Per salvare l’Italia dalla bancarotta, ci rimane una sola strada: abolire le Regioni

italiaregioni(ASI) L’idea, all’apparenza – me ne rendo conto anch’io – può sembrare estemporanea e stravagante, soprattutto ora che alcune Regioni, Veneto e Lombardia in particolare, hanno fatto addirittura un referendum per chiedere maggiore autonomia.

La situazione, però, è tanto grave che le cose non potranno rimanere così a lungo. Le alchimie contabili servono a poco, meglio: a niente. Servono ad ingannare tutti in un gioco perverso e scellerato che allunga l’agonia. I debiti dello Stato hanno raggiunto livelli stratosferici e aumentano minuto per minuto. Secondo i dati forniti dalla Banca d’Italia, a marzo, il debito ammontava a 2.228,7 miliardi di euro, ma ad aprile ha raggiunto un nuovo record: 2.230,845 miliardi. Con riferimento ai sottosettori, il debito delle amministrazioni centrali - sempre dati Bankitalia - è aumentato di 1,7 di miliardi, quello delle amministrazioni locali è cresciuto di 0,4 miliardi mentre è rimasto sostanzialmente invariato il debito degli Enti di previdenza. Tutto questo comporta una spesa per interessi di 64,9 miliardi, che stando al Def, quest’anno dovrebbe ridursi a 63,9 miliardi ma nel 2021 sarà di 69,5 miliardi e salirà a 73,7 nell’anno successivo. Gli interessi bruciano 4 punti di Pil di risorse pubbliche. Non va meglio con il rapporto debito/Pil perché dall’ultima rilevazione si prevede una crescita del prodotto interno lordo tra -0,1 e + 0,2%. A tutto questo vanno aggiunti i segnali di allarme di diverse, autorevoli fonti, come la Bce e l’Ocse, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico. Nel quarto trimestre del 2018 l’occupazione, nei 36 Paesi aderenti all’Organizzazione, è aumentata di 0,1 punti, al 68,6 % mentre l’Italia resta ferma al 58,6 %, dieci punti percentuali sotto la media dei Paesi industrializzati. Salto altri dati dello stesso tenore, ma non posso non rilevare con una certa preoccupazione la delusione per la politica economica dell’attuale governo gialloverde. Al di là delle buone intenzioni filologiche: “decreto  crescita”, non sembra in grado di dare quella svolta necessaria per sostenere l’economia che si rende indispensabile per far crescere la domanda di beni e servizi e consentire la creazione di nuovi posti di lavoro. I due punti “forti” e “qualificanti” della manovra, vale a dire la quota 100 per l’anticipo delle pensioni ed il reddito di cittadinanza vanno, invece, nella direzione opposta, perché i nuovi pensionati prenderanno meno dello stipendio (intorno a -20%) e il reddito di cittadinanza comporta un’altra, ulteriore uscita per lo Stato. Ma il debito complessivo di noi cittadini non è solo questo. Ci sono i debiti dei comuni come Roma (12 miliardi) o Catania e di tante altre città metropolitane. E ci sono pure i debiti della Sanità. E quelli delle Province e delle Regioni. Mi fermo qui per evitare di rovinarvi la giornata. Ma l’emorragia di risorse è continua e inarrestabile se siamo anche impelagati in “investimenti” assurdi e irresponsabili, come quello in Alitalia, già costato 9 miliardi di euro e con una perdita di 500 milioni l’anno. Che fare? Siamo giunti ad una svolta. Si pensa, per non far aumentare ancora di più il debito, ad un’altra patrimoniale, come se non bastassero quelle che già ci sono. Tutte peraltro illegittime, sotto il profilo costituzionale. Il secondo comma dell’art. 53 recita “il sistema tributario è informato a criteri di progressività”. Invece le imposte, come l’Imu e la Tari, tanto per citarne due, sono proporzionali, come tante altre. E allora pare invitabile, in autunno, un aumento dell’Iva, che sarebbe un altro duro colpo nel deprimere ulteriormente i consumi. Ma per non aumentarla servono 23,1 miliardi. Che bisogna risparmiare, qualcuno, forse, finalmente, lo deve aver capito se hanno nominato un’altra commissione, formata da alcuni parlamentari, Massimo Garavaglia e Laura Castelli, per la spending review, l’ennesima. Che sarà del tutto inutile come è successo con quelle precedenti, perché nessuno vuole tagliare nulla. A meno che non si tratti di detrazioni e deduzioni da fare nella dichiarazione dei redditi, perché così sarebbe soltanto un banale semplice aggravio della tassazione che è già a livelli intollerabili. D’altronde nessuno ha mai voluto combattere seriamente ciò che pesa di più sui conti pubblici, vale a dire l’evasione fiscale e la corruzione. Che sarebbero state le due consistenti fonti da cui sarebbero arrivate cospicue risorse.  E allora c’è una sola strada: abolire le Regioni e cancellare del tutto di quel che resta delle Province. Pensavano ad altro, evidentemente, i padri costituenti: immaginavano un rapporto più stretto e ravvicinato tra il potere politico e i cittadini, quando scrissero quell’art. 114 del Titolo V:  “La Repubblica si riparte in Regioni, Province e Comuni”, successivamente modificato in “La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato”. E’ stato un disastro. Gli sprechi, i privilegi, le burocrazie si sono moltiplicati per venti, così come si sono moltiplicati i focolai del malaffare, con scandali indecenti per ruberie e corruzione. Dalla Lombardia, alla Sicilia, alla Calabria, passando per l’Umbria.  Capisco che sarebbe dura da digerire per i politici, ma sarebbe la soluzione che, suppongono, vorrebbero tutti coloro che pagano tutte le imposte (giunte ormai al 75%, vedi anche I dubbi (e i conflitti) dei nocchieri in un’Italia in gran tempesta) per avere finalmente, e veramente, migliori e più tranquille condizioni di vita. La “rivoluzione” non è semplicissima, trattandosi di una riforma costituzionale, ma funzionale ed efficace. Eccolo l’art.114 riformato: “La Repubblica è costituita dai Comuni (minimo 15.000 abitanti) dalle Città metropolitane, dallo Stato”. Togliendo anche tutti quegli assurdi, insopportabili e del tutto ingiustificati privilegi alle Regioni autonome, come Friuli Venezia Giulia, Valle d’Aosta, Trentino - Alto Adige, Sicilia e Sardegna. Tutto questo enorme spreco di denaro pubblico, di cui i cittadini non hanno avuto finora nessun tipo di beneficio, non ce lo possiamo più permettere. Non ci possiamo permettere che a Bruxelles ci siano, attive e costosissime, 20 “ambasciate” italiane, quelle di tutte le Regioni italiane. O facciamo questa vera “rivoluzione” o rischiamo di annegare tra i debiti o morire strozzati dalle imposte. Noi e i nostri figli.  

Fortunato Vinci – Agenzia Stampa Italia

 

 

 

 

Fonte: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Italian_regions_provinces_white_no_labels.svg

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