(ASI) Tra i valori fondamentali dell’esistenza umana, qualora essa sia inserita in un ambiente sociale comunemente accettato, ne esiste uno in particolare che fin dal suo inquadramento a oggi può essere considerato tra i più essenziali: il rispetto.
L’articolo 3 dei Principi Fondamentali della Costituzione Italiana recita che “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. Nella Costituzione entrata in vigore il 1º gennaio 1948 ovviamente non si parla di rispetto come principio fondamentale, ma i temi e le questioni fondamentali di cui parla l’articolo 3 possono essere tradotti anche in tal senso. E mai come oggi il tema del rispetto si palesa costantemente dinanzi ai nostri occhi ogni qualvolta accendiamo la televisione, ascoltiamo le notizie alla radio o semplicemente ci guardiamo intorno uscendo da casa.
Prendiamo ad esempio la campagna Respect della UEFA, il programma di responsabilità sociale che la Union of European Football Associations ha intrapreso da anni con l’intento di migliorare lo stato di salute e l'integrità del calcio e della società. In questo caso lo sport funge da integratore e motore di diffusione di un valore, basandosi sui principi del “senso d’appartenenza, rapporto con gli altri, spirito di squadra, rispetto dell’altro ma anche l’integrazione sociale e la competizione”.
Visto nella sua totalità il rispetto però non può essere considerato solamente come caratteristica con riferimento agli altri o all’ambiante circostanziale ma deve essere considerato anche come rispetto per noi stessi. Come scrive Annamaria il rispetto diventa anche stile di pensiero. “Rispettare è avere autocontrollo, disciplina, libertà (a questo punto chi lo desidera può tirare un ballo diversi filosofi da Aristotele a Kant). È essere intelligenti sia dell’altro sia di se stessi”.
Lo stile di pensiero si trasforma poi in azione, in creatività, in pura coscienza di se stessi e del mondo. Tutto ciò non può e non deve essere imposto dall’alto ma, tutt’altro, diventare condizione generale dell’individuo, assimilata, capita e fatta propria.
Avremmo piacere e interesse a raggiungere un tale senso di “displina” e d’identità? Si? Esercitiamoci, iniziamo a rispettare chi è diverso da noi, chi non la pensa come noi. Un passo importante in avanti verso il rispetto reciproco e di noi stessi.
Pallotti Pietro - Agenzia Stampa Italia