(ASI) L’annunciato spostamento dell'ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme ha scosso le relazioni internazionali e risvegliato l'attenzione dell'opinione pubblica sul Medio Oriente. Come purtroppo conferma la cronaca delle ultime ore, i primi a pagare le conseguenze di quella che appare come una scelta unilaterale sono le popolazioni di quest’area del mondo. “Gerusalemme – afferma Roberto Rossini, presidente nazionale delle Acli - è la città dell'incontro delle culture e delle religioni. Una città simbolo di pace, che sarebbe anche il luogo ideale dove le rappresentanti internazionali potrebbero incontrarsi, a partire dall’Onu. Una città che, invece, è teatro di scontri violenti”.
Secondo Matteo Bracciali, Responsabile Dipartimento Internazionale delle Acli, “la scelta di Trump si inserisce in un duplice filone: il primo risponde alla necessità nel medio o lungo periodo di ridefinire i confini nell’area medio-orientale, mentre il secondo vede gli Stati Uniti impegnati nella costruzione di nuovi equilibri nell'area medio orientale, tanto quanto in quella orientale del Pacifico. Si tratta di due processi – continua Bracciali - che sono “storici” e che sono destinati ad avanzare indipendentemente dalla risposta degli attori internazionali che, in questa congiuntura, non hanno strumenti per interrompere il corso di questi eventi. Sono, semmai, chiamati a governarli e gestirli”.
Alla vigilia dell’anniversario della proclamazione della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, da parte dell'assemblea generale delle Nazioni Unite, ribadiamo la centralità degli organismi internazionali come luoghi di confronto. Lo spirito del 10 dicembre 1948 sia da esempio anche per il mondo attuale e alimenti un processo che porti a una pace condivisa e duratura.
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