(ASI) Roma – L’Istat conferma che l’Italia non è un Paese giovane, infatti al 1° gennaio 2017 si stima che la popolazione residente in Italia scende a 60 milioni 579mila; con ben 86mila unità in meno rispetto all’anno precedente (-1,4 per mille).
Secondo le stime relative al 2016, il calo della popolazione non si presenta in tutte le regioni. Le due regioni più popolose del Paese, Lazio e Lombardia, registrano un incremento del +1,3 e del +1,1 per mille rispettivamente. L’incremento relativo più consistente è quello ottenuto nella Provincia autonoma di Bolzano (+6,6 per mille) mentre nella vicina Trento si arriva appena al +0,3 per mille. Sopra la media nazionale (-1,4 per mille) si collocano anche l’Emilia-Romagna (+0,2 per mille) e la Toscana, quest’ultima tuttavia con un segno negativo del -0,5 per mille. Nelle restanti regioni, dove la riduzione di popolazione è più intensa, si è in presenza di un quadro progressivamente caratterizzato dalla decrescita che va dal Veneto (-1,9) alla Basilicata (-5,7).
La recente dinamica demografica nazionale è stata caratterizzata da alcuni cambiamenti significativi. Nel volgere di appena un decennio si è passati da un regime demografico contraddistinto da dinamica naturale debole e forte sostegno delle migrazioni con l‘estero, a uno nel quale i contributi dei fattori demografici si compensano, azzerando la crescita.
Il saldo naturale registra nel 2016 il secondo peggior risultato storico (-134mila), superiore soltanto a quello del 2015, che per ora è da considerarsi come eccezionale (-162mila). A differenza del 2015, tuttavia, quando a incidere negativamente sulla dinamica naturale risultavano sia il calo delle nascite sia l’eccezionale aumento dei morti, il deficit naturale del 2016 si può ascrivere soprattutto a una nuova riduzione della natalità. Il record di minimo delle nascite del 2015 (486mila) è stato superato da quello del 2016, pari a 474mila. I decessi, dopo il picco registrato nel 2015 con 648mila casi, sono 608mila, un livello alto ma in linea con l’aumento dovuto all’invecchiamento della popolazione. Il saldo migratorio con l’estero nel 2016 è di entità simile a quello dell’anno precedente. Tuttavia, rispetto a quest’ultimo esso è determinato da un più elevato numero di ingressi (293mila) e da un nuovo massimo di uscite (157mila).
Il numero medio di figli per donna, in calo per il sesto anno consecutivo, si assesta a 1,34. Inoltre si conferma la propensione delle donne ad avere figli in età matura.
Rispetto all’anno precedente, i tassi di fecondità si riducono in tutte le classi di età della madre sotto i 30 anni mentre aumentano in quelle superiori. La riduzione più accentuata si riscontra nella classe di età 25-29 anni (-6 per mille), l’incremento più rilevante è, invece, nella classe 35-39 (+2 per mille). Nel complesso, a fronte di un’età media al parto che raggiunge i 31,7 anni, la fecondità cumulata da parte di donne di 32 anni compiuti e più è ormai prossima a raggiungere quella delle donne fino a 31 anni di età (0,67 figli contro 0,68 nel 2016).
Dati davvero preoccupati quelli diffusi oggi dall’ISTAT, che fanno emergere diverse considerazioni a riguardo legate ad una completa assenza di politiche sociali a sostegno della famiglia e ai bonus derivanti dalla nascita di un figlio. Le famiglie italiane si trovano dunque in seria difficoltà lo Stato non ha assunto alcun impegno serio su questa tematica estremamente importante che riflette la situazione precaria che sta vivendo il Paese.
Il progetto di un figlio per una coppia slitta all’incirca a 32 anni e il risultato è che i bambini rischiano di non arrivare. Nel 2016 ne sono nati 474 mila, 12 mila in meno rispetto al 2015.
Eppure negli altri Paesi la situazione è ben diversa dalla nostra; ad esempio in Danimarca grazie ad uno spot televisivo si è riuscito a far tornare nei danesi il desiderio di fare figli, i nuovi nati sono stati 1200; in Finlandia lo Stato per incentivare le nascite invia a casa un “pacco bebè”, si tratta di una scatola con tutto il necessario per il bambino oppure le mamme possono optare per una sovvenzione diretta in denaro di circa 140€; in Francia lo Stato investe in maternità il 5% del PIL con “bonus bebè” da 900 euro, in Gran Bretagna annualmente una famiglia con due figli può percepire fino a 3000€, in Russia dal 2007 il Presidente Putin ha istituito il giorno nazionale del concepimento, il 12 settembre chi partorisce in quel giorno riceve in regalo automobili o elettrodomestici, in Giappone nel 2011 a seguito della crisi demografica è stato lanciato “Jotaro” un baby robot per adulti, studiato per stimolare il desiderio di diventare genitori.
Insomma, il problema è appunto l’apparato dei servizi sociali alle neo famiglie che in Italia è indubbiamente inadeguato come ad esempio il “bonus bebè” che ammonta a soli 960 euro all’anno, troppo poco per sostenere un bambino, come troppo pochi sono i servizi alle famiglie, senza dimenticare il problema legato ad una differenza culturale dei sessi in Italia dove a farne le spese sono sempre le donne.
La popolazione italiana continua a invecchiare.
L’ampiezza e la composizione di una popolazione nelle sue caratteristiche strutturali quali il sesso e l’età sono il risultato dell’azione esercitata dalle nascite, dai decessi e dalle migrazioni occorse nell’arco di un secolo. Soffermando l’attenzione su quanto avvenuto negli ultimi dieci anni va rilevato come la popolazione residente abbia accresciuto il suo livello d’invecchiamento. Al 1° gennaio 2017 i residenti hanno in media un’età di 44,9 anni, due decimi in più rispetto al 2016 (corrispondenti a circa due mesi e mezzo) e due anni esatti in più rispetto al 2007. Sotto il profilo dell’incremento, assoluto e relativo, che ha subìto nel medesimo periodo la popolazione in età anziana, gli individui di 65 anni e più superano i 13,5 milioni e rappresentano il 22,3% della popolazione totale (11,7 milioni nel 2007, pari al 20,1%). Nella piramide dell’età, i valori più bassi che si rilevano nella classe 0-4 anni riflettono il calo delle nascite registrato negli ultimi cinque anni. Per rilevare una coorte di nascita di consistenza numerica inferiore ai nati nel 2016 occorre risalire alla generazione dei nati nel 1936, ossia agli ottantenni di oggi. I valori più alti e più bassi delle classi di età nella piramide del 2007 sono ancora ben visibili in quella del 2017 con uno scivolamento in su di dieci anni. Nel 2007 le prime 15 coorti di nati per consistenza numerica erano quelle superstiti tra i nati del 1961-1975. Dieci anni più tardi le medesime coorti, che nel frattempo transitano da un’età compiuta di 31-45 anni a una di 41-55, sono ancora le più consistenti. Se oggi tali coorti presidiano la popolazione in tarda età attiva, in una prospettiva non remota esse sono progressivamente destinate a far parte della popolazione in età anziana.
Un nato su cinque ha una madre straniera.
Nel 2016 il 19,4% dei bambini è nato da madre straniera, una quota identica a quella riscontrata nel 2015 mentre l’80,6% ha una madre italiana. In assoluto, i nati da cittadine straniere sono 92mila, il 2,2% in meno dell’anno prima. Di questi, 61mila sono quelli avuti con partner straniero, 31mila quelli con partner italiano. I nati da cittadine italiane sono 382mila, con una riduzione del 2,4% sul 2015.
Le donne straniere in età feconda, che usualmente evidenziano un comportamento riproduttivo più accentuato e sono favorite da una struttura per età nettamente più giovane, hanno avuto in media 1,95 figli nel 2016 (contro 1,94 del 2015). Le italiane, dal canto loro, sono rimaste sul valore di 1,27 figli, esattamente come l’anno precedente. La contrazione delle nascite da parte di straniere e italiane, pertanto, non va ricondotta all’abbassamento delle rispettive propensioni di fecondità, quanto piuttosto alla riduzione delle donne in età feconda e al processo d’invecchiamento che interessano anche la componente straniera. A tal proposito sono in aumento le acquisizioni della cittadinanza italiana infatti gli stranieri residenti in Italia al 1° gennaio 2017 sono 5 milioni 29mila e rappresentano l’8,3% della popolazione residente totale, stessa percentuale di un anno fa. Rispetto al 1° gennaio 2016 l’incremento è di 2mila 500 unità, per un tasso pari allo 0,5 per mille.
In calo la mortalità, gli italiani vivono più a lungo.
L’unico dato positivo è il calo della mortalità, gli italiani vivono più a lungo, infatti nel 2016 si stimano 608mila decessi, 40mila in meno del 2015 (-6%). In rapporto al numero di residenti, sono deceduti 10 individui ogni mille abitanti, contro i 10,7 del 2015. Il numero di decessi in un dato anno è funzione del livello e della struttura per età della popolazione. La vita media per gli uomini raggiunge 80,6 anni (+0,5 sul 2015, +0,3 sul 2014), per le donne 85,1 anni (+0,5 e +0,1). Dal momento che le persone tendono a vivere più a lungo, ingrossando nel tempo le fila della popolazione in età anziana, è lecito attendersi un andamento crescente dei decessi a meno di oscillazioni di natura congiunturale. Grazie al calo dei decessi nel 2016, la speranza di vita alla nascita ha completamente recuperato terreno dai livelli del 2015, marcando persino la distanza da quelli registrati nel 2014, ossia nell’anno precedente l’eccesso di mortalità e toccando il suo nuovo record storico. Al 1° gennaio 2017 i residenti ultranovantenni sono 727mila, un numero superiore a quello dei residenti in una grande città come Palermo. Sebbene questo segmento della popolazione rappresenti oggi appena l’1,2% del totale dei residenti, il suo peso assoluto e relativo nei confronti della popolazione complessiva è andato aumentando nel tempo.
Il fattore determinante per l’incremento della popolazione molto anziana è naturalmente il progressivo abbassamento dei rischi di morte a tutte le età ma, particolarmente negli ultimi decenni, quello conseguito nelle età anziane. Ciò si deve, in primo luogo, a una combinazione di alcuni fattori trainanti, tra i quali i trattamenti medico-ospedalieri, la qualità dei servizi di prevenzione, le condizioni di vita in generale degli anziani, gli stili di vita in termini nutrizionali, abitativi e di contrasto ai fattori di rischio, come ad esempio la variazione nelle modalità di consumo di tabacco.
Esattamente quindici anni fa gli ultranovantenni ammontavano a 402mila e costituivano solo lo 0,7% del totale. Da allora essi sono aumentati in maniera costante, salvo che nella parentesi relativa al quadriennio 2007-2010. In tale periodo, infatti, la momentanea riduzione dei grandi anziani era dovuta al pieno ingresso sulla scena delle coorti nate negli anni 1916-1919, di consistenza numerica più ridotta, in quanto venute al mondo nel cuore del primo conflitto mondiale e nell’anno di culmine dell’epidemia da influenza “spagnola”. Al 1° gennaio 2017 si stima che siano ancora in vita oltre 17mila ultracentenari. Non si tratta della consistenza più alta mai registrata, dal momento che al 1° gennaio 2015 le persone di 100 anni e più avevano già oltrepassato quota 19mila.
Sempre più italiani all’estero.
Altro dato rilevante sono i flussi migratori con l’estero, tanto in ingresso quanto in uscita, continuano infatti a rappresentare nel decennio in corso un importante fattore di crescita e di ricambio della popolazione. I livelli annuali del saldo migratorio, pur non paragonabili a quelli eccezionali del decennio precedente, si mantengono ampiamente positivi e compensano lo squilibrio dettato dal saldo naturale. Per il 2016 si stima un saldo migratorio netto con l’estero di +135mila unità, corrispondente a un tasso del 2,2 per mille. Di entità simile a quello dell’anno precedente (+133mila), quello conseguito nel 2016 è prodotto da un più elevato numero sia di ingressi, pari a 293mila, sia di uscite, pari a 157mila.
Edoardo Desiderio – Agenzia Stampa Italia
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