(ASI) Come nasce il formaggio? La leggenda narra che un mercante arabo, nell’attraversare il deserto, portò con sé come pietanza del latte, contenuto in una sacca ricavata dallo stomaco di una pecora. Il caldo, gli enzimi della sacca e l’azione del movimento acidificarono il latte trasformandolo in formaggio.
Diventato un’icona dell’eccellenza del “made in Italy” in tutto il mondo, il Parmigiano Reggiano fa parte della storia d’Italia da ormai nove secoli. La testimonianza più antica risale a prima dei Mille ed è incisa su una pergamena dei frati benedettini che avevano dei possedimenti a Bibbiano, la culla del Parmigiano Reggiano. Quest’ultimi, abili agricoltori bonificarono le paludi e disossarono i campi mettendo a coltura quei prati indispensabili per nutrire le mucche ed avere così un formaggio particolarmente sapido, con un delicato aroma e con una buona stagionatura. Solo con la disponibilità di numerosi capi di bestiame si potè iniziare la produzione di un’unica forma, fu così che comparvero i primi caselli, piccoli edifici dove avveniva la lavorazione del latte.
I monaci non si limitarono ad avviare grandi allevamenti, nelle loro cucine infatti scoprirono che con l’impiego della scrematura parziale e di un doppio riscaldamento del latte a temperatura adeguata e controllata, si riusciva a produrre una pasta con poco residuo acquoso, condizione ideale per produrre un formaggio di lunga conservabilità, con un elevato valore nutritivo e di buon gusto.
Correva l’anno 1351 quando Giovanni Boccaccio raccontava nel suo Decamerone il mitico Paese di Bengodi, una montagna di Parmigiano grattugiato con in cima un pentolone colmo di brodo di cappone, nel quale si cuocevano in continuazione maccheroni e ravioli per poi gettarli giù dalla montagna in modo tale da condirli a dovere e chi più ne aveva più ne prendeva.
Equilibrio, Fermezza, capacità di gestire situazioni delicate, niente impulsività o permalosità e grande capacità di giudizio sono le caratteristiche del perfetto battitore.
I battitori sono coloro che stabiliscono la qualità delle forme di Parmigiano Reggiano prima che siano messe in vendita, senza aprirle o assaggiarle ma solo ascoltandole.
Controllano ogni forma con un apposito martelletto costruito con una speciale lega antisuono, l’esperto battitore percuote la superficie e dal suono emesso percepisce se la pasta è compatta o se presenta cavità interne, segno di stagionatura imperfetta.
Impugnato al contrario, l’attrezzo può essere usato anche come succhiello per estrarre dalla profondità della forma di Parmigiano un minuscolo cilindro di formaggio allo scopo di verificarne la qualità e lo stadio di stagionatura.
Mano, occhio, orecchio sono i suoi “strumenti sensoriali” necessari per sentire “Il re dei formaggi”:
Gli occhi valutano forma, colore, dimensione, difetti esterni della crosta, le eventuali irregolarità e la presenza di muffe. Ruolo di primo piano per la mano sinistra, che riceve le minime vibrazioni del formaggio mentre la destra batte con il martelletto. L’orecchio ascolta il suono prodotto dal formaggio per capire se all’interno la pasta è omogenea o vi sono formate cavità e strappi.
La figura del battitore è molto delicata, poiché dal suo responso si determina se la forma è di prima o seconda scelta, il successo o meno di una produzione e si decreta la rovina o meno di un’intera azienda.
Le operazioni per capire se una forma di Parmigiano è perfetta sono: la battitura, cioè la percussione del martelletto sulla forma per 6-7 secondi, in modo tale da ricavare un giudizio sulla struttura interna del formaggio. Per capire la bontà del prodotto si devono fare venti battute, se il suono è uniforme senza tonfi accentuati, significa che ha raggiunto gli standard del Consorzio, se non dovesse essere così sorgono problemi sulla qualità del formaggio. Durante la battitura si possono riscontrare alcuni difetti: gli occhietti, tipo leerdammer che danneggiano l’interno del formaggio e macchie scure all’esterno che rappresentano una mancata asciugatura della cagliata. Poi abbiamo La spillatura che serve ad estrarre una minima quantità di pasta per mezzo dell’ago a vite ottenendo informazioni sulla consistenza, aroma e grado di maturazione ed in fine c’è La tesselatura si pratica eccezionalmente e vi si ricorre soltanto nel caso di incertezze nel giudizio.
Più che un mestiere è una vera e propria vocazione, tramandata di generazione in generazione.
Alla fine della carriera di un battitore ne viene formato uno nuovo che andrà ad affiancare il precedente per imparare da lui tutti i segreti necessari per poi sostituirlo.
Francesco Rosati - Agenzia Stampa Italia