"70 anni dopo… L’attualità politica dell’MSI": intervista a Carlo Giulietti, storico militante del Movimento Sociale Italiano.

(ASI) Perugia – Nella giornata di domenica 29 gennaio a Perugia presso il ristorante “Valentino”, si è svolta la conferenza "70 anni dopo… L’attualità politica dell’MSI".

Vasta la partecipazione degli interessati che hanno potuto assistere agli interventi dei relatori di alta importanza culturale, storica e politica che sono, tra altri, il Professore Roberto Mancini, il Professore Nicola Cospito e l’Onorevole Stefano Menicacci già deputato del Movimento Sociale Italiano. Moderati da Ettore Bertolini, Direttore della testata giornalistica Agenzia Stampa Italia. A fine evento, alcuni dei relatori hanno rilasciato gentilmente delle interviste ad ASI. Quella che segue è l’intervista concessa da Carlo Giulietti. Storica figura dell’ambiente “Nazionalpopolare” perugino, Carlo Giulietti è stato inoltre segretario di Perugia del Movimento Sociale Italiano – Destra Nazionale nel 1991.

 

A 70 anni dalla fondazione del Movimento Sociale Italiano che cosa se ne può trarre? Cosa voleva dire militare a Perugia all’interno di un partito che è stato sempre ghettizzato ed ostracizzato?

 

Carlo Giulietti: «Innanzi tutto preciso che noi non amavamo il termine partito. Noi militavano in un organizzazione che si chiama appunto “Movimento”. C’è una differenza abissale tra l’essere partito e l’essere movimento: questo per alcuni può essere una sfumatura, ma per noi era un concetto basilare. L’attualità del Movimento Sociale è che certe cose che affermavamo 40 anni fa sono assolutamente attuali. C’è un’attualità – di quello che affermavano – impressionante! Certe idee, certi valori, non si possono ricollocare soltanto in un’epoca storica ben definita. Ovvero, certi valori sono innati e valgono sempre. Anche il definirsi con un’etichetta è limitativo, perché le nostre idee esistono da quando esiste l’uomo. Il problema più grande è stato quello che gli altri ci conoscevano e ci giudicavano non per come eravamo in realtà, ma come gli altri – soprattutto il “Sistema” – ci volevano indicare. Per cui un problema di comunicazione, anche perché l’agibilità è stata in alcune città d’Italia limitata. Questo anche per ovvi motivi, perché laddove riuscivamo ad avere agibilità riuscivamo ad esprimerci, raggiungendo dei risultato elettorali – ma non solo elettorali – enormi. Anche a Perugia, una città dove negli anni ’70 il Partito Comunista Italiano era egemone e come lui, tra altri, il Partito Socialista Italiano, il Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria, raggiungendo percentuali vicine al 75%, nonostante questo con l’MSI eravamo presenti in tutte le scuole e nelle facoltà universitarie. In alcune facoltà c’era il FUAN (Fronte Universitario d’Azione Nazionale, il movimento universitario vicino all’MSI, n.d.r.) con la maggioranza relativa, tipo Giurisprudenza nel 1974. Anche quel termine “il ghetto” era più un ghetto psicologico, perché laddove ci si riusciva ad esprimere, a dimostrare chi eri in realtà, quell’aspetto “sociale” che metteva in soggezione gli altri perché socialmente eravamo più avanti e oltre gli steccati, si raggiungeva certi obbiettivi che poi avevano una ricaduta da un punto di vista elettorale. Allora avere una rappresentanza istituzionale contava, perché nessuno ti dava spazio, nessun giornale, nessuna radio, nessun canale televisivo. Per cui o avevi una rappresentanza istituzionale oppure non esistevi. Rammento che le prime “Tribune Politiche” (rubrica televisiva della RAI negli anni della “Prima Repubblica” centrata sui temi della politica, n.d.r.), quando per esempio parlava Giorgio Almirante, venivano propagandate attraverso dei manifesti perché altrimenti nessuno lo sarebbe venuto a sapere. Il problema era riuscire a parlare con la gente e per tanti anni, in molti luoghi, hanno cercato di impedircelo.»

 

Sentendo anche le tue parole, si può comprendere bene le difficoltà che vi erano nel militare in un partito come l’MSI. Comunque al di là di queste difficoltà quell’ambiente umano, quel militantismo, a te rimane con affetto oppure, scusandomi il termine, hai qualcosa da rinnegare?

 

Carlo Giulietti: «Noi ci siamo avvicinati molto giovani a certi ambienti. Dai 14 anni e ci siamo diventati uomini, militando in un ambiente formativo. Difficile, ma anche entusiasmante nel tentativo di riuscire a comunicare le tue idee proprio nel momento in cui gli altri volevano negartele. Ricordo delle assemblee studentesche alla Sala dei Notari (sala interna al Palazzo dei Priori, quest’ultimo sede istituzionale del Comune di Perugia, n.d.r.) strapiena! Allora ti dovevi conquistare l’agibilità fisica e poi quando eri con il microfono in mano dovevi parlare di contenuti. Noi, da questo punto di vista, non avevamo paura di colloquiare. La nostra forza erano le idee e i valori che a distanza di tanti anni rimangono immutabili. Parlavamo anche di “geopolitica”, allora c’erano i due blocchi di USA e URSS, entrambi legati ad un filo doppio, perché erano i due imperialismi venuti da “Jalta”, e noi eravamo gli unici che parlavano di “Europa Nazione”: l’Europa non delle banche e dell’usura mondializzata o globalizzata, ma l’Europa dei popoli! Eravamo gli unici a parlare di certi argomenti. Il tricolore, io ricordo che anche il tricolore una volta era quasi un reato esporlo.»

Federico Pulcinelli – Agenzia Stampa Italia

 

 

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