(ASI) Li aveva nominati tre volte prima di partire per il Myanmar, poi, di fronte al premio Nobel Aung San Suu Kyi e alla stampa mondiale, ha preso la questione molto alla larga, con un generico discorso sulle minoranze e le popolazioni che soffrono. Il trucco della comunicazione di Papa Francesco non è passato inosservato, ma molti lo hanno giustificato con la tutela delle comunità cattoliche presenti in Birmania. Altri preferiscono porre al centro i fatti e l’incontro del Pontefice con le minoranze islamiche stesse, senza pesare le singole parole di Francesco.
Nel viaggio di ritorno, sull’aereo decollato a Dacca che sorvolava India e Afghanistan, il Papa ha mantenuto la tradizionale conferenza stampa, dopo il viaggio di sei giorni in Myanmar e Bangladesh, il suo terzo in Asia: «Ho incontrato i Rohingya, ho pianto con loro. So che stanno vivendo un momento difficile e il Myanmar è un Paese in fase di transizione». E sulle critiche, il Pontefice ha poi risposto: «A me interessava che il messaggio di pace arrivasse. Troppe volte si usano nomi e si sbattono le questioni sul tavolo come slogan, ma perdendo la sostanza nel dibattito politico. Non contano i sensazionalismi di oggi, ma i risultati di domani».
Francesco prima di incontrare Suu Kyi, ha parlato con il generale Min Aung Hlaing, accusato di essere il principale responsabile della persecuzione dei Rohingya. Il militare ha anticipato i tempi dell’incontro, quasi volesse dimostrare al mondo di essere lui ad avere il potere in Myanmar, non il premio Nobel per la Pace. Per Amnesty International la pulizia etnica «perpetrata dai soldati di Hlaing», è un «vero e proprio sistema di apartheid contro 600mila Rohingya di fede musulmana nella zona di Rakhine». Minacciati dalla maggioranza buddista del Paese e costretti a fuggire in Bangladesh, solo qui hanno sentito il Papa nominare il loro nome.
Nella preghiera dell’Angelus di domenica 3 dicembre a San Pietro, Francesco ha ricordato tutte le minoranze incontrate nel viaggio apostolico e ha chiesto che le loro sofferenze siano allievate. A queste, dovrà intanto dar risposta il governo birmano, su cui pende la richiesta del comitato Onu di presentare nelle prossime settimane un rapporto sulle violenze subite dai Rohingya.
Lorenzo Nicolao – Agenzia Stampa Italia