenziare sulle rovinose cadute dei pedoni sui marciapiedi, che colpiscono, in particolare, le persone anziane, generalmente più compromesse nella stabilità della deambulazione e con una vista meno acuta di chi è nato un po’ dopo.

 

Scendendo nel particolare, scopriamo che si tratta di una signora di Milano che scivola su di una lastra di ghiaccio, di ampie dimensioni, collocata lungo un marciapiede urbano, in orario diurno e nei pressi della sua abitazione.

Nonostante la brutta caduta e i danni conseguenti, però, le Corti di merito adite le danno torto, perché ritengo provato, ad opera del Comune, il caso fortuito.

Come abbiamo più volte ribadito e analizzato, il caso fortuito è uno dei tanti armadi dei giuristi cui ricorrere quando si deve vestire un determinato fatto in determinate circostanze.

In effetti, la povera signora, giustamente, per ottenere il suo risarcimento aveva invocato l’articolo 2051 del codice civile. Secondo questa norma il danneggiato deve provare di aver subito un danno a causa della cosa, mentre il proprietario o il custode dell’oggetto è ammesso a provare, per liberarsi, soltanto il caso fortuito, a nulla rilevando che la situazione fosse a norma o che non vi fosse stato mai nessun problema e via dicendo.

Per antica e, anzi, millenaria tradizione, il caso fortuito viene integrato da tre fattori: l’evento imprevedibile sottratto al controllo dell’uomo (il fulmine, il terremoto, un black out elettrico nazionale etc.), il fatto doloso o colposo di un terzo estraneo alla vicenda, il fatto doloso o colposo dello stesso danneggiato.

Ebbene, quando il caso approda in Cassazione, gli Ermellini non hanno dubbi e rigettano il ricorso della malcapitata scivolatrice. Ma non lo fanno a cuor leggero.

Introducono, infatti, la motivazione, dichiarando apertamente che condividono il consolidato orientamento secondo cui “il criterio di imputazione della responsabilità di cui all'art. 2051 c.c. ha carattere oggettivo, essendo sufficiente, per la sua configurazione, la dimostrazione da parte dell'attore del nesso di causalità tra la cosa in custodia ed il danno, mentre sul custode grava l'onere della prova liberatoria del caso fortuito, inteso come fattore che, in base ai principi della regolarità o adeguatezza causale, esclude il nesso eziologico tra cosa e danno, ed è comprensivo della condotta incauta della vittima, che assume rilievo ai fini del concorso di responsabilità ai sensi dell'art. 1227, comma 1, c.c., e deve essere graduata sulla base di un accertamento in ordine alla sua effettiva incidenza causale sull'evento dannoso, che può anche essere esclusiva." (cfr. Cass. 27724/2018), ma rintracciano, nello svolgimento dei pregressi gradi di giudizio, la prova del caso fortuito, dimostrata dal Comune.

I giudici del Palazzaccio passano al setaccio l’impianto probatorio dei processi che si sono susseguiti e, dopo aver dato atto che la difesa della signora milanese ha provato correttamente la caduta sul ghiaccio e i danni derivati, rilevano che anche l’Amministrazione ha dimostrato il caso fortuito, nella specie di ben tre elementi: la prevedibilità del ghiaccio data dalla stagione invernale, l’adeguata visibilità della lastra, l’incerta deambulazione data dall’età (osservazione forse realistica ma certamente poco cortese), la conoscenza dei luoghi da parte della danneggiata, che abitava a circa duecento metri dal luogo del sinistro.

Secondo la Suprema Corte, quindi: “La Corte territoriale ha fatto corretta applicazione di tali principi, in quanto riferendosi alla ricostruzione presuntiva del fatto, dopo aver ritenuto -contrariamente a quanto statuito dal primo giudice, che il ghiaccio presente in loco era stato la causa della caduta della danneggiata -ha affermato che, da una parte, la percepibilità da parte del pedone delle condizioni della strada e la piena visibilità del luogo dovevano indurla ad un particolare prudenza, anche in considerazione dell'età anziana, e della conoscenza dello stato dei luoghi; e dall'altra che, pur configurabile un obbligo di custodia del Comune, non poteva ritenersi esigibile una condotta volta a fronteggiare nell'intero territorio di competenza le conseguenze di condizioni climatiche conosciute a tutta la popolazione”.

Il provvedimento in oggetto, Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza 10 ottobre 2019 –6 febbraio 2020, n. 2872, ha il pregio di indicare con esattezza gli elementi che, secondo i giudici, integrano il caso fortuito, anche se appare poco condivisibile nella parte in cui consente al Comune di non porre rimedio alle situazioni pericolose, a causa della vastità delle dimensioni del territorio. Certamente l’arresto giurisprudenziale in questione stimola una sempre maggiore e più attenta cautela dei cittadini, chiamati a partecipare più attivamente al controllo, anche indiretto, della cosa pubblica.

Francesco Maiorca – Agenzia Stampa Italia

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