L'anniversario della “Strage di Acca Larentia” diventi un momento di solidarietà nazionale, nel ricordo delle vittime della strategia della tensione degli “Anni di Piombo”

vittime copy(ASI) Roma – Il periodo della storia politica italiana che va dalla fine degli anni Sessanta, all'inizio degli anni Ottanta del Novecento, viene definito degli “Anni di Piombo”, epoca in cui la dialettica politica si estremizzò così tanto, soprattutto a livello giovanile, da sfociare non solo in proteste di piazza contro le autorità governative, ma, bensì in scontri armati fra fazioni di militanti politici di estrema destra ed estrema sinistra e fra queste e le forze dell'ordine.

A tal proposito, il 1978, fu un “annus horribilis” per la politica italiana, aperto con la “Strage di Acca Larentia” e culminato col rapimento e l'uccisione del Presidente della Democrazia Cristiana (DC), Aldo Moro, da parte delle Brigate Rosse (BR).

Uno degli avvenimenti più significativi di questo turbolento e drammatico periodo della storia politica italiana, è sicuramente la “Strage di Acca Larentia”, del 7 gennaio 1978, a seguito della quale tre giovanissimi militanti del Fronte della Gioventù (organizzazione giovanile del Movimento Sociale Italiano - MSI), persero la vita, freddati a colpi di armi da fuoco in Via Acca Larentia, sull'Appio Tuscolano, un quartiere popoloso e popolare di Roma.

Franco Bigonzetti, Francesco Ciavatta, Stefano Recchioni, furono le tre giovani vittime nemmeno ventenni, le cui vite, sogni, speranze ed ideali, furono spezzate da questa tragedia, fomentata dall'odio politico e dalla strategia della tensione (tipica della Prima Repubblica e della Guerra Fredda), in atto fra le forze dell'ordine, i militanti comunisti (che facevano parte della maggiore forza di opposizione nel Paese, filo sovietica e anti Nato) e i giovani di estrema destra, facendo riacutizzare nelle fabbriche, nelle scuole, nelle sedi di Partito e nelle strade italiane, le ferite mai rimarginate della guerra civile del 1943 – 1945 fra Fascisti e Comunisti.

Franco Bigonzetti e Francesco Ciavatta, morirono assassinati per mano armata di militanti di estrema sinistra, mentre Stefano Recchioni, venne ucciso durante gli scontri con le forze dell'ordine, avvenuti a seguito della degenerazione dello spontaneo corteo di protesta, organizzato dai giovani missini davanti alla sede MSI di Acca Larentia.

Ma, veniamo alla narrazione dei fatti. Secondo la testimonianza di uno dei sopravvissuti alla strage, nel pomeriggio di sabato 7 gennaio 1978, alcuni giovani attivisti FdG del Movimento Sociale, uscirono dalla sede del Partito di Acca Larentia per andare a prendere delle cose da mangiare, per fare una riunione nella loro sede e videro una persona apparentemente sospetta che stava in zona e che osservava la sezione missina, ma non diedero sul momento troppo peso all'accaduto, poiché nessuno si aspettava che poco dopo ci sarebbe stato il tragico inaspettato epilogo.

L' aria, quel giorno, era fredda, pungente, le luci, nel largo davanti la sezione di Acca Larentia, erano deboli. Tutti i ragazzi del Fronte della Gioventù erano presi dal volantinaggio per gli eventi che si stavano organizzando. Le feste natalizie, erano appena finite, e i giovani militanti missini, dovevano riniziare l' attività politica, anche se era sabato pomeriggio e molti loro coetanei, a quell'orario, preferivano farsi una passeggiata, riempiendo bar, sale giochi e cinema.

Ma, non era cosi per i giovani missini. Quel pomeriggio, tutte le sezioni erano impegnate nel fare un volantinaggio a Prati, sia per protestare contro la chiusura della sezione di Via Ottaviano (quella davanti a cui nel febbraio del 1975 era stato ucciso dagli autonomi di sinistra Mantakas), sia per pubblicizzare un concerto del gruppo di area, Amici del Vento.

Successivamente, intorno alle 18.20 di quel sabato, cinque giovani della sezione MSI di Acca Larentia, mentre stavano uscendo, vennero colti di sorpresa e investiti dai colpi di armi automatiche (pistole calibro 9 e una mitraglietta Skorpion, capace di tirare venti colpi in pochi secondi), sparati da una batteria di fuoco, composta da cinque – sei persone (i Nuclei Armati per il Contropotere Territoriale - NACT) , con esito drammatico: il diciannovenne romano di Torpignattara, Franco Bigonzetti (studente universitario al primo anno di medicina e cintura nera di Judo che si pagava gli studi lavorando per una ditta addetta alla manutenzione stradale), morì sul colpo, trapassato da una pallottola in un occhio; Vincenzo Segneri, di professione meccanico, riportò una ferita ad un braccio, ma riuscì a rientrare all'interno della sezione, salvandosi la vita, insieme al Responsabile dei Comitati di Quartiere, Maurizio Lupini e allo studente Giuseppe D'Audino.

Beffarda sorte toccò all'ultimo del gruppo che si era attardato a rientrare, lo studente diciottenne Francesco Ciavatta ( molisano originario di Motagano in Provincia di Campobasso, solito circolare col suo motorino “Boxer” della Piaggio, trasferitosi a Roma con i genitori Antonio e Angelina che lavoravano come portieri in un condominio in Via Deruta 19): rimasto in un primo momento solo ferito nell'agguato, fu colpito in un secondo tempo alle spalle da una raffica di mitra che gli causò delle emorragie interne sulle scalette di Via Cave dove cadde, vicino l'ingresso della sezione missina. Ciavatta, agonizzante, si lamentava dal dolore, poiché gli bruciava tutto dentro al corpo, mentre il suo respiro arrancava sempre più e l'udito con la vista, gradualmente scendevano. Morì in ospedale, dove fu trasportato in ambulanza che arrivò dopo mezz'ora.

Nelle concitate, frenetiche e drammatiche ore successive all'attentato, la notizia si diffuse fra tutti i giovani delle sezioni missine di Roma, molti dei quali si radunarono sulle scale e nella piazza, teatro della tragedia di Acca Larentia, per organizzare un presidio e un corteo di protesta, attoniti, ma allo stesso tempo rabbiosi, con la tensione che saliva alle stelle.

Fra i ragazzi accorsi in Via Acca Larentia, c'era anche Stefano Recchioni, un diciannovenne romano che i suoi commilitanti descrivono come molto bello, dinamico, dai buoni modi di fare, con una faccia d'angelo, gli occhi azzurri e i capelli biondi, iscritto alla storica sezione missina, vicina al Colosseo, di Colle Oppio “Istria e Dalmazia” ( il nome della sede deriverebbe dal fatto che, in precedenza, i suoi locali erano un rifugio per i profughi dalmati, giuliani e istriani, alcuni dei quali divennero poi anche attivisti politici della stessa sezione missina), diplomato al liceo e subito dopo, arruolatosi nei parà della Folgore, chitarrista del gruppo di musica alternativa Janus, amante del disegno e della poesia.

Stefano Recchioni, quel pomeriggio in cui i NACT spararono a Franco Bigonzetti e a Francesco Ciavatta, era in giro con una sua camerata a cui era legatissimo, iscritta nella stessa sezione del Partito, con cui era andata a fare volantinaggio.

Quando arriva la notizia dell'attentato, i ragazzi della sezione di Colle Oppio, avevano appena finito a fare il volantinaggio e Stefano, insieme ad altri militanti, decise di andare ad Acca Larentia, dove c'era già parecchia gente. Era animato da valori quali abnegazione, coraggio, generosità, lealtà e solidarietà, verso quelli che considerava come fratelli.

Qualcuno iniziò a contestare Giorgio Almirante e i vertici del Movimento Sociale Italiano, poiché, secondo loro, erano rei di non tutelare a sufficienza i giovani del Fronte della Gioventù, trasformati, in bersagli per i “compagni”.

Ad Acca Larentia, fra i militanti missini presenti quella sera a manifestare, c'erano sicuramente anche Francesca Mambro e Franco Anselmi che saranno di lì a poco, due dei personaggi più di spicco dei Nuclei Armati Rivoluzionari (NAR).

Franco Anselmi, nel 1972, quando frequentava il quarto liceo scientifico, aveva subito un aggressione dai militanti di sinistra, finendo in coma per tre mesi, e procurandosi un grave abbassamento della vista che gli fece perdere anche due anni scolastici che poi recuperò presso un istituto paritario nella zona di Monteverde, dove nel 1975 fece la conoscenza, tra gli altri, di Valerio Fioravanti e Alessandro Alibrandi dei NAR.

Anselmi, era uno che c'era sempre quando moriva o veniva ferito un camerata, o c'era da fare uno scontro politico acceso.

Egli portava sempre con sé il passamontagna che il 28 febbraio 1975 venne macchiato dagli schizzi del sangue dell'attivista greco del Fronte Universitario d'Azione Nazionale (FUAN) Mikis Mantakas che fu ucciso da autonomi di sinistra, a seguito degli scontri di Piazza Risorgimento, scaturiti durante il processo per il Rogo di Primavalle. Quel giorno, Anselmi in un suo rituale, decise di intingere quel passamontagna anche nel sangue di Bigonzetti, giurando vendetta.

Intanto, ormai si era fatto buio e nella zona, oltre ai giovani del Fronte della Gioventù, provenienti da ogni parte di Roma, erano accorsi massicciamente anche le forze dell'ordine e dei giornalisti.

Ma, la situazione, benché altamente tesa, sembrava alle autorità sotto controllo, d'altronde i missini non si erano pressoché mai prima di quel giorno, scontrati con le forze dell'ordine.

Ma, ad un certo punto, secondo la versione di gran parte dei presenti, tutto degenerò per un gesto inconsulto, ma probabilmente non voluto, di un operatore della Rai che accompagnava un giornalista che gettò un mozzicone di sigaretta nel sangue ancora fresco di Francesco Ciavatta sulle scale. Il gesto, fu visto come un atto di provocazione e scoppiarono dei tafferugli che danneggiarono anche le apparecchiature della televisione, mentre l'operatore fu salvato dal linciaggio solo dall'intervento delle forze dell'ordine.

A questo punto, per riprendere in mano la situazione, i Carabinieri decisero di lanciare dei lacrimogeni, uno dei quali colpì anche il Segretario Nazionale del Fronte della Gioventù, Gianfranco Fini che pochi istanti prima venne fotografato vicino allo sventurato Stefano Recchioni che quella sera si sarebbe invece beccato una cartuccia in fronte.

Ma, le forze dell'ordine ottengono il risultato opposto, poiché inizia subito una sassaiola contro di loro. A questo punto, dal lato dei Carabinieri verso lo schieramento dei manifestanti, qualcuno sparò ad altezza uomo, colpendo in piena fronte Stefano Recchioni, in circostanze ancora ben da chiarire. Il giovane, accompagnato all' Ospedale San Giovanni, morirà dopo due giorni di agonia il 9 gennaio, mentre i giornali monteranno un caso.

Alcuni giorni dopo, il raid fu rivendicato a nome dei Nuclei Armati per il Contropotere Territoriale, tramite una cassetta audio ritrovata vicino ad un distributore di benzina.

Ma, i colpevoli dell'agguato assassino a Bigonzetti e Ciavatta e degli spari alla fronte di Recchioni, rimasero sempre ignoti e liberi.

Una delle mitragliette Skorpion, utilizzate nell'agguato di Acca Larentia, fu poi rinvenuta nel covo delle BR in Via Dogali a Milano nel 1988 e gli esami balistici hanno confermato che è stata utilizzata anche per altri tre omicidi, firmati dalle Brigate Rosse, nel corso degli anni Ottanta.

Nel 2013, a seguito di una interpellanza parlamentare, è stata ricostruita la provenienza dell'arma che è stata acquistata nel 1971 da un famoso cantante. Ma, a distanza di decenni, non si sa ancora come il mitra sia finito poi nelle mani dei terroristi.

Tre giovani vite furono spezzate, a causa del livello di intolleranza, di odio e di tensione che negli “Anni di Piombo” aveva raggiunto il confronto politico.

I ragazzi del Fronte della Gioventù caduti il 7 gennaio 1978, avevano il diritto alla vita come tutti i cittadini, avevano i sogni e le aspettative di ogni ragazzo che a vent'anni inconsapevolmente si affaccia al mondo, ma, purtroppo, avevano la sola colpa di essere dalla parte della barricata che era considerata “sbagliata” e “perdente”; perciò sono stati eliminati dall'intolleranza e dall'odio omicida di chi si riteneva portatore del pensiero unico imperante, da cui loro dissentivano, più per una sorta di ribellione anticonformista verso il mondo moderno che per una vera e propria adesione al Fascismo che non avevano mai vissuto in prima persona, anche se spesso si chiamavano fra di loro e venivano chiamati dagli altri “Fascisti”.

Essi erano mossi nella loro azione politica da ideali e valori superiori che sono virtù pressoché del tutto sconosciute, non solo ai politici di oggi, ma, troppo spesso, merce rara anche fra le nuove generazioni, vittime del qualunquismo imperante. D'altronde la classe politica e dirigente è espressione stessa del Popolo che la vota e la sceglie.

La strage di Acca Larentia, contribuì ad acuire il clima della lotta politica che degenerò sempre più in violenza e in odio ideologico tra le fazioni in campo (“rossi”, “neri” e “caschi blu”), a tal punto che per molti militanti dell'estrema destra, le cose non saranno più come prima dopo quel 7 gennaio 1978: alcuni di loro, da quel momento, decisero di abbandonare il Movimento Sociale Italiano, di intraprendere la lotta armata o di creare circoli culturali, riviste di “area” o movimenti extraparlamentari.

I fatti di Acca Larentia, come, ad esempio, anche quelli del Rogo di Primavalle, hanno segnato e continuano a segnare ancora oggi la storia politica della destra italiana. A tal proposito, ogni anno, si svolgono delle cerimonie e delle manifestazioni di commemorazione nel mondo della destra sociale e radicale.

A dimostrazione dell'importanza della cesura storico - politica, rappresentata dalla “Strage di Acca Larentia”, per quanto riguarda la storia del mondo della destra estrema, il cantante Francesco Mancinelli, dedicherà ai ragazzi del Fronte della Gioventù dell'epoca, una canzone intitolata appunto “Generazione 78”.

Dal 1978, c'è nel luogo della tragedia una targa commemorativa della tragedia.

Nel 2012, in occasione del trentaquattresimo anniversario, i militanti della vecchia sezione di Acca Larentia, hanno modificato la dicitura della targa commemorativa da “vittime della violenza politica” in “assassinati dall'odio comunista e dai servi dello Stato”.

Due anni fa, Francesco Storace, ha chiesto l'apertura di una commissione d'inchiesta sulla strage.

Quest'anno, quarantesimo anniversario dell'agguato, si è svolto, tra gli altri consuenti eventi commemorativi, un convegno organizzato dalla Fondazione “Rivolta Ideale”, intitolato “Acca Larentia, 40 anni senza giustizia”, tenutosi presso la Fondazione “Alleanza Nazionale”, per chiedere che siano finalmente inviduai gli esecutori e i mandanti di quella strage.

Le bare di “Acca Larentia” sono impunite, così come quelle di uomini e donne che dall'altra parte della barricata, tra i militanti di sinistra, non hanno mai ottenuto verità o uno straccio di processo, vittime delle regie occulte della strategia della tensione che ha insanguinato la vita politica italiana repubblicana, non permettendo all'Italia, dal secondo dopoguera, di poter avere una sovranità politica piena.

Pertanto, si auspica da più parti che l'anniversario della “Strage di Acca Larentia” diventi un momento di solidarietà nazionale trasversale, nel ricordo delle vittime della strategia della tensione degli “Anni di Piombo”

 

 

Cristiano Vignali – Agenzia Stampa Italia

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