(ASI) «La Chiesa irachena ha salvato la vita del piccolo Wisam. La sua nascita è una prova evidente di quanto la presenza cristiana sia importante in queste terre». Così dichiara ad Aiuto alla Chiesa che Soffre una fonte che per motivi di sicurezza preferisce rimanere anonima e che ha raccontato alla Fondazione pontificia un’incredibile storia di amore e speranza accaduta in Iraq.
Nadia, la madre del piccolo poco più che adolescente, è stata rapita e violentata da uomini dello Stato Islamico, come migliaia di bambine, ragazze e donne della Piana di Ninive appartenenti a minoranze etniche e religiose. Durante il periodo in cui la giovane è stata tenuta prigioniera dai jihadisti, che l’hanno ridotta ad una schiava sessuale, è rimasta incinta.
Qualche mese fa Nadia è riuscita a fuggire ed ha fatto ritorno al suo villaggio. Ma gli anziani della sua tribù, scoperto che la ragazza era incinta, hanno deciso che il bambino sarebbe stato ucciso non appena nato, giacché un figlio concepito da un membro dell’Isis non ha diritto di vivere.
Ma Nadia non si è rassegnata e, determinata a proteggere quella piccola vita che cresceva dentro di lei, è riuscita a mettersi in contatto con esponenti della Chiesa locale. Alcune religiose l’hanno accolta e protetta dalle gravi conseguenze che poteva e che può ancora comportare la sua decisione. Una volta nato, le suore si sono prese cura di Wisam nel loro orfanotrofio per un mese, finché il piccolo è stato adottato da una famiglia cristiana.
«Ho tenuto quel bambino tra le braccia ed è stata un’emozione incredibile – dichiara la fonte ad ACS - Ora la sua nuova famiglia lo farà crescere in un’atmosfera d’amore e di perdono. Ed è quanto noi cristiani stiamo riportando, giorno per giorno, in Iraq e in tutto il Medio Oriente».
I nomi dei protagonisti di questa storia sono stati cambiati per motivi di sicurezza.