Big Luciano, scaltro e generoso: Perugia ti deve molto.

Dalla C alla UEFA.

Luciano Gaucci alcuni lo ricorderanno per alcune stravaganze tra il mediatico e l’improvvisato, come l’ingaggio del figlio di Gehddafi o la pretesa di far giocare una calciatrice donna nella prima squadra del Perugia. Altri sottolineeranno piuttosto la parte finale del suo patronaggio nell’A.C. Perugia, con la bancarotta e la retrocessione in serie C, proprio dove Big Luciano aveva preso la squadra per portarla in pochi anni a due promozioni in serie A, sei stagioni nella massima serie ad alti livelli, la vittoria in Intertoto, la Coppa UEFA fino agli ottavi con il PSV Eindhoven, una semifinale di Coppa Italia e giocatori sconosciuti lanciati con coraggio e lungimiranza: i campioni del mondo 2006 Materazzi, Grosso, Gattuso e, poi, Nakata, Rapaic e altri con cui il Perugia divenne una squadra e un brand famoso a livello internazionale.

Mai campionati anonimi, dalla C alla B…

Tutti aspetti caratterizzanti e anche  fondamentali della sua gestione, della quale però, aldilà di questi “picchi”, andrebbe sottolineata la continuità ad alti livelli, la capacità di coltivare con successo ambizioni in un calcio italiano che era era ai vertici dell’élite mondiale sia per gli aspetti tecnici che per quelli di richiamo economico. In quello che era definito allora come il “campionato più bello del mondo” Gaucci ci seppe stare per anni da protagonista e da innovatore. Partito dalla serie C, dove il Perugia languiva tra campionati mediocri e problemi finanziari che ne stavano per decretare il fallimento, Gaucci seppe riportare entusiasmo in un ambiente che ancora viveva del ricordo dei fasti della serie A dei miracoli. Nella gestione Gaucci non ci fu mai un campionato anonimo,  in cui il Perugia in qualche modo non fosse protagonista. Fallita la promozione in B il primo anno, quando l’ingaggio di Dossena fece epoca, ma non bastò a  recuperare il terreno perso nella prima parte del torneo, l’anno dopo il Perugia centrò la prima promozione con lo spareggio di Foggia contro l’Acireale. Promozione poi vanificata dalla retrocessione a tavolino per via della famosa faccenda del cavallo e dell’arbitro Senzacqua. L’anno dopo, però, con  Castagner alla guida, il Perugia sbaragliò il campo e stravinse la serie C.

..fino alla serie A

Un anno di transizione in B (sesto posto) e poi la storica promozione del 1996 in serie A, con Galeone in panchina. La prima serie A si concluse, tra errori ed esoneri, con l’amara retrocessione dell’ultima giornata a Piacenza, ma Gaucci ripartì all’attacco e la stagione successiva fu ancora promozione, con un finale in crescendo (in panchina ancora Castagner)  che permise l’aggancio al Torino, battuto ai rigori nello spareggio di Reggio Emilia. Iniziò lì una storia esaltante che portò il Perugia a calcare la massima scena del calcio italiano per sei stagioni. Nei primi due anni, caratterizzati da una strategia poi rivelatasi troppo onerosa sul piano finanziario, si succedettero tra gli altri le guide tecniche di Boskov (salvezza all’ultima giornata della stagione 1998/99) e di Carletto Mazzone (metà classifica) nella quale il Perugia non badò a spese, acquisendo anche in prestito dal Milan Ba.  Fu proprio quella stagione a far cambiare definitivamente in modo radicale e innovativo la filosofia gestionale del Grifo di Gaucci.

La nuova filosofia gestionale: Cosmi e gli sconosciuti che diventano campioni

La virata fu verso un modello basato sulla valorizzazione dei giovani talenti scovati in ogni parte del globo grazie ad una rete di “informatori” diffusa in tutti i continenti. Talenti che poi, una volta affermatisi, venivano ceduti alle grandi squadre con plusvalenze record che finanziavano la gestione societaria. Per gestire sul piano tecnico questa strategia fu scelto un allenatore emergente, capace di lavorare con i giovani e di coinvolgere sia loro che i giocatori più esperti, scelti a partire proprio dalle loro caratteristiche umane (un nome su tutti, il capitano Giovanni Tedesco) nella responsabilità di portare la maglia del Grifo. I risultati furono tanto inattesi quanto esaltanti. Quattro stagioni nella massima serie senza mai rischiare la retrocessione e con tante soddisfazioni contro le grandi, oltre i già ricordati traguardi europei. La partecipazione all’Intertoto, in particolare, fu frutto della testardaggine di Luciano Gaucci che si impose sullo scetticismo diffuso, anche su quello di Cosmi, in quanto la partecipazione alla Coppa europea costringeva le squadre a iniziare la preparazione e la stagione con largo anticipo. Quattro anni esaltanti in cui la Perugia calcistica tornò ad essere sulla bocca di tutti come ai tempi della prima serie A e del secondo posto. Una squadra di sconosciuti, spesso pronosticata tra le retrocedenti dagli addetti ai lavori, puntualmente si imponeva per personalità, risultati e capacità di tenere il campo anche contro le grandi. Se Big Luciano era la mente, le mani abili che trasformavano la strategia in lavoro sul campo furono  il figlio Alessandro e Serse Cosmi. Questo, con la freschezza delle sue idee di gioco, la concretezza e il valore aggiunto della sua peruginità. Il figlio maggiore di Luciano, con la sua lungimiranza e capacità di tradurre in operazioni di mercato le tante segnalazioni che  arrivavano dalla sua rete di informatori. Un binomio vincente, un modello avanzato di gestione di una società provinciale che, se avesse avuto modo di consolidarsi, avrebbe tranquillamente potuto riprodurre a Perugia i fasti di lungo periodo di società di città medie e piccole che da decenni stanno nel calcio che conta, come Udinese, Atalanta ed Empoli.

La fine di un ciclo, tra congiure ed errori.

Questo è forse il principale rammarico dei tifosi perugini che videro finire l’era Gaucci non per l’insostenibilità economica della gestione, non per clamorosi errori di valutazione e di programmazione  da parte della società, ma per una autentica congiura di Palazzo. Il Perugia che uscì di scena dalla sera alla mattina nell’anno del novantesimo compleanno, il 2005, dopo lo spareggio perso con il Torino, era una società con una ventina di milioni di deficit, ma con un patrimonio societario valutato in almeno tre volte tanto. Se nel 2004 la squadra era retrocessa dopo un  campionato in cui non vinse una partita per venti giornate, molte delle quali segnate da direzioni arbitrali contrarie e contestate, e poi nel finale recuperò punti e posizioni. Un finale, va ricordato, nel corso del quale Gaucci agitò anche la minaccia clamorosa  del ritiro dal campionato, che avrebbe certo potuto contribuire a far saltare il tappo del “sistema” poi svelatosi con Calciopoli. La squadra raggiunse il terzultimo posto e lo spareggio con la sesta della serie B (altra anomalia di quella stagione) la Fiorentina. Spareggio che la squadra di Cosmi dovette giocare dopo un lungo periodo di inattività per aspettare la fine della serie B. L’esito è noto, come pure le polemiche e le congetture, alimentate dallo stesso Gaucci, che caratterizzarono il doppio confronto con i viola. Fu di nuovo serie B, che però il Perugia seppe ancora attraversare da protagonista con al timone Colantuono, allenatore inventato dai Gaucci a San Benedetto del Tronto, squadra della galassia Gaucci, come anche il Catania e la Viterbese. Lo spareggio perso col Torino nel doppio confronto fu l’inizio della fine. Il giorno dopo, Alessandro Gaucci si vide chiudere i rubinetti da tutte le banche e gli fu impossibile iscrivere il Perugia al campionato successivo. Nonostante che l’incriminazione e la successiva condanna alla retrocessione del Genoa, avesse dato al Perugia, carte federali alla mano,  la titolarità del diritto ad iscriversi addirittura alla serie A. Ciò fu però impedito dalle accuse di bancarotta fraudolenta, che di fatto impedirono a Gaucci di poter rivendicare quel diritto. Se un giorno qualcuno scriverà la vera storia di quelle vicende non potrà rimarcare le tante, troppe coincidenze convergenti a spazzare via i Gaucci da Perugia e dal calcio italiano. Le recenti dichiarazioni di Riccardo hanno svelato solo alcuni dettagli dei tanti retroscena di quelle settimane. E molto resta da capire e da interpretare. Ma, di certo, quella fine traumatica della presidenza Gaucci impedì al Perugia di consolidarsi nel grande calcio, radicando le basi per una gestione capace di dare scadenze lunghe a progetti e risultati positivi. Di questi progetti faceva parte anche la realizzazione del nuovo “Curi”, punto che già i Gaucci, in anticipo rispetto anche ai grandi club italiani, misero a fondamento della sostenibilità economica di una gestione di alto livello. Certo, errori Luciano ne fece. Stette nel Palazzo e ne condivise fino ad un cero punto le logiche, per poi pagare la propria “ribellione” per fatti legati a torti subiti dal suo Catania che egli attribuì al Palazzo stesso. E, stando a quanto raccontato da suo figlio Riccardo, mandò a monte per un istinto di orgoglio un tentativo estremo di riconciliazione con chi aveva le leve del potere del calcio italiano, tentativo che avrebbe potuto salvare il Perugia dal fallimento e lui dalle accuse di bancarotta e dal conseguente esilio volontario a Santo Domingo. 

Luciano Uragano, l’uomo.

Accanto alla storia degli avvenimenti c’e poi quella dell’uomo Gaucci. Imprenditore scaltro e ben introdotto negli ambienti che contavano (era nota la sua amicizia con Giulio Andreotti) mantenne sempre però un connotato di umanità schietta e popolare. Istrionico, pittoresco, a volte sopra le righe in tante sue esternazioni e scelte, eppure di animo gentile, generoso e disponibile, a detta di tutti coloro che ebbero modo di frequentarlo e conoscerlo dietro le quinte. Questa generosa  disponibilità Luciano volle fosse una cifra anche della società A. C. Perugia verso l’ambiente, i tifosi, la stampa e le istituzioni del territorio. Il suo Perugia spesso durante la settimana era sui campi della provincia, a incontrare i tifosi dei clubs, a invitare le scolaresche alle partite della domenica. Una politica comunicativa che poi a Perugia, e non solo, non si è più vista, soffocata dalle  scelte imposte dalle tv esclusiviste, massime finanziatrici del calcio. Anche di quel rapporto tra squadra e città, diffuso, non filtrato, capace di far sentire ai giocatori al tempo stesso il calore e la responsabilità delle aspettative dell’ambiente, in molti sentono la nostalgia. Da oggi, quella nostalgia per un calcio ormai di altri tempi si lega ancor più al ricordo di Big Luciano, presidente discusso eppure tra i più amati e rimpianti per le sue capacità gestionali e le doti umane. Perugia, non solo sportiva, gli deve molto e dovrà essere, come lui, generosa e schietta nel commemorarlo.

Daniele Orlandi – Agenzia Stampa Italia

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