(ASI) Perugia - Riprendiamo l’approfondimento dedicato alla nuova legge sul consenso informato e sulle disposizioni anticipate di trattamento, il cosiddetto testamento biologico. Dopo l’abbondante premessa assiologica e metodologica del primo articolo, che dedica ampio spazio ad una accurata explicatio terminorum, la norma prosegue con l’art. 2, riconoscendo il diritto alla terapia del dolore ed alle cure palliative, di cui alla legge n. 38 del 2010.
La suddetta previsione impone al medico di adoperarsi per alleviare le sofferenze, anche in caso di rifiuto e revoca del consenso al trattamento sanitario (e qui la legge fa sorgere i primi dubbi perché il malato potrebbe rifiutare qualunque trattamento, mettendo in seria difficoltà il medico che si vedrebbe obbligato ad adoperarsi contro la volontà del titolare del diritto) da parte del paziente, con la collaborazione del medico di medicina generale. Ricordiamo che per cure palliative s’intendono quegli interventi da mettere in atto quando la malattia diviene refrattaria a qualunque cura e quando la prognosi sia infausta. Si tratta, pertanto, di fare tutto il possibile per accompagnare dignitosamente il malato fino alla morte o per consentirgli una esistenza più decorosa e vivibile. Il trattamento può essere rivolto anche ai familiari, per coadiuvarli nella difficile gestione della malattia. Nel prevedere le cure palliative ed il trattamento del dolore, il secondo comma detta precise indicazioni al medico, che deve astenersi da ogni ostinazione irragionevole nella somministrazione delle cure e dal ricorso a trattamenti inutili o sproporzionati, nei casi di pazienti con prognosi infausta a breve termine o nell’imminenza della loro morte. Negli stessi casi il medico può, con il consenso del malato, ricorrere alla sedazione palliativa profonda continua in associazione alla terapia del dolore, annotando in cartella clinica e nel fascicolo elettronico le motivazioni sia della scelta sia dell’eventuale rifiuto. Una particolare attenzione viene rivolta dal legislatore ai minori e agli incapaci, per i quali viene valorizzata la loro capacità di comprensione e di decisione. Cardine di questo sano atteggiamento normativo è l’obbligo, da parte dei sanitari e dei familiari, di informarli sulle scelte da prendere in modo consono alle loro condizioni, per consentirgli di esprimere la loro volontà. Alla luce di questa impostazione, l’art. 3 specifica che il consenso informato vada espresso da chi ne abbia la potestà, tenendo conto dei desideri del minore, in proporzione alla sua età ed al grado reale di effettiva maturità dello stesso. Per la persona interdetta sceglie il tutore, dopo aver sentito se possibile la persona incapace, avendo come riferimento la tutela della sua salute psicofisica e della sua vita, nel pieno rispetto della sua dignità. Ma cosa accade se il rappresentante legale sia in disaccordo con i medici, che ritengano alcune cure come necessarie per la salute del paziente e non vi siano disposizioni anticipate di trattamento? La legge, all’ultimo comma dell’articolo in questione, prevede il ricorso al giudice tutelare, su ricorso sia del rappresentante legale del minore o dell’incapace, sia del medico o della struttura sanitaria. Nel prossimo articolo ci occuperemo delle cosiddette DAT, ovvero le disposizioni anticipate di trattamento, la vera novità della norma, che tanto hanno fatto discutere gli opposti schieramenti formatisi in seno all’intera nazione. Fine seconda parte segue.
Francesco Maiorca – Agenzia Stampa Italia